Ci ha lasciato pochi mesi fa Enzo Mari, geniale, ruvido, intelligente, vero. Nato a Novara nel 1932, ma milanese di adozione poiché nella nostra città ha perfezionato le sue conoscenze, studiando a Brera dal 1952 al 1956, e sviluppando il suo amore per il design, per la “programmazione” in estetica, per lo sviluppo della creatività. A parte qualche avvicinamento al modo accademico, si è formato da autodidatta, la sua idea era quella di creare un luogo dove “allenare alla conoscenza”. Poi invece nelle accademie ci è entrato, ma come docente, nella scuola della Società Umanitaria sino al 2000, al Politecnico di Milano, alle facoltà di Disegno Industriale e Architettura e a Parma dove insegna Storia dell'Arte.
Nel 2015 l'accademia di Brera gli ha riconoscito la laurea ad honorem.
“Bisogna cercare di progettare, per evitare di essere progettati”, questo uno dei suoi motti, una lotta continua alla passività, consapevole della necessità di intervenire sulla cultura di massa verso un progetto globale di qualità. Il suo lavoro è il risultato di precise convinzioni e prese di posizione a livello "ideologico e politico", d'ispirazione egalitaria e marxista.
Mari è morto in questo periodo di lockdown, e Milano si è attrezzata per rendergli quell'omaggio a 360 gradi, da sempre atteso ma arrivato solo postumo.
Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli
Con una mostra alla Triennale di Milano, “Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist”, visitabile sino al 18 aprile per cui il direttore di Triennale e amico di Mari, Stefano Boeri, ha chiamato Hans Ulrich Obrist, HUO. Qui sono documentati oltre 60 anni di attività di quello che è riconosciuto come uno dei principali maestri e teorici del design italiano, attraverso progetti, modelli, disegni, approfondimenti tematici, con materiali spesso inediti provenienti dall’Archivio Enzo Mari e interventi di artisti e progettisti di fama internazionale.
Secondo Mari: “Gli artisti antichi non erano gli artisti romantici di oggi, erano dei designer o dei sacerdoti. Realizzavano un'opera di significato collettivo che doveva sempre comunicare l'utopia”. E Stefano Boeri spiega che la mostra è stata realizzata sulla scia delle parole di Enzo che diceva di voler donare tutta la sua opera alla città di Milano, ma con l'unica condizione che nessuno per 40 anni avesse accesso a quell'archivo perchè, secondo Mari, nessuno avrebbe compreso il senso della sua arte. “Questa mostra quindi nasce come preludio di quarant'anni di oblio”, continua Boeri.
Enzo Mari era profondamente convinto del legame indissolubile tra lavoro e politica: “Il lavoro, se si ha l'atteggiamento giusto, determina un secondo lavoro che è quello politico, quindi il lavoro è la sola condizione perchè gli uomini possano realizzare la propria felicità”. Sulla scia di queste affermazioni, Boeri conferma che il tema della mostra è proprio il lavoro come continua possibilità intorno alla vita di un oggetto, ma anche la sua capacità di sintetizzare un intero mondo in un disegno.
La prima parte dell'esposizione contiene alcuni pezzi storici della produzione del designer, come il celeberrimo vassoio a putrella. Con Mari le forme vengono ridotte all'essenzialità, ma con una tensione, quasi involontaria, alla “trascendenza”, che emerge solo quando la ruvida bonaria guardia viene abbassata: “Pensavo a un lavoro che non finisse subito per cui ho pensato agli animali”. Ed ecco in mostra alcuni pezzi che rimandano al suo lavoro sulle forme animali.
La seconda parte della mostra si occupa delle sue ricerche come quella sull'autoprogettazione, secondo Boeri si tratta di una vera e propria scuola, lezioni in cui spiegava il significati di reimparare a realizzare.
In questa sezione si trova anche “Allegoria della morte” dove sono rappresentate le 3 grandi ideologie, il comunismo, la religione monoteista e, al centro, grande provocazione, il commercio, che rappresenta la mercificazione della vita.
E' anche riproposta una rapprentazione dell'arte Vodoo pensata per la Fondation Cartier, sculture in legno congiunte a una dimensione umana rappresentata da una serie di porte chiuse: il culto dei morti legato ad una dimensione domestica.
C'è infine una parte dedicata alle interviste, alla dimensione retorica, Enzo Mari era un produttore di invettive, “occorre produrre meno” era il suo mantra.
“Enzo Mari oscilla tra ricerca progammata e intuizione, era un ricercatore serio, ma mai serioso, percorso da un continuo gusto del disincanto. Un uomo sorridente che non si prendeva del tutto sul serio”, conclude Stefano Boeri.
