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La laguna di Caorle è un capolavoro d’acqua e di umanità: una sorta di paradiso poco conosciuto, al quale solo l’amicizia con i pescatori consente l’accesso. Almeno finora, perché le cose sono destinate a cambiare con la nuova legge regionale sull’ittiturismo e pescaturismo, che apre la porta a nuovi ospiti di questo ambiente straordinario, che non a caso fu uno dei luoghi più amati e felicemente vissuti da Ernest Hemingway. In 'Di là dal fiume e tra gli alberi' (1950), il grande scrittore americano, Premio Nobel per la Letteratura nel 1954, pennella questi paesaggi, ricchi per lui di giornate piacevoli e di ricordi, riproponendo ai lettori di tutto il mondo uno scorcio di assoluta bellezza. Ernest Hemingway aveva una vera passione per l’Italia e per il Veneto, dove tornava quando poteva, per cacciare nella laguna di Caorle. In Italia Heningway era arrivato per la prima volta per vedere e vivere la prima guerra mondiale, che gli era stata negata come combattente nell’esercito americano, per un difetto della vista. Aveva perciò ripiegato sul soccorso ai feriti svolto dalla ARC la Croce Rossa Americana. A lungo nelle retrovie, fece di tutto per poter operare in zona di combattimento fino a che venne accontentato: a fine giugno del 1918 raggiunse il Piave, dove sfortunatamente, poco più di una settimana dopo, a Noventa, rimase ferito. L’Italia gli rimase dentro e Caorle con la sua laguna era per lui un luogo prediletto, dove si recava quando poteva, ospite di Raimondo Nanuk Franchetti, nella Villa di famiglia in località San Gaetano. Molti ancora se lo ricordano, a Caorle, questo scrittore che amava la convivialità, la laguna, il mare, la buona cucina, la natura.
E proprio da qui, da questa laguna, comincia una nuova avventura del Veneto ospitale, quella rivolta a quanti vogliono dedicarsi alla pesca e all’ottima cucina di mare per il puro piacere di praticarla, magari nel contesto di una vacanza o di quelle ferie tanto sospirate, a fianco a fianco di chi con il mare ci vive e ci lavora da una vita e forse da generazioni. Pescaturismo e ittiturismo sono due proposte che vanno incontro a simili aspettativi. Il Veneto ne ha riconosciuto il ruolo e lo ha disciplinato per rendere ancora più ricca, variegata e completa la sua offerta di turismo per tutti.
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C’era in un tempo lontano una pianura padana fatta solo di campagne e risaie, della sua vita che scorreva seguendo i ritmi delle stagioni. E con la sua gente semplice, così distante e così diversa da quella delle città dove, in molti casi, non si sarebbe mai avventurata neppure una volta nel corso di un’esistenza intera. L’atmosfera è cambiata, ma alcune persone hanno conservato tradizioni ancestrali e nel passaggio generazionale le hanno declinate al presente con la passione degli avi e le conoscenze più attuali. E’ il caso della famiglia Rondolino che dal 1935 si dedica alla coltivazione del riso in una zona vocata a questo scopo sin dall’antichità. A Livorno Ferraris, nel vercellese, gestisce la tenuta La Colombara, un feudo del 1500 acquistato da un ramo dei Savoia e che ha conservato il fascino di tutti i luoghi con una lunga tradizione alle spalle. L’imponente struttura a pianta quadrata è circondata da risaie a perdita d’occhio, ovattate dalla foschia d’inverno e sfocate nel pieno sole dell’estate. Così come in quei campi sapientemente allagati sono ancora lo scorrere del tempo e le condizioni climatiche a determinare i ritmi per la semina e il raccolto, all’interno di quella che Piero Rondolino titolare dell’azienda ama chiamare 'cascina', è la tecnologia più avanzata a farla da padrone. Grazie alla combinazione dei fattori uomo - natura, all’entusiasmo e all’energia che la famiglia mette nel lavoro, il prodotto che lascia la tenuta è un’eccellenza alimentare che non teme confronti. Una sola varietà coltivata, la Carnaroli, trattata con procedimenti particolarmente attenti e assolutamente insospettabili come l’invecchiamento. Questa pratica applicata al riso grezzo conservato in silos al fresco, consente all’amido in presenza di ossigeno di perfezionare le sue caratteristiche. Minimo 12 mesi, ma ci sono raccolti conservati per 7, 8 e persino 9 anni prima delle successive lavorazioni.
