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Mondovela Yachting & Vacanze è un tour operator che si occupa di turismo nautico e il suo fondatore, Guglielmo Masala, ha presentato il progetto di una crociera sulla rotta 5/D, con al centro l'Isola d'Elba, rivolta a neo patentati del mare, ma adatta a tutti.
Spiega Masala che, in quest'anno così particolare, è aumentata la richiesta di turismo nautico e di tutto ciò che è ad esso legato, patenti, barca a vela, crociere: “Durante la pandemia c'è stata una grande richiesta di formazione per la patente nautica, ma non solo, anche le barche hanno avuto un'impennata di vendite”, forse perché – continua - “Le persone hanno compreso il valore di trovarsi in un luogo sicuro dove trascorrere tempo di qualità con la propria famiglia, per riuscire a ritagliarsi momenti di intimità e mare all'insegna della libertà”.
Per la formazione Mondovela si è avvalsa della collaborazione con ParmaVela. E' proprio dal successo di questa esperienza formativa a distanza che è nata l’idea di sperimentare per la prossima estate, dal 24 al 31 luglio, una crociera in flottiglia di barche capitanate dai neo patentati e famiglie, assistiti da una barca appoggio di istruttori. Sarà l'occasione per sperimentare l'emozione del primo comando, in totale sicurezza, con l’opportunità di mettere in pratica le nozioni apprese durante i corsi.
Protagonista la carta 5/D. D come didattica, sulla quale tutti coloro che hanno preso la patente nautica si sono esercitati. A luglio si passerà dalla teoria alla pratica effettuando in tutta sicurezza il periplo dell'Elba, un bellissimo viaggio per mare che Mondovela proporrà anche in altri periodi a chi vorrà noleggiare una delle tante barche del tour operator, in autonomia o con skipper, appena si potrà riprendere il mare.
Gianni Bocchi, fondatore di ParmaVela, spiega che la scuola nata a Parma 12 anni fa, offre la possibilità di diventare comandanti, non solo conduttori, anche frequentando il corso online: “La nostra soddisfazione non è solo quella di permettere di superare l'esame, ma di trasmettere il rispetto del mare, del porto, della natura.
La carta su cui gli allievi studiano è la carta didattica 5/D, pubblicata nel 1982 e da allora mai mutata perché serve appunto per la formazione, a differenza delle altre carte che sono continuamente aggiornate. Anche chi arriva da noi senza distinguere la poppa dalla prua, arriverà all'Elba come se avesse già navigato perché avrà già studiato le rotte”.
Barca e norme anticovid
La vita in barca tra componenti dello stesso nucleo familiare o tra amici, previo tampone ovviamente, è la dimensione ideale per una vacanza covid-free. Il ministero prevede in barca uno spazio di 1 persona per metro lineare, in realtà l'unico vincolo è che nella stessa cabina possano pernottare solo persone conviventi.
Per questa estate Mondovela si sta attrezzando con tamponi rapidi da effettuarsi pre-partenza.
Perché fare una vacanza in barca?
Masala dice la sua: “In primis perché aprire gli occhi e tuffarsi in rada prima che gli altri si sveglino non ha prezzo. Poi la giornata si svolge con un inizio navigazione attorno alle 9.30, stop all'ancora per pranzo. Pomeriggio all'insegna di mare o relax per ripartire verso la meta serale, aperitivo, e poi cena in qualche locale tipico, si auspica che a luglio sia possibile. Ah, non può mancare un briefing serale con il capo-flottiglia che illustra la carta sinottica”.
Cosa vedere all'Elba
Ad illustrare le tappe del viaggio ci pensa Marco Tenucci, giornalista, fotografo, naturalista innamorato dell'Isola d'Elba.
La proposta è quella di un'intensa settimana di mare. Si inizia con una breve traversata dal Golfo di Follonica, si giunge nella rada della Biodola o a Procchio, nella parte nord occidentale, per la prima tappa e notte in rada. Un bagno, un aperitivo di fronte al tramonto più strepitoso dell’isola. Da qui in poi con cinque tappe in senso orario si circumnavigherà tutta l’Elba.
La seconda tappa conduce a Portoferraio e il tratto riserva aspetti interessanti, come il golfo della Biodola, con la sede del Parco Nazionale nell’antica tonnara, dove è possibile recuperare prezioso materiale informativo. Ma è il capoluogo a meritare una sosta prolungata, per visitare il vecchio centro con le fortezze medicee, Villa dei Mulini, residenza napoleonica, stradine e piazzette suggestive. E anche i dintorni lungo la baia, la laguna costiera, le terme con i “miracolosi” fanghi metalliferi e le preziose alghe, la Villa romana delle Grotte. La navigazione fino a Cavo e quindi Porto Azzurro segna la terza tappa. La costa si alza imperiosa ornata dalla ricchissima macchia mediterranea. Una piacevole veleggiata passando Rio Marina, ex posto d’imbarco delle minerali ferrosi, con la bella baia di Porto Azzurro, la più sicura dell’isola, fantastica meta. Quindi si salpa da Punta Calamita a Golfo Stella e Golfo Lacona, toccando la terra delle antiche miniere, Capoliveri e le spiagge sabbiose dei due golfi. A proposito di spiagge, l’apice si raggiunge nelle ultime due tappe, con Marina di Campo, Fetovaia e Cavoli, angoli tropicali in mediterraneo.
Dopo la notte in rada a Marina di campo, la sosta successiva prevede un itinerario terrestre noleggiando una montain bike con pedalata assistita per visitare lo splendido entroterra oppure è possibile imbarcarsi per Pianosa per fare una visita e un tuffo nella spiaggia caraibica di Cala Giovanna. Obbligata è una pausa verso Pomonte, dove un relitto a bassa profondità è diventato incubatore ricchissimo di fauna e flora marina, prima di giungere a Marciana Marina dove è possibile fermarsi in uno dei suoi ristorantini o visitare il Bar Lume, dove sono ambientati i delitti narrati da Marco Malvaldi. Il bar è funzionante solo durante le riprese, ma ormai fa parte del paesaggio.