Falce e Martello. Tre dei modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe
Per comprendere il genio di Enzo Mari non si può non visitare le mostra gratuita, aperta sino al 31 marzo 2021, nello spazio di Galleria Milano di Via Turati 14/Via Manin.Si tratta di una riproposizione della stessa mostra, inaugurata nel medesimo spazio il 9 aprile del 1973. Carla Pellegrini allora sceglieva Enzo Mari per aprire ufficilamente il suo nuovo centro espositivo. La mostra suscitò grande scalpore e successo di pubblico. Oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, è proposta una riproduzione fedele della stessa, ricostruita filologicamente grazie ad un’operazione di ricerca che ha coinvolto principalmente l’Archivio della Galleria Milano e l’Archivio Enzo Mari.
La falce e il martello sono riprodotti quasi ossessivamente. Nell’abisso che separa la percezione del simbolo dagli anni Settanta ai giorni d’oggi, attraverso la visione di un autore illuminato come Mari, è possibile leggere il cambiamento epocale che ha riguardato non solo la società, ma anche il tessuto culturale e lo spirito più profondo della città di Milano.
Il progetto allora nacque da un esercizio proposto ad una studentessa, Giuliana Einaudi. Il punto di partenza fu una raccolta di dati, in cui vennero confrontati emblemi riprodotti sui muri, le comunicazioni di partito, i volantini, nel tentativo di allargare la ricerca a più luoghi possibili. Il secondo momento fu la progettazione di un simbolo di qualità esteticamente elevata, per giungere alla conclusione che il valore formale non incide sul significato veicolato. Da qui le opere in mostra, raffiguranti tutte la falce e martello: i due singoli oggetti d’uso, il simbolo progettato in studio, una grande scultura rossa, lignea, bandiere in lana serigrafate in diversi colori, una litografia riproducente la ricerca con 168 simboli, una serigrafia in due colori. Questi ultimi tre elementi furono inclusi insieme ad una piccola pubblicazione in una cartella pubblicata dalle Edizioni O, la casa editrice della Galleria Milano fondata da Baldo Pellegrini, marito di Carla. Dopo un animato dibattito, la stessa sera dell’inaugurazione fu proiettato il film Comitati politici – Testimonianze sulle lotte operaie in Italia nella primavera del ’71, realizzato da Mari con il Gruppo di Lavoro, composto da alcuni studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Il documentario, ritrovato dopo una lunga ricerca, è stato digitalizzato dall’Archivio Home Movies di Bologna ed è visibile anche nell'esposizione attuale.
Falce e Martello si inserisce pienamente nell'impegno di Mari degli anni Sessanta, del suo legame con il comunismo e con il movimento Arts and Crafts, e del suo modo di vedere il design come intrinsecamente politico.
Enzo Mari resiste al tempo
Mari è un designer industriale, un disegnatore di mobili, un progettista di mostre, scrittore di libri per bambini e adulti, un artista, un autore di manifesti, un polemista celebre per le sue sfuriate contro il mondo del design.
Nonostrante abbia realizzato pezzi celebri per noti marchi, come il Calendario da Parete e i 16 animali per Danese, la sedia Tonietta, e la libreria componibile per Zanotta, lo spremiagrumi Squeezer e i cavalletti Ypsilon di Alessi, le posate piuma di Zani&Zani, solo per citarne alcuni, ciò che lo infastidiva di più era che il mondo del design puntasse al profitto: voleva liberarsi di questa idea di guadagno, di commercializzazione, di industria, di marchi, persino di pubblicità. Perché, secondo Mari, il design è tale soltanto se comunica anche conoscenza.
Come sottolineato da Hans Ulrich Obrist: “Ciò che colpisce dei suoi progetti – a qualsiasi campo essi appartengano – è la loro resistenza alla prova spietata del tempo. Il suo obiettivo è sempre stato quello di creare progetti che fossero sostenibili sia nella loro materialità sia nell’estetica, e che risultassero accessibili a tutti. Nel 1974, in linea con la sua idea di democratizzazione del design, concepì l’incredibile Autoprogettazione, un “esercizio individuale da realizzare per migliorare la propria consapevolezza”. Questa guida pratica è diventata una fonte di grande ispirazione per numerosi progetti, tra i quali il progetto Do It che Christian Boltanski, Bertrand Lavier e io abbiamo inaugurato negli anni Novanta.
Una volta Enzo mi ha detto – continua Obrist: “Guarda fuori dalla finestra e se ciò che vedi ti piace, allora non c’è ragione di fare nuovi progetti. Se invece ci sono cose che ti riempiono di orrore al punto da farti venire voglia di uccidere i responsabili, allora esistono buone ragioni per un progetto”.
La trasformazione secondo Mari nasceva nasce quindi dal bisogno – conclude Obrist: “E c’è qualcosa di molto umile nell’idea di creare solo ciò che serve. La modestia e il dubbio hanno sempre fatto parte della pratica di Mari”.
Sara Rossi
Per informazioni sulle mostre su Enzo Mari in corso a Milano, consultate il sito della Triennale (Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli) e quello di Galleria Italia (Falce e Martello. Tre dei modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe)