In un momento storico dove l’intolleranza religiosa mostra il suo lato più oscuro attraverso azioni efferate, si scoprono esempi diametralmente opposti, confessioni diverse che convivono in pace addirittura nello stesso luogo di culto. Succede da secoli a Biberach, una cittadina tedesca dell’Alta Svevia, nota per essere un punto di riferimento sul percorso dell’arte barocca del nord Europa e per ospitare la Chiesa di San Martino, splendido esempio di questo stile architettonico. Con la Riforma protestante del XVI secolo, per non rompere gli equilibri sociali ed economici esistenti, Biberach è riuscita a creare un governo di rappresentanza paritaria tra cittadini di fede cattolica e protestante, distribuendo equamente agli uni e agli altri le cariche pubbliche e riconoscendo pari diritti di culto ai suoi abitanti. Tra il 1600 e il 1700 Biberach, così come l’intera regione, soffriva la povertà derivante dalla Guerra dei 30 anni e non era quindi in grado di erigere due distinti edifici che potessero ospitare cattolici e protestanti così, la chiesa di San Martino, è diventata la casa delle due religioni e la tradizione non è mai andata perduta. Ancora oggi, ed è l’unico esempio in tutta la Germania, il tempio viene spartito a orari ben definiti e concordati. In origine era stata fatta di necessità virtù, ma nel presente la pratica di condivisione della parrocchia è la dimostrazione chiara di quanto tolleranza e rispetto reciproco possano essere elementi sufficienti per una pacifica convivenza.
Nata in stile gotico, si evolve in barocco intorno al ‘700 e adatta i diversi spazi degli interni ai caratteri cattolico e protestante: più opulento il primo, espresso nell’area dedicata all’altare, in contrapposizione con l’austerità tipica del secondo rappresentata nella navata. Le due religioni sono testimoniate attraverso adattamenti delle immagini sacre per adeguarsi l’una all’altra e il denominatore comune che le unisce, la Bibbia, è l’elemento ispiratore degli affreschi. A ulteriore riprova della pacifica convivenza delle due fedi, un’antica copia della stessa Bibbia di Martin Lutero troneggia sull’altare, firmata sulla medesima pagina da un vescovo cattolico e uno protestante. “Condivisione” sembra essere la parola d’ordine della cittadina; proprio a Biberach per la prima volta viene tradotta da Cristoph Wieland un’opera di Shakespeare in tedesco e messa in scena nel piccolo teatro amatoriale locale. Naturalmente anch’esso in condivisione! Nel ‘700 infatti il piano terra ospitava di giorno il macello pubblico e la sera, nei locali sovrastanti, le rappresentazioni.
E se il barocco come stile architettonico è l’anima di Biberach, non poteva mancare un rimando all’epoca neppure in cucina. Gli chef locali si sono dedicati allo studio di testi che riportano precise indicazioni su ingredienti e ricette tipiche del periodo, riuscendo così a elaborare menù che riproducono i sapori di un tempo. Il popolo aveva difficoltà a sfamarsi e puntava la propria alimentazione su cereali, rape e cavoli, ma la nobiltà e i monaci potevano permettersi banchetti opulenti composti da pesce, carne di manzo, volatili e selvaggina provenienti soprattutto dalle loro riserve di caccia e accompagnati da vino, birra scura e verdure pregiate. Questi stessi ingredienti sono alla base delle prelibatezze proposte da alcuni ristoranti, piatti fedelmente riprodotti per rivivere a 360° l’atmosfera dell’epoca. Tra i virtuosi dei fornelli il giovane Christoph Kleber del ristorante-hotel Heberbacher Hof che, ispirandosi al periodo barocco fiorente tra il 1575 e il 1770, ha elaborato una sequenza di pietanze, tessere di un mosaico create per ricomporre una cena che riporta direttamente alle tavole nobili. Caratterizzato da preparazioni complesse e al tempo stesso delicate, il menù propone elementi come il songino e il melograno abbinati a guancette di vitello; canederli, pollame e tuberi, per chiudere con un dessert di gelato (che all’epoca viveva già il suo massimo splendore) accompagnato dalla frutta, elemento immancabile nelle residenze aristocratiche. Christoph Kleber ha trovato ispirazione per il suo menù nei testi dell’epoca e si procura gli stessi ingredienti, disponibili ancora oggi, nella produzione locale per mettere nei suoi piatti una storia vecchia di 500 anni.

Paola Drera