Uno sguardo alla gastronomia
Di mare, di terra, la cucina elbana non fa mancare nulla. Un piatto da non perdere è lo stoccafisso all'elbana che, importato dagli spagnoli è diventata una pietanza tipica. Parlando di vini invece, una menzione speciale va all'Aleatico, un vino dolce, liquoroso, perfetto per fine pasto e immancabile souvenir. Da qualche anno Dopg, viene detto “il vino dell'imperatore”. Vediamo perchè: la leggenda narra che Napoleone in esilio all'Elba fu attratto da filari di vite disposti in maniera molto ordinata, avvicinatosi fu accolto da un giovanissimo contadino all'urlo di “viva il re d'Inghilterra”, i genitori del giovane per farsi perdonare la gaffe del figlio offrirono al condottiero un calice di Aleatico. Napoleone parve gradire, da allora il nettare fu ribattezzato il “vino dell'imperatore”.
Pillole di storia
Professore all'Università cattolica di Milano, Marco Rossignoli, ci racconta brevemente la storia dell'Elba. Le prime notizie sull'isola ci arrivano dallo storico Diadoro Siculo nei cui Annali veniva chiamata “Italia”, dal greco scintilla, essendo l'Elba ricca di fornaci in cui si lavorava il ferro. Italia era abitata dagli etruschi, popolo pacifico che capitolerà alla dominazione romana. Nel 476 dc anche l'Elba sarà saccheggiata dai barbari. Solo intorno all'anno mille si troverà un po' di stabilità sotto la repubblica di Pisa. Durante questa fase, che durerà 400 anni, si costruiranno edifici difensivi come la Torre San Giovanni, la Fortezza Marciana. Da sempre territorio conteso, nel sedicesimo secolo la troviamo suddivisa in tre protettorati: francese, spagnolo (Piazzaforte Spagnola di Longone) e mediceo (Forte Falcone, la città fortificata di Portoferraio).
Solo nel 1802 l'Elba passerà totalmente alla Francia.
Dopo la sconfitta di Lipsia del 1813 Napoleone sarà mandato qui in esilio per calmierare un po' le sue ambizioni, nascerà così il principato dell'Isola d'Elba che comprendeva anche l'Isola di Montecristo, Pianosa, Gorgona e Giannutri.
Il 4 Maggio del 1814 Napoleone verrà portato a Portoferraio e si insedierà nella Palazzina dei Mulini, per poi spostarsi nella residenza estiva di Villa San Martino, entrambe oggi visitabili su prenotazione.
Rimarrà all'Elba solo dieci mesi, ma ne stravolgerà l'urbanistica, costruendo strade, condotte dell'acqua, si occuperà dell'igiene pubblica costringendo gli isolani a costruire latrine, riorganizzerà l'estrazione mineraria.
Il 26 febbraio 1815 quando tutta l'isola sarà concentrata sulla festa organizzata dalla sorella del generale Bonaparte, Paolina Borghese (Bonaparte), Napoleone riuscirà a fuggire.
Sconfitto a Waterloo, questa volta sarà mandato in esilio a Sant'Elena dove morirà esattamente duecento anni fa.
In occasione dell'imminente bicentenario, l'Isola d'Elba si prepara a solenni festeggiamenti, quale occasione migliore quindi per visitare la regina dell'arcipelago toscano arrivando in barca?
Se avessi una patente nautica ci farei più di un pensiero, e se me la prendessi?
Sara Rossi
Per ulteriori informazioni e per i costi, che indicativamente vanno da 2.000-2.500 euro a settimana per una barca vela da 9-11 metri per una famiglia, con 2 cabine per 4-6 persone, sino ad arrivare a un massimo di 4.500 euro per natanti con 4 cabine e capienza sino a 10 posti, oppure a quote da 690 euro a settimana per imbarchi singoli, consultate il sito di Mondovela.
Mentre per dettagli sulla patente nautica fate un giro sul sito di ParmaVela. Never say never.
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Il Forte San Giovanni di Finale Ligure è uno scrigno che raccoglie il racconto di un territorio e delle sue genti. Costruito dagli Spagnoli lungo la strada Beretta, il forte seicentesco si staglia sulla collina che sovrasta il borgo medievale di Finalborgo e la splendida vallata del finalese, ricca di storia naturale e umana, caratterizzata da aspri rilievi montuosi e da numerosi terrazzamenti
destinati alla coltivazione degli ulivi e della vite.
Qui la storia ha lasciato moltissime testimonianze artistiche e culturali che, dalla preistoria passando per il medioevo, sono arrivate sino ai giorni nostri. Tra castelli, chiostri e altri edifici di valore storico, questo territorio è custode di beni da proteggere, rispettare e valorizzare, tra cui il Forte San Giovanni.
Comunemente noto con il nome di Castel San Giovanni, sorge a 50 metri s.l.m. ed è raggiungibile in cinque minuti a piedi dal Borgo lungo l’antica Strada Beretta (o “dell’Imperatrice”), percorribile anche in bicicletta.
Perfettamente inserito sul pendio collinare del Becchignolo, dalle sue terrazze si ha una splendida vista su Finalborgo tra cui si riconosce il campanile e il complesso di Santa Caterina, sede del Museo Archeologico del Finale e, volgendo lo sguardo a est, si può vedere l’imponente profilo della Chiesa barocca di San Biagio e del suo campanile quattrocentesco costruito sulle mura medievali, mentre a ovest, si nota all’orizzonte il Promontorio della Caprazoppa.
