Il delta del Mekong, subito a sud della capitale meridionale Ho Chi Minh – la vecchia Saigon – costituisce una delle mete imperdibili di ogni viaggio in Vietnam, ma anche in Cambogia, in quanto una delle zone più peculiari del Paese, tra l’altro riserva della biosfera, protetta dall’Unesco.
In genere i turisti vi dedicano un paio di giorni, tanto per navigare i canali principali su consistenti e confortevoli imbarcazioni (dove spesso si pernotta) e per vedere qualche mercato galleggiante, i villaggi su palafitte, risaie e piantagioni, gli allevamenti di pesce e frutti di mare.
Ma il delta rappresenta un territorio straordinario, forse unico per le sue molteplici caratteristiche, enorme e vario, che andrebbe assaporato con calma su piccole barche per scoprirne gli aspetti più reconditi e gli angoli più nascosti, dall’importante patrimonio naturalistico alla vita di tutti i giorni di contadini e pescatori che trascorrono tutta la vita sull’acqua, con infinite scene bucoliche.
Il grande fiume, la madre di tutte le acque per il Sud-est asiatico, 11° nel mondo per lunghezza  e 12° per portata, nasce in Tibet sotto le vette himalayane, attraversa lo Yunnan cinese, poi il Laos (dove segna il confine con Myanmar e Thailandia) e la Cambogia, per formare infine nel sud del Vietnam, un enorme delta grande quanto un sesto dell’Italia.
Ed è qui che il grande fiume si divide in nove rami principali (qui chiamato fiume dei nove draghi) e una miriade labirintica di canali secondari in cui risulta difficile stabilire dove finisce l’acqua e comincia la terra, prima di gettarsi nel Mare Cinese meridionale.
Incredibilmente risente delle maree fino al centro della Cambogia, cioè a centinaia di chilometri di distanza dalla costa, e il livello dell’acqua varia sensibilmente per il monsone (inizia a salire a maggio, raggiunge il massimo a settembre e il minimo a gennaio-febbraio), costringendo a costruire case e villaggi su palafitte per non subire alluvioni: un detto locale recita che i laotiani vivono vicino al fiume, i Cambogiani sul fiume, i Vietnamiti nel fiume.
In questo piatto territorio formato da detriti alluvionali, che negli ultimi seimila anni è avanzato di 200 km (con una progressione attuale di 17-18 metri all’anno), vivono 17 milioni di persone (un quinto della popolazione vietnamita) ,che producono oltre la metà del riso nazionale, l’ 80 % della frutta e il 60 % del pesce, nonostante il Paese disponga di ben 3.500 km di coste marine.
Due milioni di tonnellate all’anno di pescato, composto da 850 varietà di specie diverse (compresi quelli di maggior stazza in assoluto, pesce gatti lunghi 3 m e del peso di 300 kg), quasi tre derivati dall’acquacoltura, ne fanno una delle aree di pesca più produttive al mondo, capace di sfamare 40 milioni di persone.
Ma non si pensi soltanto a risaie e villaggi di pescatori: ci sono anche città con oltre un milione di abitanti e caratteristici mercati. Se Cai Be è il maggiore, quello di Phung Hiep è il più esotico, con un’area dedicata alla vendita di vari tipi di serpenti, da queste parti considerati una vera prelibatezza gastronomica.
E insieme all’antico il moderno: l’avveniristico ponte di Can Tho, lungo quasi 3 km e a sei corsie, rappresenta il maggior ponte sospeso dell’Asia.
Con tutto ciò, nonostante le foreste di un tempo non superino l’ 8%, la natura svolge ancora un ruolo fondamentale, in quanto il Mekong costituisce una delle aree a maggior ricchezza biologica del pianeta, con oltre diecimila specie nuove scoperte negli ultimi decenni tra animali e vegetali.
La foresta di Un Minh offre una delle maggiori distese di mangrovie del mondo, popolata da un gran numero di uccelli acquatici, tra i quali spiccano aironi e cicogne.
Interessante anche la componente etnica: ai vietnamiti si affianca infatti una minoranza di khmer, retaggio dell’antico dominio cambogiano durato fino al 1700 e ancora testimoniato da antichi monumenti, nonché di cinesi e musulmani.
Un’esperienza da non perdere sarebbe quella di mangiare su un ristorante galleggiante, girare in bicicletta o in moto tra le mille sfumature di verde delle risate e infine attraversare almeno un cau khi, i cosiddetti ponti delle scimmie, esili strutture di bambù larghi non più di 30 cm, dove per superarli indenni occorre essere ben magri e possedere particolari doti di equilibrismo.
Infine una curiosità: in un insediamento khmer presso An Giang risalente a V sec. sono state trovate delle monete dell’impero romano: come ci siano arrivate, solo Dio lo sa.