I dati presentati da analisti e uomini di vertice del turismo nel primo Asia Summit del World Travel and Tourism Council confermano che la crescita del turismo asiatico, già più rapida di quella dell’economia nella regione, proseguirà nei prossimi anni a ritmi che relatori e media definiscono “stupefacenti”: la classe media asiatica dovrebbe triplicare entro il 2020 fino a 1,7 miliardi di persone, e il volume di business del turismo si annuncia in progresso di un 6% l’anno per i prossimi 10 – creando 47 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2023 – contro un progresso del 4,4% dell’industria turistica globale.
Nella sola Corea del Sud, come ha riportato aprendo il Summit a Seoul il primo ministro Jung Hong-won, gli arrivi saranno circa 16 milioni nel 2017, dai poco più di 11 milioni l’anno scorso.

"Il potere si sposta a Oriente"
Il turismo riflette la tendenza dell’economia globale, uno scenario sul quale "il potere si sta rapidamente spostando a Oriente", come ha affermato in apertura del Summit l’ex premier britannico Tony Blair intervistato da David Scowsill, segretario generale del WTTC. Pur con tutte le difficoltà di prevedere il futuro, come lo stesso Blair ha notato, in un tempo di eccezionale accelerazione tecnologica in un mondo ormai totalmente interconnesso.
Nel quale i fattori di incertezza si moltiplicano e investono anche il turismo: anzitutto la tecnologia – ha notato Alan MacCharles, analista di Deloitte – potrebbe ridurre da 47 a 23 milioni i nuovi posti di lavoro necessari al turismo, soprattutto diffondendo tecniche di self processing come quelle del check-in online. E nel frattempo il turismo, ha laconicamente assicurato il presidente di VisitBritain Christopher Rodrigues, "non diventerà meno fragile, non farà più margini che finora, vivrà sempre di denaro contante e cashflow, rischiando al solito colpi durissimi da qualsiasi turbolenza. Per non parlare dei danni che spesso le imprese si procurano da sole". E ha anche ironizzato, sullo stesso tono, il ceo di Pata, Martin Craigs, constatando che "il mondo ha collettivamente mancato di prevedere tutto il mutamento che abbiamo visto negli ultimi decenni". Così secondo Craigs a rallentare la crescita, anche in Asia, contribuirà la carenza di personale specializzato, e in particolare di piloti e ingegneri, di cui molti ora sembrano non accorgersi.
Altri problemi inediti potrebbe innescare – ha considerato Zoher Abdoolcarim, di Time International Asia – l’impatto tra culture diverse avviato in tempi brevissimi dal turismo all’interno del continente asiatico: "Perfino a Hong Kong è evidente l’insofferenza dei residenti contro i connazionali in arrivo dal continente", mentre non è detto che per i Paesi extrasiatici sarà facile accogliere visitatori asiatici molto diversi tra loro.

Lo sviluppo delle crociere
Pier Luigi Foschi, ora ceo di Carnival in Asia, ha delineato lo sviluppo dell’industria delle crociere in Asia, tra realismo e grandi speranze: "Quando Costa ha iniziato a operare da Singapore – ha detto – non c’era un terminal crociere. Ma ne è stato subito allestito uno temporaneo, e in due anni ne abbiamo avuto uno vero, in cinque anni uno grande abbastanza… ora quel che ci serve davvero è l’integrazione con aeroporto, ferrovie e autostrade, ci serve la collaborazione delle istituzioni per la gestione del bagaglio. È per questo che ancora non possiamo offrire pacchetti di servizi a terra integrati alla crociera".
"Semmai qui in Oriente è l’intera infrastruttura che ha bisogno di crescere, non solo quella dei trasporti, piuttosto tutto quel che serve al turismo – ha proseguito Foschi – E tuttavia quando decidemmo di investire in Asia puntavamo a 3,7 milioni di passeggeri nel 2017, e 7 milioni nel 2020. Se abbiamo indovinato vuol dire che per allora il 20% del mercato delle crociere sarà qui; con i bacini più vasti in Cina, Giappone e Corea, potremmo trovarci a corto di capacità per servire questo mercato. Ma sarà un bel problema da risolvere".
Nelle foto On the Road: in alto, Kuala Lumpur, Petronas Towers; in basso, Brunei, Palazzo dei doni reali.