Dalle terrazze superiori che affiancano la torre del Forte, si apre alla vista l’entroterra con i borghi che punteggiano la Valle dell’Aquila a est e la Valle del Pora a ovest, da cui si ergono due tra i più importanti monumenti rinascimentali del finalese: la cosiddetta ‘torre dei diamanti’ costruita alla fine del Quattrocento e caratterizzata dal particolare bugnato di forma piramidale in pietra di Finale (elemento distintivo di Castel Gavone) e il caratteristico profilo della Chiesa di Nostra Signora di Loreto, nei pressi dell’abitato di Perti, nota come “Chiesa dei cinque campanili”, anch’esse in pietra di Finale. I due monumenti sono raggiungibili dal Forte proseguendo il tracciato di Strada Beretta.
La storia del forte
Forte San Giovanni venne eretto tra il 1640 e il 1644 sullo sperone roccioso del Becchignolo, sui ruderi dell’omonima torre costruita nel Medioevo a difesa di Finalborgo e collegata alle mura di cinta del borgo.
Insieme a Castelfranco, il Forte è oggi uno degli esempi meglio conservati tra le fortezze costruite dalla Corona spagnola durante il loro dominio sul Finalese (1602-1707), a difesa del territorio.
Progettato da Francesco Prestino, ingegnere militare al servizio dello Stato di Milano, assunse la sua forma definitiva nel 1644 grazie all’impiego quotidiano di centinaia di uomini. Nei decenni che seguirono la sua costruzione, tra il 1674 e il 1678 la struttura venne restaurata e ulteriormente ampliata con alcuni interventi eseguiti dall’ingegnere Gaspare Beretta.
Abbandonato nel 1703, dopo oltre settant’anni trascorsi nelle mani degli spagnoli, la sua storia cambiò nel 1713 quando il finalese venne ceduto alla Repubblica di Genova; i genovesi ne smantellarono l’artiglieria e ne demolirono la parte verso l’entroterra con l’obiettivo di renderlo inutilizzabile.
Nel 1822 la struttura divenne un carcere femminile che fu dismesso nel primo dopoguerra del secolo scorso. Rimasto per lungo tempo abbandonato e in stato di forte degrado, il Forte è oggi di proprietà del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (MIBACT) ed è stato oggetto di un lungo e attento restauro che nel 1999 lo ha restituito all’antica bellezza dell’epoca di dominazione spagnola, ma ha anche preservato alcuni elementi legati al tempo in cui la struttura fu prigione, come le porte delle celle e i sostegni per i pagliericci.
Il forte oggi
Il Forte è oggi costituito da tre edifici principali che si trovano a livelli diversi e sono collegati tra loro da scalinate vertiginose: si tratta del Corpo Nord, verso la collina, dove si trova l’accesso al Forte, del Corpo Centrale (a pianta ottagonale, che ospita la Torre) e, in basso, del Corpo Sud, sviluppato su tre piani e che si affaccia su Finalborgo da Piazza d’Armi.
Entrando dal grande portale in pietra di Finale potete notare l’originario sistema di apertura del ponte levatoio: una struttura a sbalzo sorretta da mensole. Dopo una breve visita alle antiche cucine che conservano ancora il focolare in muratura, entrate nel Cortile d’Armi, il cuore del Forte dal quale si ha accesso alla cappella e al Corpo Nord che ospita diverse piccole stanze utilizzate come celle negli anni in cui la struttura fu prigione. Gli stipiti delle porte in ardesia delle celle conservano alcuni graffiti che raccontano le storie e i pensieri delle anonime ospiti.
Dal Cortile si può salire sulla Torre ad ammirare il paesaggio dell’entroterra, oppure scendere sino alla Piazza d’Armi raggiungibile dalle due scale che abbracciano il forte sui lati di Ponente e di Levante, affacciati rispettivamente sulle Valli del Pora e dell’Aquila.
Lungo il percorso, godetevi i diversi scorci del panorama dalle molte terrazze del Forte o sbirciate all’interno delle antiche celle che si affacciano sulle scale.
Per informazioni e prenotazioni consultare il sito dei musei della Liguria o la pagina Facebook di Forte San Giovanni
oppure chiamare al 338.1276580
INGRESSO GRATUITO (prenotazione obbligatoria) – sono disponibili audioguide e cartellonistica che la raccontano la storia del Forte e guidano il visitatore attraverso circa 1200 mq tra camminamenti, terrazze e spazi verdi, oltre a circa 600 mq di aree al chiuso.
NOTA: Per consentire il rispetto delle norme di sicurezza l’ingresso è contingentato, con prenotazione obbligatoria, visite ogni mezz’ora e ultimo ingresso mezz’ora prima della chiusura del sito.
I percorsi all’interno della struttura sono stati ripensati per consentire il transito dei visitatori nel rispetto delle distanze di sicurezza e apposite dotazioni di gel igienizzante saranno a disposizione nel sito.
Lungo l’antica Strada Beretta
La Via Beretta o Via dell’Imperatrice venne progettata e realizzata nel 1666 dall’ingegnere Gaspare Beretta – uno dei principali ingegneri militari dell’epoca – in occasione del passaggio di Margherita Teresa, figlia di Re Filippo IV di Spagna, diretta a Vienna per sposare l’imperatore d’Austria.
Un’opera maestosa per l’epoca, una strada meravigliosa e ben strutturata per chi doveva attraversarla in carrozza, messa a punto in sole 3 settimane, che doveva collegare Finale con la Val Bormida, passando per il Castel Govone, Pian Marino, Rialto e il Melogno, rappresentando così una comoda via di transito tra le ripide Alpi Liguri verso la Pianura Padana.
