È passato più di mezzo secolo dallo scoppio della guerra di Corea e dalla tracciatura della linea di cessate il fuoco. Questa frontiera lunga 241 km e larga 4, va dal Mare dell’Est al Mar Giallo e ha creato la grande, insanata e dolente cicatrice tra le due Coree.
Snodandosi sinuosa lungo il 38° parallelo, assurge a divisorio più presidiato al mondo tra lo “Stato canaglia” della Corea del Nord (così definita dal fondatore della Lonely Planet Tony Wheeler nel libro Bad Lands) e la democratica Corea del Sud. Simbolo di pace e di guerra, di divisione e unificazione, la fascia di rispetto che è stata denominata DMZ (Demilitarized Zone) è un luogo dove il tempo si è concesso una pausa. Un ossimoro congelato oltre 50 anni addietro e mai più riportato a temperatura ambiente. Sospeso in una surreale atmosfera da guerra fredda con i soldati delle opposte fazioni che si osservano a tiro di sguardo in un gelido fronteggiarsi che fa temere un imminente scoppio delle ostilità. Non c’è il Drogo di buzzatiana memoria, in cerca di un nemico da combattere e possibilmente da sconfiggere, per dare un senso all’esistenza: la fortezza Bastiani prende il nome dalla località di camp Bonifas e ci si fronteggia, i buoni contro i “cattivi”, a poche decine di metri in una posa mimica che sembra uscita dal museo delle cere di Madame Tussauds.
Eppure, nell’immobilità e nel silenzio, è palpabile la tensione, la paura che l' 'altro' possa improvvisamente mettere mano alle armi e commettere qualche colpo di testa o peggio ancora dare il via ad una nuova invasione. Telecamere ovunque, sistemi di controllo e sorveglianza, microspie disseminate in tutti gli edifici, rendono l’idea di come sia difficile potersi fidare solo delle carte diplomatiche e dell’armistizio datato 1953.
E non basta ancora: bisogna scrutare anche il sottosuolo grazie all’aiuto degli uomini del Genio dell’Onu. In tempi recenti hanno scovato, infatti, l’ennesimo tunnel che corre sotto la linea di confine tra i due Paesi. I nordcoreani è da alcune decine di anni che trivellano alla ricerca di un escamotage poco visibile per poter invadere senza troppa pubblicità il nemico di sempre.
In effetti sono stati scoperti almeno 4 tunnel di cui uno, il third infiltration tunnel è capace di smaltire, da solo, l’avanzata di circa 10.000 soldati all’ora, armamenti inclusi, (una divisione intera, in pratica) e farli sbucare circa mezzo chilometro dopo il confine in pieno territorio della Corea del Sud e garantire, almeno sulla carta, un’agevole invasione a sorpresa della capitale.
La nostra visita sul 38° parallelo è iniziata presso la località di Panmunjeon, una delle pochissime aperte ai civili e posta all’interno della fascia demilitarizzata, circa 50 chilometri a Nord della capitale Seoul. Per arrivare fin lì è necessario unirsi ad un tour con altre persone: nessuna visita privata è ammessa perché già svariati chilometri prima, lungo la pressoché non trafficata autostrada che punta verso il confine, è pieno di check point della polizia militare che rimanda indietro chi non ha un lasciapassare.
Arrivati al confine, si viene caricati su un pullman delle Nazioni Unite in cui sale a bordo un soldato sudcoreano che vigila, in piedi e di spalle al senso di marcia, sui visitatori per sincerarsi che durante l’itinerario non scattino fotografie dei vari siti militari aperti al pubblico o peggio ancora che abbiano intenzioni minacciose. Una volta scesi, si può entrare nella costruzione azzurra detta conference room, posta sotto l’egida ONU, dove si firmò il cessate il fuoco nel 1953 ed ascoltare la voce di un soldato nordcoreano dissidente che racconta in un inglese sommario come sia riuscito anni addietro a scappare dal suo Paese e a vivere nella controparte sudcoreana. Si prosegue poi in una altra zona dove è possibile ammirare in lontananza la bandiera nordcoreana che è la più alta e la più grande del mondo e ascoltare proclami propagandistici in stile Kim Il Sung sparati da amplificatori degni di una discoteca di Ibiza. Penultima tappa è il Freedom bridge dove avveniva lo scambio dei prigionieri nei 3 anni di ostilità.
Alla fine come nel migliore dei parchi divertimenti a tema, c’è il negozio dove si possono acquistare memorabilia militari, truci magliette con motti come“in front of them all” (di fronte a tutti loro) o più batuffolosi Teddy Bear, in uniforme militare e in posa inamidata, pronti a fronteggiare un nemico immaginario a migliaia di chilometri di distanza, una volta tornati a casa e relegati sulla mensola del salotto.
Gianluca Oppo