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14 escursioni e 4 serate, in programma dal 24 gennaio all'11 dicembre 2016 in 7 regioni italiane, che hanno come filo conduttore i percorsi storici e i sentieri dove si sono mosse le genti, le merci e le idee. Questi i numeri del 20° ciclo di “Vivere l'ambiente” - iniziativa in ambito TAM (Tutela Ambiente Montano) del Club alpino italiano aperta sia ai soci che ai non soci del Sodalizio – che quest'anno si intitola “Camminare nella storia. Sentieri e percorsi del passato”.
La maggior parte delle escursioni (otto) e i quattro appuntamenti serali (previsti a Marghera, Cazzago di Pianiga, Mestre e Lamon) si svolgeranno in Veneto, ma il programma prevede uscite anche in Piemonte, Lombardia, Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Marche e Umbria.
Si parte domenica 24 gennaio con l'escursione “La strada della Piovega - Da Enego alla Valsugana”, organizzata dalla Sezione CAI di Asiago. La strada della Piovega è molto antica: questa ampia mulattiera, selciata fin dal Medioevo, già in epoca romana era una delle principali vie di comunicazione - collegamento tra la via Claudia Altinate e l'Altopiano di Asiago.
Per continuare poi con la Strada del Patriarca, la Via Romea Teutonica Stadense, la Gola di Uina, la Via del sale dello zucchero e della trachite, la Via dell'Astagus, le vie della transumanza e tutte le altre.
“Nelle escursioni saranno percorsi vecchi o antichi tragitti per scoprire le tracce tangibili della miriade di passi di chi prima di noi andava per monti per necessità e non per piacere”, afferma Maria Grazia Brusegan, responsabile del progetto “Vivere l'ambiente”.
Questo tema offrirà anche l’opportunità di approfondire vicende storiche, momenti di splendore e momenti di abbandono di certi percorsi che furono fulcro della viabilità di tempi passati e anche di esplorare itinerari non ancora percorsi nelle edizioni precedenti dell'iniziativa.
“L'obiettivo è quello di ricercare il valore culturale che questi segni dell’uomo, destinati inesorabilmente a scomparire, possono tramandarci”, conclude la Brusegan.
Il progetto “Camminare nella storia. Sentieri e percorsi del passato” è organizzato con il patrocinio delle Commissioni Tutela Ambiente Montano del CAI nazionale e regionale del Veneto, grazie al lavoro degli Operatori TAM delle Sezioni CAI di Asiago, Dolo, Feltre, Mestre, Schio, San Donà di Piave e Verona, in collaborazione con l'associazione ARCAM di Mirano e Giovane Montagna di Mestre.
Programma dettagliato su: www.viverelambiente.it
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Il professore Francesco D’Andria, autorità nell'archeologia salentina, lo diceva ormai da anni: la Castrum Minervae di cui parla Virgilio nel III libro dell’Eneide è proprio Castro. "Già i commentatori dell’Eneide avevano riferito il templum alla località di Castrum Minervæ e la Tabula Peutingeriana, una antica carta geografica, indicava il sito sulla costa salentina a otto miglia a sud di Otranto. Non c’era dubbio che questa indicazione si riferisse all’attuale abitato di Castro, che conserva nel nome e nell’assetto topografico (l’approdo, l’acropoli che domina le scogliere della costa), il ricordo di quell’antica testimonianza letteraria”. Nel 2008, mentre cercava attraverso le mura aragonesi la via di accesso all’Acropoli (foto), l’eminente archeologo trovò una statuina in bronzo alta poco più di dieci centimetri, raffigurante la Dea Minerva. Quest’estate è avvenuto il ritrovamento della grande statua in pietra della Dea Minerva e alcuni frammenti del tempio. E’ alta un metro e dieci, avvolta nella sua veste a pieghe con grandi seni (fatto inconsueto per una Dea come lei). Non ha testa, né braccia, ma il professore D’Andria è convinto che riuscirà a trovarne il capo e che, completa, la statua arriverebbe a quasi 3 metri d’altezza (foto). “Venne sepolta sotto un lastrone di pietra dove è stata ritrovata in età tardo repubblicana”, spiega la dottoressa Laura Masiello, della Sovrintendenza Beni archeologici della Puglia. “Come se chi lo avesse fatto non aveva intenzione di distruggere la statua, ma provasse ancora un profondo senso di rispetto verso la Divinità”. località di Castrum Minervæ e la Tabula Peutingeriana, una antica carta geografica, indicava il sito sulla costa salentina a otto miglia a sud di Otranto. Non c’era dubbio che questa indicazione si riferisse all’attuale abitato di Castro, che conserva nel nome e nell’assetto topografico (l’approdo, l’acropoli che domina le scogliere della costa), il ricordo di quell’antica testimonianza letteraria”.