Nel corso del tempo, la strada venne in parte danneggiata e rovinata perché considerata militarmente strategica, ma oggi è possibile percorrere il tratto che collega Finalborgo all’abitato di Perti, perfettamente conservato.
Dalla Piazza del Tribunale di Finalborgo si percorre la stretta via che sale sulla collina, una caratteristica “crosa” ligure e si oltrepassa la Porta Mezzaluna, una delle quattro antiche porte del Borgo. Immersi nella macchia mediterranea si raggiunge la prima fortificazione, Forte San Giovanni e continuando l’ascesa lungo la dorsale collinare del “Becchignolo”, si giunge ad un bivio: a destra si raggiunge l’abitato di Perti dopo un lungo tratto rettilineo, mentre a sinistra si arriva alla seconda fortezza, il Castel Govone, dimora dei marchesi Del Carretto che da qui dominavano il Borgo. Giunti nella suggestiva frazione di Perti, si può ammirare la Chiesa di Sant’Eusebio che domina la città e, poco distante, la cappella di Nostra Signora di Loreto, conosciuta comunemente come “Chiesa dei cinque Campanili”, da cui si ha una splendida vista su tutto il finalese.
È un percorso ricco di storia, collocato in un ambiente naturale variegato e di grandi suggestioni, che vale la pena percorrere, calpestando quelle pietre che furono posate nel ‘600 per il passaggio dell’infanta di Spagna.
Per informazioni consultare il sito del MUDIF – Museo Diffuso del Finale
oppure chiamare tel. 019 690020
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Con Bell’Italia di marzo il primo dei tre volumi de ilGolosario
la guida alla cose buone d’Italia di Paolo Massobrio
Eccezionale collaborazione tra Bell’Italia, il mensile di Cairo Editore diretto da Emanuela Rosa-Clot, e ilGolosario, il libro-guida di 1.000 pagine firmato da Paolo Massobrio che si è imposto come punto di riferimento per il turismo enogastronomico.
La collaborazione si declinerà in tre volumi che, da marzo a maggio, con soli due euro in più, si potranno acquistare insieme alla rivista Bell’Italia offrendo ai lettori un viaggio alla scoperta dei migliori artigiani del gusto, delle cantine e dei negozi di città e paese di tutta Italia, attività dove non solo si produce o si vende, ma dove è anche possibile sedersi per un assaggio.
700 tavole segnalate da scovare tra 1400 negozi, 700 produttori e 140 cantine, talvolta poco conosciute ma perfettamente integrate con la filosofia della produzione artigianale, che hanno arricchito l’offerta delle tante città turistiche o dei paesi-cartolina che rendono unica l’Italia, pur in un anno che sta mettendo a dura prova l’economia e il turismo del nostro Paese.
“Al momento - dichiara Paolo Massobrio - ciò che abbiamo verificato e che consegnamo rappresenta una resistenza, molto spesso famigliare, per traghettare l’attività e farla vivere, tra chiusure forzate e speranze di normalità. Ma ilGolosario e Bell’Italia, con questa iniziativa vogliono dimostrare la vicinanza a queste realtà che resistono e che meritano di essere premiate”.
Con Bell’Italia di marzo sarà in edicola il primo volume dedicato a Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia; con il numero di aprile il secondo volume dedicato a Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Marche e Toscana, mentre a maggio uscirà il terzo volume con Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.
“I consigli del Golosario sono frutto di attente indagini sul campo, spesso fuori dalle piste più battute - spiega Emanuela Rosa-Clot, direttore di Bell’Italia - Una vocazione comune a quella della nostra rivista, perfettamente in linea con lo spirito del giornale. Infatti riteniamo che i piccoli produttori enogastronomici, gli “artigiani del gusto”, spesso eredi di tradizioni famigliari che attraversano le generazioni, contribuiscano a raccontare, insieme alle bellezze paesaggistiche e monumentali, il fascino e l’unicità del nostro Paese. Ascoltare le loro storie, scoprire il loro lavoro, che spesso segue metodi antichissimi, e gustare le loro specialità significa riscoprire e ritrovare sapori che fanno parte della nostra storia, e che spesso rischiano di essere dimenticati".
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Il 26 febbraio 1740 nasceva a Saluzzo Giambattista Bodoni, incisore, stampatore e tipografo, padre del celeberrimo carattere che da lui prende il nome. Sinuoso, pulito, con grazie,ma moderno, il carattere Bodoni incarna a pieno un lusso elegante.
Proprio in occasione del suo compleanno, il 26 febbraio 2021, a duecento ottantuno anni dalla nascita, il direttore del Museo della Pilotta, Simone Verde, presenta il progetto del Nuovo Museo Bodoniano, che andrà ad aggiungersi al restyling di alcune sezioni espositive della Galleria Nazionale e al nuovo allestimento del Museo Archeologico.
Prima collocato al terzo piano del complesso museale, di scomoda fruizione, il museo Bodoniano, la cui apertura è prevista per il prossimo 19 aprile, verrà ricollocato al piano terra.
In corrispondenza con la presentazione della nuova Gazzetta di Parma che ritorna dopo anni in carattere Bodoni.
Spiega Simone Verde: “Il museo sta attuando una riqualificazione da circa tre anni e la prossima riapertura del Museo Bodoniano rappresenta uno dei fiori all'occhiello di tutto il complesso. Al terzo piano di un palazzo monumentale, il museo Bodoni non era più in linea con la museografia contemporanea, nonostante fosse, secondo un sondaggio di Repubblica, tra i musei più amati dagli italiani. Abbiamo spostato l'istituto al piano terra, con interventi olistici che puntano a restituire una nuova coerenza alle collezioni nel loro complesso”.
