Negli ultimi anni è tornata di moda l’idea che una piccola autosufficienza legata a un microcosmo agricolo, ci salverà. Ci salverà quando ci sarà la crisi economica, quella degli approvvigionamenti e la crisi di un mondo troppo stressato. Insomma la crisi di tutto. Avere un orto che ti darà patate, una mucca per il latte e la semplicità dei costumi, sarà il “bussines” vincente.
Macchè oro, titoli, cartamoneta. Quelli non te li potrai mangiare, non ti faranno respirare, non ti faranno vivere. In Maramures, Romania, si attua da decenni questa semplice filosofia agricola.
E mi svegliai una mattina, come sempre. Ma era il 2012 e mi accorsi che attorno a me non c’era più nulla. Non pubblicità, banche, bollette, traffico : neppure il letto era rimasto. Non esisteva più tutto quello che era “indispensabile” per vivere. Mi ricordai allora di un mondo antico di cui avevo sentito parlare: Maramures, Romania. Non presi nulla da casa, perché casa non c’era più. Così, mi preparai ad attraversare i confini. Slovenia, Croazia, Ungheria e Romania. Ma neppure i confini esistevano più e camminavo sola attraversando deserti ambientali ed economici. Non fu facile arrivare, ma facilissimo fu capire che c’ero. Lì il 2012 era solo un insieme di numeri sul calendario.
Antica regione agricola nascosta tra i Carpazi, riesce a mantenere intatte e peculiari le caratteristiche di una cultura e di un’economia prevalentemente agricole. Anche Ceausescu non impone qui il suo folle progetto di urbanizzazione forzata che negli anni ’80, ha decretato l’abbandono dei campi ed il trasferimento coatto nelle città. Il potere, come il resto del mondo, forse si è un po’ dimenticato di questo luogo che ora può diventare un ottimo osservatorio per il futuro.
La natura qui era bella, ancora intatta. Piccoli paesi di legno con grandi campanili puntuti. Come le antiche chiese. Modeste, piccole, tanto piccole per cercare di schivare quell’inverno che qui è ancora così freddo da far assaporare il piacere dello stare vicini. Il caldo della comunità, seduti su pancacci ammorbiditi da caldi e colorati tappeti, tessuti dalle donne. E l’occhio, reso cieco dall’abbagliante passaggio dalla luce al buio come un’anima nel suo ultimo attimo di vita, scopriva la bellezza dell’aldilà. Semplici affreschi a lettura delle povere genti apparivano miracolosamente alle scure pareti di queste fragili cattedrali.E viaggiavo ora nello spirito, tra santi e peccatori ,inferni e paradisi, madonne e diavoli: tutto era così mischiato, tutto era il caos dell’Apocalisse. Tutto qui era già stato scritto : un 2012 perenne.
La sparuta popolazione, prevalentemente di culto ortodosso e che ha poco cercato la fortuna oltre frontiera,si è dedicata al mantenimento del piccolo territorio con le sue tradizioni agricole e folkloristiche secolari e con le sue chiese in odore di protezione UNESCO ( Monastero Peri, quello di Barsana, Surdesti , Plopis ed il non descrivibile, data la rara bellezza degli affreschi, di Poienile Izei).
Qui i contadini non si sono mai consorziati ed ognuno, ancora , coltiva i propri campi (e a volte sono solo “fazzoletti” di terra!), impegnandosi duramente e ricorrendo anche all’ antica formula del baratto. Il legno serve a costruire case e alti cancelli finemente istoriati, posti non ad intimorire l’ospite ma per allontanare il male. Le numerose greggi, disperse tra le morbide alture, danno calda e colorata lana che serve a ripararsi dal freddo e ravviva tutto cio’ che è abitato. E quasi tutto quello che viene messo sulla tavola è a 'chilometro zero'.
E percorro le altilenanti strade, perse tra mille colline , dove grano, vite, alberi da frutto, ancora invadono la terra e gli uomini, le donne, i bambini li accudiscono con metodi antichi. Incrocio carri trainati da pazienti cavalli infiocchettati (nero il fiocco a lutto, rosso a cacciare la malasorte) ed intere generazioni perse controluce tra i campi che alla fine della giornata, stanchi del lavoro ma non della curiosità della vita, attendono da anni il passaggio di chi verrà da lontano. Tutti seduti ai margini delle strade. A guardare, a vedermi passare. Salutarmi con un sorriso ed offrirmi, chi ne ha, patate, cipolle, frutta e le belle zucche, che qui chiamano “ beltan”.