“Queste importanti scoperte archeologiche”, spiega il vicesindaco Angelo Coluccia, “arricchiscono la nostra offerta turistica, che non sarà più legata solamente solo al suo bellissimo mare, che è peraltro Bandiera Blu e alla Grotta Zinzulusa, ma anche al turismo culturale, una grande leva per la destagionalizzazione”.
Il poeta Virgilio, nell'Eneide, colloca il primo approdo di Enea in Italia a Castrum Minervae, di fronte a Butroto, nell'Epiro (Albania). Il suo porto era dominato da un alto promontorio alla sommità del quale si ergeva il maestoso tempio consacrato alla dea Minerva.
Nel III libro, infatti, Enea racconta: "ci spingiamo innanzi sul mare (....) quando da lungi scorgiamo oscuri colli e il basso lido dell'Italia (...) Le invocate brezze rinforzano, e già più vicino si intravede un porto, e appare un tempio di Minerva su una rocca. I compagni ammainano le vele e volgono a riva le prore. Il porto è incurvato ad arco dalla corrente dell'Euro; i suoi moli rocciosi protesi nel mare schiumano di spruzzi salati, e lo nascondono; alti scogli infatti lo cingono con le loro braccia come un doppio muro, e ai nostri occhi il tempio si allontana dalla riva" (foto).
Questa scoperta conferma il centro salentino come la mitica Castrum Minervae, approdo di Enea. (foto On the Road)
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Dopo Roma Brindisi era la città più importante dell’Impero Romano, la Porta d’Oriente, dove terminava la via Appia (foto). Per questo, proprio in età romana, fiorirono sontuose ville addobbate con statue mosaici e dipinti parietali. Grandi necropoli, rinvenute alla sua periferia, dimostrano quanto fosse ricca e densamente abitata. Per averne un’idea basta visitare il Museo archeologico provinciale, andando alla scoperta delle usanze dei suoi antichi abitanti, che non furono solo i romani, ma anche gli uomini primitivi e poi i messapi, che abitarono la Terra tra i due Mari. Alleati degli Ateniesi, i messapi amavano la lingua e la cultura greca, tanto che nelle loro tombe sono stati ritrovati vasi in stile attico ed erano nemici di Taranto, l’unica colonia spartana nella Magna Grecia. Un vaso in particolare distingue la loro civiltà: la trozzella (foto), che le donne usavano per attingere l’acqua dalle cisterne e con il quale venivano sepolte.
Le vestigia della Grande brindisi romana si leggono anche per le vie delle città, dove si può vedere il capitello della colonna romana, conservato nel palazzo Nervegna, cuore culturale della città e i resti dell’antica Brundisium, il cui nome viene da Bronte, che significa cervo le cui corna assomigliano alle due anse naturali del porto di Brindisi che si incuneano nella terra ferma.
Un percorso per far conoscere e valorizzare le ricche archeologiche del Salento è stato organizzato da Regione Puglia, assessorato al turismo, grazie a un finanziamento europeo POIn ed è stato testato con successo da un gruppo di giornalisti nazionali, accompagnati dalla brava guida Daniela Bacca, e dal direttore della rivista di turismo e cultura del Mediteraneo Spiagge (www.mediterraneantourism.it), mentre a curare gli aspetti organizzativi è stata l’Agenzia Spazio Eventi (www.spazioeventi.org).
“Tutto ruota intorno all’aeroporto di Brindisi, aeroporto minore, e le bellezze che lo circondano”, spiega la dirigente della Regione Puglia, Antonietta Riccio che ha ideato il progetto. “Abbiamo voluto valorizzare tutte le bellezze intorno all’aeroporto di Brindisi: dalla natura, ai siti archeologici e i castelli, fino alla Puglia creativa”. (foto On the Road)
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In occasione dell’inizio di Toscana Fuori Expo all’Humanitaria di Milano, è stato presentato Cibo Civile.