Verde racconta della ristrutturazione per la quale si è optato per lo stile impero, con pareti verdi, pavimento Versailles, lo stesso che veniva usato sia per le residenze che per le officine, in piena coerenza con la tendenza ad associare le arti alle corti, in perfetto stile bodoniano.
“Nella sala terminale ci sarà una biblioteca dove saranno posti tutti i volumi del museo, visionabili anche virtualmente. Saranno collocati anche totem esplicativi.
Tutti gli interventi implicano una tutela intelligente e una rifunzionalizzazione del patrimonio passato. A questi spazi sarà restituita una funzione pubblica. Il museo sarà aperto tutti i giorni. Anche il passaggio interno verrà ristrutturato. L'estetica prescelta ci sembrava quella più coerente con il patrimonio lì custodito, si tratta di una sorta di palinsesto contemporaneo frutto di interventi intersecati per coniugare Bodoni e contemporaneità”.
Andrea De Pasquale, direttore scientifico della Fondazione Museo Bodoniano, spiega la genesi del museo: “Il materiale bodoniano, reso sin subito accessibile al pubblico, venne sin dagli anni 40, musealizzato nella sala dei Ponzoni, distrutta però dalla guerra.
Nel 1963 il museo rinasce come centro espositivo per dotti, per raffinati bibliofili, affascinati dal risultato di questa produzione. Poco evidente risultava il discorso della fabbrica del libro, mentre il libro bodoniano è frutto di una raffinata attività artigianale che deve avvicinare un pubblico più ampio perché le persone sono incuriosite dal lavoro tipografico, anche i giovani. Puntiamo inoltre sull'importanza che Bodoni ha avuto sulla cultura d'Europa, non dimenticando che egli ha avuto il grande privilegio di essere famoso sia in vita sia dopo la morte. Si tratta di un mito cristallizzato, il tipografo della perfezione, dell'eleganza, del lusso. Senza dimenticare che Bodoni scelse di rimanere a Parma, trasformandola appunto nella capitale del libro”.
Orazio Tarroni, presidente della Fondazione Museo Bodoniano, sottolinea i meriti didattici della fondazione tesi a divulgare l'attività scientifica del tipografo saluzzese, come la digitalizzazione e catalogazione delle sue opere: “I numerosi rapporti internazionali nel settore grafico e della comunicazione, e il rinnovato museo consentiranno di valorizzare il lavoro di Bodoni e lo renderanno ancora più accessibile”. Ringrazia poi Cariparma e Monte Parma e Stefano Verde che hanno reso possibile tutto questo.
Non si può parlare di Parma, editoria e Bodoni senza citare Franco Maria Ricci, scomparso lo scorso 10 settembre. Editore, designer, intellettuale visionario in carattere Bodoni potrebbe essere il sommario della sua vita, poiché tutta la produzione della sua casa editrice, con sede a Fontanellato (Pr), dove ha creato anche il famoso labirinto, aveva come cifra stilistica proprio l'eleganza del Bodoni.
Stefano Verdi racconta della collaborazione con Franco e con la moglie e malinconicamente ammette che avrebbe desiderato continuasse ancora a lungo.
Andrea De Pasquale dice che proprio a FMR si deve la salvaguardia del patrimonio bodoniano, del suo carattere, ha finanziato iniziative, ha donato pezzi unici al centro espositivo: “L'anima di Franco sarà sempre nel museo e veglierà su di esso ora e nel corso della sua vita futura”.
Tarroni, non nascondendo commozione, ricorda che FMR sia stato insignito del premio Bodoni, da lui sono state acquistate diverse opere, ha finanziato molteplici attività: “Franco è stata una figura importantissima, ci mancherà”.
Zone e contagi permettendo, ad aprile il Nuovo Museo Bodoni aprirà le sue porte, si potrà così ammirare nuovamente, in una disposizione ripensata e fruibile, il mondo di Bodoni, suddiviso in 4 sezioni: la prima riservata a “Bodoni, Parma e l’Europa”, dove il visitatore avrà a disposizione una panoramica della produzione tipografica del tempo e dei tipografi di riferimento di Bodoni, quali Baskerville.
La seconda e più vasta sezione è invece dedicata a “La fabbrica del libro”, divisa in quattro grandi nicchie. In ognuna di esse è ricostruita una fase del lavoro di Bodoni. A partire dalla fonderia dei caratteri con i suoi strumenti di lavoro: punzoni, matrici, forme di fusione e relativi caratteri, alcuni ancora posti negli armadi creati per contenerli e gestirli al meglio. Poi la parte riguardante la riproduzione, con esempi di manoscritti di tipografia e poi “La stampa”, con prove su carta e pergamena, copie su seta, e il torchio, ricostruzione del 1940, rimesso in funzione anche a fini didattici. Infine per la terza sezione “L’illustrazione e la legatura” sono presenti anche le lastre di rame relative alle edizioni bodoniane. Per questa sezione, il Direttore Verde ha avanzato richiesta all’Istituto Toschi per poter esporre la macchina calcografica della Stamperia reale.
Infine la parte dedicata a “Il mito di Bodoni”: in una grande libreria sarà esposta la raccolta dei suoi volumi, con particolare riguardo alla raccolta palatina ancora con legature originali, al fine di documentarne la bibliofilia.
Bodoni è un mito quindi, ripercorrendo il discorso di De Pasquale: “L'ultimo dei tipografi antichi e il primo tra i moderni, lui si costruiva i suoi caratteri, sapeva fare tutto, componeva e stampava”, una fama nata dal talento: “Era famoso perché era bravo, oltre a essere un grande lavoratore. Solo per merito ha raggiunto la notorietà”. In un mondo di scorciatoie, anche questo ha un immenso valore.
