In termini generali la 'valorizzazione' di un bene indica un miglioramento della posizione complessiva sul proprio mercato, ovvero l’aumento dei redditi netti conseguiti dal produttore in conseguenza dell’aumento dei prezzi di vendita del prodotto e/o del volume di vendite. Detto così è un po’ freddo e anche parziale. Proviamo ad estenderne il significato pensando a tutto l’insieme di strumenti volti a perseguire l’obiettivo generale dell’aumento del valore del bene, e le alle attività che consentono il loro raggiungimento. Ad esempio, la definizione e l’innalzamento della qualità del prodotto. Oppure il miglioramento della percezione complessiva della qualità del prodotto da parte del consumatore anche mediante l’impiego di strumenti di garanzia della qualità e di comunicazione.
Una buona sintesi può essere la seguente. La valorizzazione di un prodotto è un insieme di attività, tanto di tipo strategico che operativo, orientate a migliorare la creazione di valore del prodotto agendo su due diversi fronti: quello dell’attribuzione del valore da parte del consumatore e della società, e quello dell’efficacia dei processi di produzione da parte del sistema delle imprese (Belletti, 2006).

Il ristorante, così come il Ristorante Italiano nel Mondo, è parte della catena di valorizzazione del prodotto. Sia nel momento dell’acquisto di un prodotto 'valorizzato', ma soprattutto nel momento della distribuzione, comunicazione e vendita al consumatore finale. Lavora soprattutto su quel fronte che abbiamo definito come quello “dell’attribuzione del valore da parte del consumatore e della società”. Nel momento in cui offre al cliente un piatto realizzato con prodotti italiani tipici di qualità, ne comunica al cliente il legame con il territorio; l’unicità delle risorse specifiche e del processo produttivo; il legame con la comunità locale di provenienza e con la collettività dei produttori di quella zona.
Insomma, ancora una volta il ristoratore italiano assume il ruolo di ambasciatore. E non gli ci vuole la marsina, ma solo il basilico di Pra’ o la burrata d’Andria o il lardo di Colonnata.

Abbiamo chiesto ai “nostri” ristoratori italiani nel mondo se e quali tra alcune iniziative di valorizzazione relative all’origine dei prodotti venissero messe in pratica nelle loro attività.
A parer nostro i risultati sono stati inferiori alle attese. L’84%, quindi neanche la totalità, informa i camerieri in modo da poter dare spiegazioni a voce. Solo il 36% scrive sul menù l’origine della materia prima. Quote che non superano il 20-25% organizzano degustazioni apposite, serate a tema o semplicemente redigono materiale aggiuntivo che fornisca informazioni più dettagliate.
Eppure sono tutti consci che il ruolo dei prodotti tipici sia una importante chiave per il successo di un ristorante italiano all’estero: trasmettendo un’immagine di genuinità e autenticità (32%); ribadendo l’identità del ristorante e della sua cucina (31%) e permettendo di distinguersi dai ristoranti pseudo-italiani (14%).

Se i ristoratori conoscono e riconoscono l’importanza della valorizzazione, perché, come visto, la mettono in pratica in modo poco adeguato? Forse perché il ristoratore fa il ristoratore e non il comunicatore! Ovvero, potrebbe essere utile insegnargli qualche tecnica e dargli qualche strumento in più. In più di un caso, nelle nostre ricerche, abbiamo rilevato proprio l’esigenza di un aiuto funzionale ai Rim e la sollecitazione di essi stessi nei confronti della madrepatria.

Allora aiutiamoli: loro lo sanno che la valorizzazione è la miglior lotta alla contraffazione.