Il progetto, nato grazie all’Università di Pisa e dall’Assessorato all’Agricoltura Regione Toscana, è il primo che vuole promuovere una rete di sostenibilità agroalimentare.
Portare in tavola non solo prodotti del territorio ma che sostengono i bisogni delle comunità. Un Km0 vicino alla fragilità delle persone. Un nuovo modo di concepire il lavoro agricolo e i prodotti agroalimentari, sviluppare una filiera in grado di auto sostenersi creando economia civile.
Il progetto CIBO CIVILE Toscana, mette in rete chi produce e chi distribuisce in chiave solidale, sostenibile e etica. Ha l’obbiettivo di creare una rete di solidarietà e integrazione sociale, fatta da imprese e cooperative sociali che promuovono un’alleanza tra produttori e ristorazione, che includano le fasce più vulnerabili e in particolare di persone a bassa contrattualità (ad esempio persone portatrici della Sindrome di Down).
CIBO CIVILE Toscana è già composto da più di trenta aziende tra produttori, ristoratori e supporters del progetto.
Intervenute alla presentazione alcune realtà protagoniste di questa rete.
L’azienda Biocolombini con i progetti e gli inserimenti lavorativi in orti – terapeutici nella zona di Valdera in provincia di Pisa per persone socialmente svantaggiate (disabilità motoria, psichiatrica, criminalità tossicodipendenza), gli Orti Etici dell’Università di Pisa che si occupano della prima formazione e rafforzamento di circa 70 persone con disabilità mentale, dipendenze e o uscite dal carcere.
E ancora il Risto Ca’ Moro Social Bateau, un peschereccio ristorante galleggiante ancorato nella Darsena Vecchia di Livorno dove trovano lavoro ragazzi down della cooperativa sociale Parco del Mulino; Tuttigiorni, progetto della Cooperativa Sociale Betadue di Arezzo che offre una ristorazione scolastica e collettiva valorizzando i prodotti di filiera corta e a Km0, e attivando percorsi riabilitativi e inserimenti lavorativi per soggetti svantaggiati o esposti al rischio emarginazione.
Infine Ticucinobio a Pisa, che si occupa di catering e banqueting con prodotti biologici e provenienti da agricoltura sociale e equosolidale, e Agricola Calafata di Lucca, cooperativa agricola il cui lavoro è volto al creare un percorso do di inclusione lavorativa e crescita relazionale per persone in condizioni di marginalità e svantaggio.
Tante belle realtà, quindi, che offrono servizi e inclusione sociale con uno sguardo attento e amorevole verso persone svantaggiate ma anche verso le materie prime di qualità.
Sara Marchesi
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Catania inaugura il primo laboratorio sperimentale per la valorizzazione e la comunicazione dei beni culturali. Il Catania Living Lab di cultura e tecnologia nasce dalla consolidata collaborazione fra il Comune di Catania e l'Ibam (Istituto per i beni archeologici e monumentali) del Cnr nell'ambito del progetto di ricerca Pon finanziato dal Miur sulle Smart Cities. Il progetto ha l'obiettivo di realizzare processi e strumenti innovativi per lo sviluppo sostenibile attraverso la valorizzazione dei beni culturali mettendo insieme Pubblica amministrazione, aziende, sistema della ricerca, cittadini e turisti. Un risultato importante per il sindaco di Catania Enzo Bianco che al termine della conferenza stampa ha ammesso: “mi sono emozionato nel vedere questa fantastica ricostruzione filmata dell'Anfiteatro romano di Catania”.
"L'apertura di una struttura innovativa come questa - ha aggiunto il primo cittadino - diventa snodo tra la ricerca e la Catania che si pone all'avanguardia nel turismo culturale. Un salto di qualità cementato dalla collaborazione con il Cnr. Oggi accogliamo il presidente Luigi Nicolais, in una città che pullula di iniziative e spettacoli e presto lo accoglieremo di nuovo per una nuova iniziativa che, voglio anticipare, riguarderà l'anfiteatro romano e rappresenterà un'ulteriore tappa di questo importante progetto".
"L'idea di creare un laboratorio sperimentale di questo tipo - ha spiegato Nicolais - nasce dal fatto che sono aumentate le esigenze di conoscenza ma anche di linguaggi capaci di sorprendere, attrarre, emozionare nel presentare il nostro patrimonio culturale.