Sara Rossi
per ulteriori informazioni consultare il sito del Museo Bodoniano
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In uno dei periodi più incerti della storia, osare richiede coraggio e il MAR – Museo d’Arte della città di Ravenna con Zeranta Edutainment s.r.l e gli amministratori ravennati, dimostrano di averne da vendere.
Il lockdown non li ha fermati e hanno colto questi mesi per realizzare una piattaforma online con tre virtual tour del progetto espositivo Dante. Gli occhi e la mente, organizzato dalle Istituzioni comunali MAR, Biblioteca Classense, promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna.
Il design e la progettazione dei tour sono firmati da Zeranta Edutainment s.r.l. con la consulenza di Jader Giraldi, mentre la produzione multimediale è realizzata in collaborazione con Flatmind Videoproduction.
I tour sono pronti e sono prodromici alle visite in presenza per omaggiare al meglio questo 2021 anno in cui Ravenna celebra i settecento anni dalla morte di Dante.
Un tour permette di visitare la mostra, già inaugurata l'11 settembre 2020, e visitabile sono al 17 luglio 2021, Inclusa est flamma. Ravenna 1921: Il Secentenario della morte di Dante, allestita presso il Corridoio Grande della Biblioteca Classense.
Gli altri due tour invece anticipano, con una selezione di opere d’arte rappresentative, due mostre che sono in allestimento proprio in questi giorni una, Le Arti al tempo dell’esilio, che si aprirà fisicamente al pubblico il 24 aprile presso la chiesa di San Romualdo e l'altra, Un’Epopea POP, in programma per il 4 settembre al MAR. Lo scopo è proprio quello di entrare in anteprima, con gli occhi e con la mente, nei percorsi espositivi attraverso le parole dei curatori.
Il sindaco della città Michele de Pascale esprime soddisfazione per la realizzazione del progetto e ammette come l'elemento centrale sia quello di assumersi questo rischio in un periodo di pandemia: “Fare programmazione culturale è stata una sorta di mission impossible. Abbiamo cercato di offrire il massimo degli eventi culturali possibili”.
De Pascale afferma che: “Quest'opera di digitalizzazione rappresenta un estremo atto di generosità per permettere a chi è lontano, oppure non può venire in città di persona per problemi fisici, di visionare le nostre opere d'arte. Si tratta di un gesto generoso anche nei confronti delle nuove generazioni che avranno così a disposizione un patrimonio immenso”.
Con entusiasmo ed ottimismo sostiene: “La digitalizzazione non sostituisce la fisicità e la presenza. Credo che il nostro atto di altruismo verrà ampiamente ripagato. Chi vedrà le immagini delle nostre opere, non appena ce ne sarà la possibilità, verrà a visitare Ravenna di persona”.
L'Assessora alla Cultura Elsa Signorino sostiene che: “In questo momento storico difficile per la cultura italiana le tecnologie digitali sono un supporto fondamentale per la valorizzazione e promozione culturale. La possibilità di visionare anche online le mostre dantesche, allestite e in programma per questo 2021, si configura come una nuova modalità di interazione che raggiunge tutti, vicini e lontani, nel segno di una cultura che supera ogni limite. La città di Ravenna con le sue mostre, raggiunge così, nel nome di Dante, non solo tutti i suoi cittadini ma anche il grande pubblico nazionale ed internazionale che attende di tornare a visitare musei e istituzioni culturali”.
Come spiega il consulente multimediale Jader Giraldi, all’interno della piattaforma da cui si accede ai tre virtual tour sono esplorabili 7 ambienti virtuali a 360°, oltre un centinaio gli oggetti esposti e circa 60 contenuti multimediali tra interviste, piccoli documentari e un video musicale pop che contiene un brano composto ed eseguito per l’occasione dall’artista Ivan Talarico, per raccontare la popolarità dei versi danteschi attraverso la citazione di brani di noti cantautori.
“A Ravenna l'amministrazione ha messo a disposizione i beni pubblici digitalizzandoli. Ci si è avvalsi di una piattaforma usatissima e per le riprese d'insieme abbiamo usato dei droni. La particolarità è la presenza del curatore che accompagna passo passo il visitatore alla scoperta dell'opera d'arte”. Continua poi: “Soprattutto per le due mostre non ancora allestite abbiamo mixato diverse tecnologie, costruendo un vero e proprio ambiente digitale, simulando l'occhio e il suo andamento”.
I virtual tour
La mostra Inclusa est flamma. Ravenna 1921: Il Secentenario della morte di Dante, curata da Benedetto Gugliotta, è stata aperta nel settembre 2020. Nel tour che la interessa sarà possibile conoscere la storia del Secentenario dantesco che si svolse a Ravenna alla presenza del Ministro della Pubblica Istruzione Benedetto Croce e attraverso l’analisi di celebri opere in mostra, come i sacchi decorati da Adolfo De Carolis col motto “Inclusa est flamma” (“La fiamma è all’interno”) che Gabriele D’Annunzio l'anno seguente donava alla città di Ravenna.
Con il virtual tour della mostra Le Arti al tempo dell’esilio che si svolgerà presso la chiesa di San Romualdo, a cura di Massimo Medica, è possibile entrare nel progetto scientifico costruito ripercorrendo l'esilio dantesco, attraverso importanti opere d'arte legate alle città in cui Dante ebbe modo di sostare, partendo dalla sua Firenze attraversando l'Italia, per giungere infine a Ravenna, suo "ultimo rifugio".
È inoltre possibile conoscere la storia delle opere, come il Polittico di Badìa di Giotto – importante prestito delle Gallerie degli Uffizi - che l'artista realizzò per l'altare maggiore della Badìa Fiorentina, chiesa vicina all'allora abitazione di Dante a Firenze e che, con ogni probabilità, il Poeta ebbe modo di vedere durante la sua realizzazione, o come la scultura di Manno Bandini da Siena che ritrae un imponente Bonifacio VIII - prestito dei Musei Civici Medievali di Bologna - personaggio chiave della vita di Dante e da lui citato nel XIX canto dell'Inferno, quelle di Cimabue, Arnolfo di Cambio, Pietro e Giuliano da Rimini, Giovanni e Nicola Pisano.