E niente, nel paese dei meloni e delle angurie, è disposto a caso. Come nei suk più preziosi, come gioielli o lussuose tele d’oriente, i gialli si alternano ai rossi, ricchi ocra a bianchi e grigi, plastica e cartone arredano con grazia la merce di cui non potremo fare a meno.
Nella vetrina della vita non espongono gemme o nobili metalli, ma i dolci meloni, le grasse angurie, le sante patate e le puzzolenti cipolle.
L’economia si è basata, ai tempi della cortina di ferro, anche sull’estrazione mineraria. Con la caduta del regime comunista e la fine di Ceausescu, che hanno lasciato il paese in una sorta di limbo industriale, le miniere e, a Bicaz,la fabbrica dell’ amianto, si sono fermati. La possente metallurgia sovietica, eroicamente rappresentata nei manifesti di partito, ha finito di soffiare vapori di micidiale anidride solforosa nell’aria. Pochi ricordano il disastro ambientale del 2000, quando per il cedimento di una diga (costruita per l’estrazione dell’oro), si sversarono nei fiumi del Maramures tonnellate di cianuro. E ora restano i monumenti industriali, a simbolo dell’inquinamento e dello sfruttamento di un territorio 'periferico', considerato spesso serbatoio di manovalanza a bassi costi e di eventuali risorse naturali da depredare.
Ma, adesso, questa piccola regione adagiata tra i Carpazi, sta cercando nuove prospettive economiche basando la propria rinascita specie su agricoltura e turismo. L’entrata nella “Grande Madre” Europa non ha molto modificato gli stili di vita e i giovani, non troppo sedotti dai suoi richiami, preferiscono ancora restare nella loro terra. Salari bassi, disoccupazione crescente ed ormai globalizzata, non convincono alla fuga.
Vagavo attraverso questo piccolo paradiso terrestre e non sapevo che avrei trovato presto anch’io l’albero del male, che mi avrebbe portato all’inferno. Ero arrivata a Bicaz ed alla sua vecchia e monumentale fabbrica dell’amianto, che aveva sparso i suoi aghi invisibili ed assassini lungo le valli, sui campi coltivati e sui loro uomini, su, fino alle profonde gole. E da lì, come un’eco profonda, su altre pianure, terre ed uomini. Allora anche lì era arrivato il 2012, ma io lo incontravo solo ora. Il mostro era davanti a me, ancora sporco dei suoi escrementi, ma era morto. Ma il pericolo non era finito con lui: restava nell’uomo come la macchia del peccato originale. E non c’era un Dio che potesse togliere questo male. E così capivo che la storia, quella dolorosa, quella da 2012 era arrivata qui molto tempo fa. E che puoi scappare da un anno ma non dalla distruzione profonda con cui l’uomo ha devastato tante zone del mondo. Forse terre povere ma belle ed utili all’economia del pianeta. Terre lontane ma non isolate. Il 2012 ti insegue.
Tra le attrazioni Storico- turistiche, restano uniche il Cimitero allegro di Sapanta, esempio di arte funeraria povera nei materiali ma non nel significato, ed il Memoriale delle Vittime del Comunismo e della Resistenza, sito nell’antica prigione politica di Sighetu.
Il piccolo e vivissimo cimitero oltre a tenere i morti in vita, grazie ad un flusso turistico 'senza fine', è l’esempio di un museo etnografico 'su lapide'. Si ripercorrono le piccole vite dei morti e ci si immerge anche nella 'grande' storia di questa nazione. La tradizione mineraria, quella agricola con rappresentati arti e mestieri tipici, qualche pettegolezzo su anime un pò 'leggere' e retorica per quelle legate al regime. E qui, i visitatori si confondono con i morti, nel cimitero più vivo del mondo.
Invece, dove la morte è entrata ed è stata padrona, è nel Memoriale di Sighetu. Carico di echi di una repressione ormai passata, invita ad una riflessione sulle dittature e sulla repressione, aldilà di qualunque credo politico.
Il sonno ed i sogni erano ormai finiti. Mi svegliavo , di nuovo, nel caos di questo 2011,così già drammaticamente 2012, così “ ANNO DA FINE MONDO”. Il mio spirito però aveva viaggiato libero da preoccupazioni ed ansie. Avevo sognato che il 2012 in Maramures era già arrivato ed era stato sconfitto. Nel piccolo cimitero colorato e nell’ ex prigione di Sighetu c’erano le prove che la morte fisica e morale si possono sconfiggere. La testimonianza, la memoria, anche di comuni ma dignitose esistenze, restano il solo modo per sconfiggere l’oblio di tanta vita e ridarci un pò di 'semplice eternità'.
Testo e foto di Mario Negri
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