Per la raffinazione viene utilizzata una tecnica inventata nel 1875 e ancora oggi considerata la migliore anche se, per ragioni legate a tempi e costi è stata abbandonata da tutti i produttori tranne che dai Rondolino. Alla fine il prezioso cereale lascia la cascina natale; battezzato 'Acquerello' si muove in eleganti lattine o pacchetti sottovuoto per conservare al meglio la sua qualità e veste un’etichetta che evoca il suo luogo d’origine.
Il viaggio sarà lungo per raggiungere gli oltre 30 Paesi al mondo che lo importano; dagli Stati Uniti all’Australia al Giappone i migliori chef dei più prestigiosi ristoranti lo considerano la materia prima che garantirà il risultato dei loro piatti. Ma l’acqua dei terreni argillosi che da centinaia d’anni accoglie la semina ad aprile per restituire i frutti a settembre ha anche altre storie da raccontare: quella del microcosmo che La Colombara, lontana dai centri abitati, rappresentava. Un piccolo mondo autonomo dove trovavano spazio una bottega da fabbro e una da falegname; il laboratorio di una sarta e un’osteria.
La scuola, la chiesa, le stalle per gli animali e le scuderie per i cavalli. E i dormitori delle mondine; figure emblematiche delle risaie che arrivavano qui per lavorare nei campi lasciando, anche molto lontano, le loro famiglie alle quali tornavano con un compenso importante per la povera economia domestica. A questa realtà tutta padana, alla sua conservazione e diffusione, dedica molti sforzi ed energie Piero Rondolino che è riuscito a ricreare gli ambienti con oggetti, attrezzi, mobili e suppellettili originali dell’epoca. Sarà la suggestione del luogo, l’autenticità dell’ambito ma a tratti, visitando La Colombara, si ha l’impressione che da un momento all’altro il silenzio della pianura sarà rotto dal chiacchiericcio delle donne scalze di ritorno dalle risaie al tramonto o dalle voci dei bambini che raggiungono i loro banchi in classe. La famiglia Rondolino è sempre felice di condividere le emozioni e la storia di questi luoghi accompagnando chiunque lo desideri in una visita guidata della tenuta.
Paola Drera
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Formalizzare all’Unesco la proposta perché la "cultura del Tartufo" sia inserita nel registro dei beni immateriali patrimonio dell’umanità. È il nuovo ambizioso obiettivo dell’Associazione Nazionale Città del Tartufo, che ha da poco celebrato il suo ventennale.Precursori di tendenze, prima che il marketing territoriale si imponesse come metodo e strumento di promozione e comunicazione per lo sviluppo di aree vaste attraverso la valorizzazione delle peculiarità ambientali, storiche, architettoniche, culturali ed enogastronomiche dei territori, le Città del Tartufo si erano già associate per raggiungere questo obiettivo, che si rinnova di anno in anno.
La tutela e la valorizzazione del tartufo e dei suoi territori, insomma, sono i cardini dell’attività messa in campo dall’Associazione Nazionale Città del Tartufo, che trovano oggi nuovo impulso e contenuto nell’intenzione di formalizzare la proposta all’Unesco.
"L’idea – continua il Presidente, in merito alla proposta rivolta all’Unesco - è quella di concentrare l’azione sul tartufo bianco, che ha tutta una sua particolarità nella storia del sistema di raccolta, non è supportata da moderne tecniche agricole, come avviene, invece, per il tartufo nero, ma è una grande sfida tra l’uomo, il cane e tutti gli altri cercatori. È un mondo che affascina moltissimo coloro che visitano i territori del tartufo ed è un forte valore aggiunto, da tutelare".
Proprio considerando il fatto che, se anche l’appellativo "pregiato" spetta al bianco d’Alba e al nero di Norcia, ci siano altri tartufi che meritano grande apprezzamento, le Città parlano "plurale e italiano" affrontando tematiche che vanno dalla tutela dell’ambiente tartufigeno alla difesa del prodotto nazionale fino alle sofisticazioni e frodi, compiendo passi non brevi, ma necessari.
