Nella tradizione alpina le mandrie scendevano dall’alpeggio a fine novembre, e più esattamente il 25, giorno di Santa Caterina, da cui il detto “a santa Caterina la vacca la va in cassina
Alcune mandrie entravano a Milano dove sostavano vicino al grandioso edificio voluto da Francesco Sforza nel 1456 per riunire un’unica istituzione le case ospedaliere disseminate nella città, la Ca’ Granda, ora sede dell’Università Statale. I bergamini fornivano ai degenti del vicino ospedale il latte fresco delle vacche custodite nelle baracche in legno erette nella via che, ancor oggi, porta il nome di via Bergamini. Le stalle durarono fino al 1848, quando gli insorti utilizzarono il legname di cui erano composte, per fabbricare le barricate delle Cinque Giornate di Milano
Le mandrie erano salite all’alpeggio nel giorno di San Giorgio: il 24 aprile, per la Diocesi di Milano, il 23 per il resto del mondo, guidate dai bergamini, mandriani appiedati, che prendevano il nome dalle valli bergamasche dove si compiva la transumanza. Prima di partire con le loro mandrie, dette “bergamine “, per l’alpeggio, i bergamini stipulavano i contratti con i lattai celebrando l’avvenimento con solenni mangiate di panna (panera) nella quale intingevano il pane di miglio (pan mein) aromatizzato con i fiori di sambuco sbocciati in quel periodo dell’anno. I milanesi continuarono a celebrare ogni anno in famiglia e fuori, “la panerada”: gustando la “ panera” che i lattai continuarono ad offrire ai loro clienti con “el pan mejn”, fino ad una quarantina d’anni fa e continua ad essere celebrata dall’Antica Credenza di Sant’Ambrogio.

Alla corte del burro, principe della cucina padana, e del grana, re della tavola universale, brilla la grande famiglia degli stracchini che costituiscono una pleiade di formaggi molli e semi stagionati, riuniti in un’unica denominazione attinta dalla condizione di spossatezza delle mandrie stanche per la transumanza. La voce “stracchino” non definisce un solo formaggio ma indica quelli molli e semi stagionati che in passato venivano prodotti a fine estate, quando le vacche scendevano dall’alpe al piano ed erano quindi stanche: stracche dalla definizione longobarda strack. Un’altra versione, un pò meno bucolica, considera che fosse il latte ad essere stanco perché prodotto da vacche adibite al lavoro.
Per i puristi che considerano i dialetti una forma desueta si dovrebbero chiamare “affaticatini” facendo derivare il nome di questi formaggi dallo stato di affaticamento delle vacche e implodere nella definizione di prezzemolati, gli erborinati che prendono il loro nome dalla parola dialettale “erborin “ con cui i lombardi indicano il prezzemolo. Francesco Cherubini alla voce stracchin riporta la definizione tratta dal Viaggio agronomico d’Italia del bravo marchese Cosimo Ridolfi, membro dell’Accademia dei Georgofili: “Specie di cacio pingue o bianco o gialligno che si fabbrica tra noi di primavera o d’autunno con latte non isburrato quagliato o serbato nel sale. Secondo epoche di lavorazione, secondo quantità di caglio e di sale adoperato e secondo le varie terre del nostro contado (Ducato di Milano n.d.r) ove si fa distinguesi come segue:carsen stracchin de do paner, stracchin de Gorgonoeula. stracchin grass, stracchin magengh (di primavera), stracchin magher, stracchin nostran (dozzinale), strachin quartiroe”, che non hanno perso la loro sapidità sulle tavole lombarde, e non solo, pur italianizzando le attuali denominazioni nella diversità delle forme:

Di forma appiattita. Carenza: sfocacciata si che non imita male una gran focaccia lattea, alta mezzo decimetro o poco più e tale che vuol essere mangiata freschissima e non altrimente. E’ un tipo di formaggio che, se tenuto in ambiente caldo fermenta e si gonfia spaccandosi come fa il pane durante la lievitazione dovuta al “ carsent” ( termine riportato dal Cherubini per indicare il lievito) che ha dato alla focaccia il nome traslato poi nel tipo di formaggio che, italianizzato in crescenza sta ad indicare un formaggio di pasta omogenea, compatta e di colore bianco dal sapore di latte e fondente in bocca.
Di forma quadrata. Stracchino: Paolo Elziario Aresca, sul finire del Settecento, considera nella sua Formaggeide molti formaggi italiani precisando che “ Milano ha da per tutto il suo Stracchin gran stima”. Per le vie della vecchia Milano si aggiravano venditori ambulanti, detti: stracchinatt, che offrivano le forme quadrate di stracchino dalla pasta morbida e uniforme, quasi burrosa, di tenero color paglierino, di sapore dolce, con vena aromatica e amarognola variamente intensa, talvolta debolissima, talvolta rilevata. Lo Stracchino di Milano è padre di molti figli: alcuni conservano la caratteristica forma quadrata, come il quartirolo ed il taleggio, altri si ricavano con un taglio verticale e uno o due tagli orizzontali per ottenere i quattro o sei rettangoli delle robbiole.
Quartirolo: quando le mandrie ritornavano a fondovalle dopo il periodo estivo, i bergamini. lasciavano pascolare le mucche sull’erba “quartirola “: una razione di foraggio fresco, che si poteva considerare come l’ultimo pasto delle mucche condannate ad essere rinchiuse nelle stalle dove venivano alimentate con il fieno. L’erba “quartirola” rimasta dopo il terzo taglio era più ricca di essenze odorose e di sapori, che conferivano un aroma ed un gusto particolari al latte ed al formaggio derivato chiamato “quartirolo “.
Taleggio: nell’Ottocento gli abitanti della val Taleggio, che producevano un formaggio già citato da Plinio nella sua descrizione dell’arte casearia degli antichi abitanti delle valli bergamasche, vollero distinguere il loro pregiato formaggio da quelli provenienti da altre zone e “inventarono” il prodotto che ora è universalmente conosciuto come “Taleggio” : una denominazione che compare nel dizionario moderno di Alfredo Panzini del 1918. La robbiola di antichissima origine, secondo alcuni autori trarrebbe il nome da rubor: belletto, di color porpora, da cui rubens: che arrossisce. Entrambe le definizioni fanno chiaro riferimento al colore rossiccio che assume la crosta della robiola durante la stagionatura in grotte umide al punto giusto.
Di forma tonda. Nell’esercito caseario, la pattuglia degli erborinati annovera, l’erborinato di Artavaggio, prodotto con il latte delle mucche alimentate con l’erba dell’altopiano sullo spartiacque fra il Lario e il Brembo : più noto come strachitund; Stracchin erborinaa, quelle vene verdi bige che veggonsi nei nostri caci detti stracchini, sviluppo di queí funghi microscopici che i botanici dicono “mucor mucido” e noi muffa. Gli stracchini che hanno tali vene e che noi diciamo erborinaa, dai francesi sono detti fromages persillès. Stracchin de Gorgonzeola il più squisito e sapiente fra nostri stracchini che si fa nell’agro di Gorgonzola.
Presso alcuni autori è tuttora in uso il termine Stracchino di Gorgonzola, per indicare il gorgonzola.
Gorgonzola è la cittadina alle porte di Milano, il cui nome deriverebbe dai riflessi argentei delle acque che circondavano il borgo chiamato “Burg Argentiola”, trasformatosi nell’attuale nome per mutazione fonetica. Altri vorrebbero far derivare il nome di Gorgonzola dal latino Concordiola, derivato, a sua volta dalla dea romana Concordia, personificazione dell’unione dei cittadini, dell’affetto dei parenti e, in età imperiale, della fedeltà dell’esercito all’imperatore. Singolare è la figura di un frate di nome Concordio che avrebbe dato i primi rudimenti nel IV secolo per la fabbricazione dello stracchino.

Il gorman milanese considera che “la bocca l’é minga stracca se la sa no de vacca”, riprendendo il termine “stracch” nel significato di stanca sazietà del senso del gusto alla fine di un pranzo, concluso con il formaggio. Un buon argomento che arricchisce la cultura della buona tavola, intesa come punto di incontro e di scambio di esperienze di contatti umani, buona tavola dove non possono mancare stracchini e formaggi, protagonisti insostituibili nell’appagamento del gusto, puntualizzando: “Stracchin adree al mur e formagg in mezz a la strada”: modo figurato per indicare che il meglio dello stracchino si trova presso la crosta mentre il meglio del formaggio si trova nel mezzo.

Gianni Staccotti