Nel percorso della mostra Un'Epopea POP, a cura di Giuseppe Antonelli e con un percorso d’arte contemporanea a cura di Giorgia Salerno, si possono percorrere le sale del MAR approfondendo le sezioni tematiche legate agli aspetti più popolari della figura di Dante e quelle dedicate all'arte contemporanea. I curatori, qui, accompagnano il pubblico nel racconto della fortuna dantesca: i suoi celebri versi, entrati nel linguaggio comune degli italiani, e riprodotti negli almanacchi e nei calendari, nei poster e nelle magliette, nelle pubblicità e nelle canzoni; e il suo iconico profilo, con la miriade di oggetti che lo riproducono; e infine l'arte contemporanea e la sua rilettura di temi danteschi attraverso le opere di celebri artisti come Edoardo Tresoldi, Richard Long, Kiki Smith e Robert Rauschenberg.
Per completare l'incursione nel mondo dantesco non poteva mancare una testimonianza dei lavori di restauro della Tomba di Dante e l’introduzione ai progetti espositivi attraverso le parole del direttore della Biblioteca Classense e Museo d’Arte della città, Maurizio Tarantino.
Non resta che visitare la città che accoglie le spoglie mortali del sommo poeta, prima virtualmente e, appena sarà possibile, di persona per celebrarne la bellezza che, a detta del suo sindaco, è ancora ampiamente sottovalutata.
Sara Rossi
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Ci ha lasciato pochi mesi fa Enzo Mari, geniale, ruvido, intelligente, vero. Nato a Novara nel 1932, ma milanese di adozione poiché nella nostra città ha perfezionato le sue conoscenze, studiando a Brera dal 1952 al 1956, e sviluppando il suo amore per il design, per la “programmazione” in estetica, per lo sviluppo della creatività. A parte qualche avvicinamento al modo accademico, si è formato da autodidatta, la sua idea era quella di creare un luogo dove “allenare alla conoscenza”. Poi invece nelle accademie ci è entrato, ma come docente, nella scuola della Società Umanitaria sino al 2000, al Politecnico di Milano, alle facoltà di Disegno Industriale e Architettura e a Parma dove insegna Storia dell'Arte.
Nel 2015 l'accademia di Brera gli ha riconoscito la laurea ad honorem.
“Bisogna cercare di progettare, per evitare di essere progettati”, questo uno dei suoi motti, una lotta continua alla passività, consapevole della necessità di intervenire sulla cultura di massa verso un progetto globale di qualità. Il suo lavoro è il risultato di precise convinzioni e prese di posizione a livello "ideologico e politico", d'ispirazione egalitaria e marxista.
Mari è morto in questo periodo di lockdown, e Milano si è attrezzata per rendergli quell'omaggio a 360 gradi, da sempre atteso ma arrivato solo postumo.
Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli
Con una mostra alla Triennale di Milano, “Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist”, visitabile sino al 18 aprile per cui il direttore di Triennale e amico di Mari, Stefano Boeri, ha chiamato Hans Ulrich Obrist, HUO. Qui sono documentati oltre 60 anni di attività di quello che è riconosciuto come uno dei principali maestri e teorici del design italiano, attraverso progetti, modelli, disegni, approfondimenti tematici, con materiali spesso inediti provenienti dall’Archivio Enzo Mari e interventi di artisti e progettisti di fama internazionale.
Secondo Mari: “Gli artisti antichi non erano gli artisti romantici di oggi, erano dei designer o dei sacerdoti. Realizzavano un'opera di significato collettivo che doveva sempre comunicare l'utopia”. E Stefano Boeri spiega che la mostra è stata realizzata sulla scia delle parole di Enzo che diceva di voler donare tutta la sua opera alla città di Milano, ma con l'unica condizione che nessuno per 40 anni avesse accesso a quell'archivo perchè, secondo Mari, nessuno avrebbe compreso il senso della sua arte. “Questa mostra quindi nasce come preludio di quarant'anni di oblio”, continua Boeri.
Enzo Mari era profondamente convinto del legame indissolubile tra lavoro e politica: “Il lavoro, se si ha l'atteggiamento giusto, determina un secondo lavoro che è quello politico, quindi il lavoro è la sola condizione perchè gli uomini possano realizzare la propria felicità”. Sulla scia di queste affermazioni, Boeri conferma che il tema della mostra è proprio il lavoro come continua possibilità intorno alla vita di un oggetto, ma anche la sua capacità di sintetizzare un intero mondo in un disegno.
La prima parte dell'esposizione contiene alcuni pezzi storici della produzione del designer, come il celeberrimo vassoio a putrella. Con Mari le forme vengono ridotte all'essenzialità, ma con una tensione, quasi involontaria, alla “trascendenza”, che emerge solo quando la ruvida bonaria guardia viene abbassata: “Pensavo a un lavoro che non finisse subito per cui ho pensato agli animali”. Ed ecco in mostra alcuni pezzi che rimandano al suo lavoro sulle forme animali.
La seconda parte della mostra si occupa delle sue ricerche come quella sull'autoprogettazione, secondo Boeri si tratta di una vera e propria scuola, lezioni in cui spiegava il significati di reimparare a realizzare.
In questa sezione si trova anche “Allegoria della morte” dove sono rappresentate le 3 grandi ideologie, il comunismo, la religione monoteista e, al centro, grande provocazione, il commercio, che rappresenta la mercificazione della vita.