E proprio per rendere questa ricchezza collettiva e l’ambiente tartufigeno una risorsa rinnovabile, le Città del Tartufo si rivolgono all’Unesco per il riconoscimento, ben consapevoli della complessità del percorso, ma anche supportati da una massa critica imponente che va dal mondo delle istituzioni che le Città rappresentano (50 associati distribuiti in 11 Regioni Italiane), a quello scientifico.
Infine, tra i nuovi impegni che interesseranno l’associazione, un ulteriore passo nell’ottica di promozione e valorizzazione del Tartufo in vista dell’Expo 2015.
Da San Giovanni d’Asso (Siena) ad Alba (Cuneo). Tutti insieme in nome di Sua Maestà il Tartufo per firmare il Protocollo d’Intesa tra tutte le realtà tartufigene italiane in vista della candidatura all’UNESCO come Patrimonio Immateriale dell’Umanità della Cultura della preziosa trifola. Il tema dell’ammissione della Cultura del Tartufo presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, sarà al centro di alcuni momenti di confronto e di discussione previsti nei due fine settimana del 10-11 e 17-18 novembre a San Giovanni d’Asso in occasione della 27/ma Mostra Mercato del Tartufo Bianco delle Crete Senesi. L’appuntamento con ‘’La cultura del Tartufo come bene immateriale dell’Unesco: il territorio dove nasce, le esperienze, le prospettive future per i territori rurali e la domanda di annessione’’ è per sabato 10 novembre alle 15.30 nella Sala del Camino del Castello di San Giovanni d’Asso, a cui sono invitati il Presidente dell’Associazione Nazionale Città del Tartufo, il Presidente dell’Associazione Nazionale Siti Unesco e i sindaci dei vari comuni interessati dall’iniziativa. Nella stessa giornata verrà anche presentato il nuovo sistema di tracciabilità del tartufo in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Ateneo Senese ed il nuovo sistema QR Quality, nato con l’obiettivo di proteggere i consumatori di Tuber magnatum Pico dal sempre più incombente pericolo derivante dalle contraffazioni.
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Primi passi, ieri a Caorle, per la promozione di due nuove attività, pescaturismo e ittiturismo, disciplinate con la Legge della Regione del Veneto dell’agosto scorso che aggiorna anche le norme sull’agriturismo. Contenuti e opportunità della legge sono state presentate dall’assessore alla pesca Franco Manzato, accompagnato dall’assessore comunale al turismo Francesco Giuseppe Gusso (non ha potuto intervenire il presidente della IV Commissione consiliare Davide Bendinelli), nel corso di una battuta di pesca turistica e del successivo coronamento in un tipico casone in compagnia di giornalisti e rappresentanze delle istituzioni coinvolti nel 'pianeta mare', voluto dalla Regione e organizzato dalla marineria caorlotta per 'testare' dal vivo queste nuove attività (nuove almeno per il Veneto), che abbinano una parte di quello che viene chiamato settore primario con l’economia turistica nella quale il Veneto è primo in Italia nonostante la crisi economica mondiale.
E’ stata una sorta di 'prova del 9' per il prossimo futuro della legge, discussa ed esaminata a stretto contatto con abitanti dei casoni e pescatori in un luogo che è tra i più belli e meno conosciuti del Veneto: quelle parti della laguna di Caorle dove non è facile arrivare e dove vigono anche vincoli molto stretti, che al momento ne limitano le potenzialità di approccio da parte dei turisti. Alla realizzazione di questa singolare esperienza ha collaborato l’insieme della marineria locale, con le barche, i pescatori e il pescato per poter gustare i sapori del mare, abbinati agli spumanti messi a disposizione per l’occasione da Iris Vigneti.