Per l'assessore comunale alla Cultura e al Turismo, Orazio Licandro, il laboratorio "rappresenta un altro passo in avanti nella promozione del nostro ricchissimo patrimonio storico-artistico e archeologico" e nella visione del turista "non come visitatore ma come cittadino temporaneo di Catania, al quale dobbiamo indirizzare il massimo di servizi e offerte".
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Mentre Milano ospita la grande kermesse di Expo 2015 e accoglie sotto lo stesso tetto le tipicità gastronomiche di tutto il pianeta, le Marche, con meno clamore ma con tanto impegno e volontà di rispettare lo spirito dell’esposizione universale, hanno dato vita alla seconda edizione di “Tipicità in Blu”, manifestazione gastronomica (e non solo) che ha come protagonista il mare, presenza di fondamentale importanza per la Regione. La parola d’ordine dell’evento è assaggiare. Assaggiare il gusto dei cibi naturalmente, ma anche l’atmosfera dei luoghi e le storie che raccontano, partendo proprio dal mare. Scenario ideale per “Tipicità in Blu” è e sarà per le future edizioni Ancona, un anfiteatro che osserva dalla terra ferma lo specchio d’acqua antistante, l’elemento che viene considerato, non a torto, una finestra sempre aperta sull’orizzonte. “Tipicità in Blu” rappresenta anche la volontà marchigiana di creare una Blu Economy basata sui prodotti ittici, spesso poco considerati e che, al contrario, si sono dimostrati fondamentali per garantire buona salute e longevità. Le Marche infatti annoverano il maggior numero di centenari presenti non solo in Italia ma anche nel mondo, seconde solo al Giappone. Gli studi hanno dimostrato che questo privilegio è da attribuire alla dieta mediterranea, fortemente incentrata sul consumo di pesce. Durante uno dei momenti organizzati nell’ambito di “Tipicità in Blu”, il Dr. Mauro Mariani, medico attento alle problematiche dell’impatto dell’alimentazione sul buon funzionamento dell’organismo, ha spiegato come gli Omega presenti nel pesce siano indispensabili a tutte le età ma in particolar modo oltre i 50 anni. Il prodotto dovrebbe essere consumato almeno due volte a settimana e i metodi migliori per la sua cottura risultano essere al forno o al vapore per consentire la conservazione di tutte le proprietà e della vitamina D. L’assunzione di prodotti ittici abbassa del 70% la probabilità di infarto e, al contrario di quello contenuto nella carne, il colesterolo presente nel pesce non viene assorbito dall’organismo umano. Ogni giorno attraccano al porto di Ancona circa 45 pescherecci con il loro prezioso carico di salute. Purtroppo, di oltre un centinaio di razze diverse di pesce disponibile nelle acque, soltanto una ventina ha un mercato tra i consumatori spesso soltanto per ignoranza nei confronti delle potenzialità delle varietà meno note. Sembra quasi paradossale ma Ancona ha scelto come pesce simbolo della sua cucina lo stoccafisso, ossia del merluzzo essiccato tipico del nord Europa; in realtà le navi dell’importante porto si spingevano così lontano in passato trattando il prodotto in modo da poterlo conservare per lunghi periodi e rendendolo ancora oggi protagonista di una ricetta sulla quale si cimentano moltissimi ristoranti con le loro varianti e personalizzazioni. Tra questi lo Stockfish, locale storico del capoluogo marchigiano, dove Michela tiene viva l’eredità del padre, vero cultore dello stoccafisso all’anconitana, al punto da far coltivare per il ristorante una varietà specifica di patate particolarmente adatta a comporre il piatto. “Tipicità in Blu” però non si ferma ad Ancona ma attraversa tutta la Regione Marche in un percorso di lunga durata. Il Grand Tour prevede eventi che si svolgeranno attraverso le principali località della costa e dell’entroterra e che si concluderà il 15 novembre a Macerata; in scena pane, vini, mais, tartufo bianco e naturalmente pesce, tanto pesce. Un’opportunità da cogliere per i vacanzieri presenti nella Regione che vanta per le sue coste ben 17 Bandiere Blu e lo splendido parco marino della riviera del Conero. E come rinunciare a uno sguardo e un assaggio della terra della longevità?
www.tipicita.it
Paola Drera
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