E' anche riproposta una rapprentazione dell'arte Vodoo pensata per la Fondation Cartier, sculture in legno congiunte a una dimensione umana rappresentata da una serie di porte chiuse: il culto dei morti legato ad una dimensione domestica.
C'è infine una parte dedicata alle interviste, alla dimensione retorica, Enzo Mari era un produttore di invettive, “occorre produrre meno” era il suo mantra.
“Enzo Mari oscilla tra ricerca progammata e intuizione, era un ricercatore serio, ma mai serioso, percorso da un continuo gusto del disincanto. Un uomo sorridente che non si prendeva del tutto sul serio”, conclude Stefano Boeri.
Falce e Martello. Tre dei modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe
Per comprendere il genio di Enzo Mari non si può non visitare le mostra gratuita, aperta sino al 31 marzo 2021, nello spazio di Galleria Milano di Via Turati 14/Via Manin.
Si tratta di una riproposizione della stessa mostra, inaugurata nel medesimo spazio il 9 aprile del 1973. Carla Pellegrini allora sceglieva Enzo Mari per aprire ufficilamente il suo nuovo centro espositivo. La mostra suscitò grande scalpore e successo di pubblico. Oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, è proposta una riproduzione fedele della stessa, ricostruita filologicamente grazie ad un’operazione di ricerca che ha coinvolto principalmente l’Archivio della Galleria Milano e l’Archivio Enzo Mari.
La falce e il martello sono riprodotti quasi ossessivamente. Nell’abisso che separa la percezione del simbolo dagli anni Settanta ai giorni d’oggi, attraverso la visione di un autore illuminato come Mari, è possibile leggere il cambiamento epocale che ha riguardato non solo la società, ma anche il tessuto culturale e lo spirito più profondo della città di Milano.
Il progetto allora nacque da un esercizio proposto ad una studentessa, Giuliana Einaudi. Il punto di partenza fu una raccolta di dati, in cui vennero confrontati emblemi riprodotti sui muri, le comunicazioni di partito, i volantini, nel tentativo di allargare la ricerca a più luoghi possibili. Il secondo momento fu la progettazione di un simbolo di qualità esteticamente elevata, per giungere alla conclusione che il valore formale non incide sul significato veicolato. Da qui le opere in mostra, raffiguranti tutte la falce e martello: i due singoli oggetti d’uso, il simbolo progettato in studio, una grande scultura rossa, lignea, bandiere in lana serigrafate in diversi colori, una litografia riproducente la ricerca con 168 simboli, una serigrafia in due colori. Questi ultimi tre elementi furono inclusi insieme ad una piccola pubblicazione in una cartella pubblicata dalle Edizioni O, la casa editrice della Galleria Milano fondata da Baldo Pellegrini, marito di Carla.
Dopo un animato dibattito, la stessa sera dell’inaugurazione fu proiettato il film Comitati politici – Testimonianze sulle lotte operaie in Italia nella primavera del ’71, realizzato da Mari con il Gruppo di Lavoro, composto da alcuni studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Il documentario, ritrovato dopo una lunga ricerca, è stato digitalizzato dall’Archivio Home Movies di Bologna ed è visibile anche nell'esposizione attuale.
Falce e Martello si inserisce pienamente nell'impegno di Mari degli anni Sessanta, del suo legame con il comunismo e con il movimento Arts and Crafts, e del suo modo di vedere il design come intrinsecamente politico.
Enzo Mari resiste al tempo
Mari è un designer industriale, un disegnatore di mobili, un progettista di mostre, scrittore di libri per bambini e adulti, un artista, un autore di manifesti, un polemista celebre per le sue sfuriate contro il mondo del design.
Nonostrante abbia realizzato pezzi celebri per noti marchi, come il Calendario da Parete e i 16 animali per Danese, la sedia Tonietta, e la libreria componibile per Zanotta, lo spremiagrumi Squeezer e i cavalletti Ypsilon di Alessi, le posate piuma di Zani&Zani, solo per citarne alcuni, ciò che lo infastidiva di più era che il mondo del design puntasse al profitto: voleva liberarsi di questa idea di guadagno, di commercializzazione, di industria, di marchi, persino di pubblicità. Perché, secondo Mari, il design è tale soltanto se comunica anche conoscenza.
Come sottolineato da Hans Ulrich Obrist: “Ciò che colpisce dei suoi progetti – a qualsiasi campo essi appartengano – è la loro resistenza alla prova spietata del tempo. Il suo obiettivo è sempre stato quello di creare progetti che fossero sostenibili sia nella loro materialità sia nell’estetica, e che risultassero accessibili a tutti. Nel 1974, in linea con la sua idea di democratizzazione del design, concepì l’incredibile Autoprogettazione, un “esercizio individuale da realizzare per migliorare la propria consapevolezza”. Questa guida pratica è diventata una fonte di grande ispirazione per numerosi progetti, tra i quali il progetto Do It che Christian Boltanski, Bertrand Lavier e io abbiamo inaugurato negli anni Novanta.
Una volta Enzo mi ha detto – continua Obrist: “Guarda fuori dalla finestra e se ciò che vedi ti piace, allora non c’è ragione di fare nuovi progetti. Se invece ci sono cose che ti riempiono di orrore al punto da farti venire voglia di uccidere i responsabili, allora esistono buone ragioni per un progetto”.
La trasformazione secondo Mari nasceva nasce quindi dal bisogno – conclude Obrist: “E c’è qualcosa di molto umile nell’idea di creare solo ciò che serve. La modestia e il dubbio hanno sempre fatto parte della pratica di Mari”.
Sara Rossi
Per informazioni sulle mostre su Enzo Mari in corso a Milano, consultate il sito della Triennale (Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli) e quello di Galleria Italia (Falce e Martello. Tre dei modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe)
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