Proprio dai colloqui diretti con i pescatori professionali, titolati ora ad esercitare una attività collaterale che prevede la presenza di turisti sulle barche da pesca e la possibilità di dare loro ospitalità e ristoro, sono emersi utili suggerimenti per l’attivazione pratica delle nuove norme, che toccano un settore dove convergono competenze locali e nazionali che, è stato detto, non devono diventare un ostacolo ma semmai concorrere per sviluppare nel migliore dei modi le nuove opportunità di reddito collaterale che comportano. Su questo si è particolarmente soffermato Manzato, che ha ribadito l’esigenza di combattere la burocrazia in Italia a tutti i livelli, ma soprattutto di evitare che se ne crei dell’altra. "Pescaturismo e ittiturismo sono segmenti che si collegano direttamente a quanti oggi lavorano in un settore in crisi profonda, quello della pesca - ha ricordato Manzato - che possono dedicarsi ad una attività collaterale che rappresenterebbe non solo una fonte complementare di reddito ma anche un’occasione per alleggerire lo sforzo di pesca sul nostro mare". Ora si tratterà di operare tutti per darne rapida attuazione.
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Immaginate di avere a disposizione vongole dell’Alto Adriatico surgelate in guscio, pronte ad essere messe immediatamente in padella e con caratteristiche di sapore e persino profumo non distinguibili dal prodotto fresco. Sarebbe l’uovo di colombo per molti consumatori e anche per parecchi ristoranti, che potrebbero conservare un prodotto tipico e di assoluta qualità da proporre ogni volta che serve, senza essere vincolati ai tempi della pesca, non alternativo al fresco ma piuttosto complementare (basti pensare a quando, all’ultimo momento e a prodotto fresco terminato, arriva un gruppo di clienti che desidera vongole 'nostrane'). I normali consumatori di famiglia, dal canto loro, non sarebbero legati alla necessità di cucinare subito l’intera quantità di prodotto comprato, visto che le vongole fresche hanno una conservabilità assai limitata, e potrebbero, ad esempio, prepararsi senza problemi gli spaghetti con le vongole per poche persone ogni volta che ne avessero il desiderio. Potrebbe diventare un prodotto tipico anche facilmente esportabile per la ristorazione italiana all’estero. Ecco, oggi questo prodotto c’è: è realizzato per ora in modesta quantità con un sistema unico, messo a punto dalla Organizzazione di Produttori di Molluschi Bivalvi del Mare Veneto con il controllo dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie di Padova. Le vongole surgelate a guscio chiuso vengono proposte in sacchetti sigillati da chilo, con una scadenza di 12 mesi dal confezionamento. Il prodotto è stato distribuito e sperimentato nei mesi scorsi nella ristorazione, ieri è stato presentato, in una prova 'al buio', in occasione della prima esperienza di pesca turismo e ittiturismo, voluta dalla Regione del Veneto e materialmente organizzata dalla marineria caorlotta, per divulgare i contenuti della recente legge che disciplina le attività di pesca turismo e ittiturismo. Commensali di eccezione erano lo stesso assessore regionale alla pesca Franco Manzato e l’assessore comunale Francesco Giuseppe Gusso, oltre a giornalisti, tecnici ed esponenti di istituzioni impegnate in vario modo nella tutela e valorizzazione delle risorse del mare, dell’ambiente e del territorio. Nessuno dei commensali si è accorto di consumare un prodotto surgelato, del quale hanno apprezzato gusto, 'freschezza' e profumo. Tra un mese, le vongole surgelate del mare veneto cominceranno ad essere in vendita anche nella grande distribuzione.
Per prepararle, le vongole del mare veneto (Venus Gallina) vengono pescate, controllate, selezionate, de-sabbiate e accuratamente pulito, scottate in acqua bollente e congelate con sistema Individual-Quick-Freezing, cioè Surgelazione Rapida e Individuale, con il quale si ottengono porzioni non appiccicate le une alle altre e ciò permette di poter prelevare con facilità dalla confezione il numero necessario di pezzi aumentando la praticità e diminuendo gli sprechi. Il prodotto viene successivamente confezionato in buste e immagazzinato (e trasportato) a temperatura controllata di – 18 gradi, – 20 gradi. Il processo di congelazione, tra l’altro, abbatte la carica batterica del prodotto fresco, che già da fresco è ben al di sotto dei limiti di legge. Le vongole così surgelate si cucinano allo stesso modo di quelle fresche, mettendole direttamente in padella con battuto di cipolle, aglio per chi lo desidera, olio d’oliva, coperte con coperchio. Sono pronte quando le valve sono completamente aperte, in un tempo non dissimile e anzi un po’ inferiore a quello necessario per il fresco.
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