Quella di oggi sarà una giornata di relax: visiteremo un palazzo ottomano, proveremo l’acquisto in una bottega di tappeti, faremo un salto dove giace l’Arca, ci affacceremo al confine iraniano, ci rilasseremo nelle sulfuree acque di Dyadin. Ma prima c’è da dare l’arrivederci alla Grande Montagna, già incappucciata di buon’ora.
Il palazzo di Ishak Pasha sorge sulle colline ad est di Dogubayazit. Terminato nel 1780, è, in Anatolia, l’unica struttura ottomana di questo tipo che è pervenuta fino ai giorni nostri. L’architettura è un magistrale connubio di stili: selgiuchide, ottomano, georgiano, persiano e armeno. Oltre il portone di ingresso si accede ad un primo cortile aperto a mercanti e ospiti. Una fontana sgorgava acqua e latte per ventiquattr’ore al giorno.
La seconda tappa odierna è dedicata alla visita di una fabbrica e rivendita di tappeti. Pare che essa funga anche da scuola e dia opportunità di lavoro, direttamente o indirettamente, a un paio di centinaia di donne che, fino a qualche tempo addietro, erano costrette a sposarsi in giovane età per far fronte alle ristrettezze economiche della famiglia di origine. Se ciò non è vero... beh fa comunque presa sul visitatore.
I rilievi intorno a Dogubayazit sono magici. Oltre a Grande e Piccolo Ararat, ci sono una moltitudine di montagne e montagnette che rendono più aspro e vivo il paesaggio. Su una di queste la leggenda vuole che si sia spiaggiata l’Arca di Noè. E noi siamo lì a capire se poterci credere o meno. Mustafa ci indica una figura rilevata rispetto all’erba, dalla forma e dalle dimensioni compatibili con una grossa imbarcazione: in effetti l’avevo individuata anche senza aiuto. Ma la vera attrazione del posto è il guardiano del fatiscente museo che qui è stato eretto. Più che alcuni presunti resti dell’Arca, colpiscono i gesti ieratici del vecchio, i suoi sguardi, la sua attesa dei tartari. O forse lui li ha già incontrati i Tartari.
Alla prossima.
Luca Vezzoni