Se è vero che l’Unesco può essere un potente brand nel turismo, e soprattutto per un turismo sostenibile, occorre però che istituzioni, enti locali, operatori e la popolazione del posto condividano un percorso virtuoso e fare la propria parte.
Lo si è ripetuto a Padova, nel forum promosso in ottobre da L’Agenzia di Viaggi durante WTE-World Tourism Expo (il salone del turismo nei siti Unesco), presenti Luigi Cabrini, presidente Global Sustainable Tourism Council; Gianni Bonazzi del Mibact; Carlo Francini, coordinatore scientifico dell’associazione dei beni italiani Unesco; Maurizio Davolio, presidente Associazione Turismo Responsabile.
Il dibattito è servito subito a fare chiarezza sull’assetto dell’Unesco, Agenzia internazionale che non gestisce i siti né li seleziona – ha notato Cabrini – perché sono i governi a candidarli per l’iscrizione nel Patrimonio”. Di certo però il turismo è necessario ai siti Unesco, ma senza controlli, i grandi numeri rischiano di produrre danni concreti. Un rischio che solo l’alleanza tra gestori dei siti e operatori turistici può scongiurare.
Altra questione è la certificazione di sostenibilità del turismo: i certificatori sono oltre 150 nel mondo, ma il GSTC di Unwto vorrebbe criteri condivisi da trasmettere al consumatore, formulati dopo una consultazione pubblica. Perché appunto l’Unesco non può agire direttamente nei singoli paesi, ma può farlo sui criteri di qualificazione dei siti. E per uno sviluppo equilibrato del turismo culturale Gianni Bonazzi suggerisce un’analisi attenta dell’affluenza nei siti del Patrimonio: “Bisogna chiedersi quanto renda davvero il marchio Unesco, e raccogliere dati sui profili dei visitatori, sulle loro motivazioni. Anche per aggiustare il tiro management plan richiesti da Unesco”.
Peraltro il management plan “in Italia è l’unico vero strumento di protezione dei siti – ha considerato Carlo Francini – anche se da questo a parlare di standard internazionali ne passa…. E per ora Unesco prevede controlli ogni quattro, cinque anni, per mantenere lo status di sito Unesco”. Lo stesso che Pompei e Villa Adriana hanno rischiato di perdere, per un gravissimo difetto di gestione, che pure non riflette lo stato dell’intero patrimonio italiano. Mentre per esempio la Giordania ha un buon management plan per la sua Petra, ma non sa affrontare l’emergenza dello sfaldamento della roccia.
E poi il numero chiuso nei siti Unesco: meglio 60mila o 100mila visitatori? L’equilibrio è difficile, perché il ritorno economico è indispensabile, ma un eccesso di ingressi può far danni anche gravi.
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