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Martin J Craigs, Amministratore delegato di PATA, la Pacific Asia Travel Association fa appello ai suoi membri dicendo che PATA si unisce con le comunità di tutto il mondo nel dichiarare il suo cordoglio e offrire sostegno al popolo delle Filippine in queste ore di disperato bisogno.
Poiché la super tempesta Haiyan ha colpito la parte centrale delle Filippine, PATA HQ, la Task Force di PATA e la Fondazione hanno attivato una serie di procedure.
Mantenere i contatti con i funzionari locali e nazionali del turismo nelle Filippine per offrire sostegno morale e dirigere il più efficacemente possibile gli aiuti pratici.
In tempi brevi, grazie anche all’intervento personale del Presidente della Fondazione, Mario Hardy, è stato lanciato un appello online per raccogliere fondi per le Filippine e tutti i membri PATA sono stati incoraggiati a versare donazioni direttamente in loco.
La PATA ha stanziato 10.000 dollari americani a favore delle vittime del disastro.
I media (Asian Wall Street Jornal) sono stati informati circa la necessità di continuare a dare fiducia al settore turistico filippino, un segmento trainante per l’economia nazionale.
Secondo i dati raccolti, gli aeroporti principali di Manila e Cebu sono operativi con tutti i servizi correlati e la maggior parte delle destinazioni turistiche non è stata colpita dal disastro.
Contemporaneamente vengono sensibilizzate tutte le organizzazioni internazionali perché forniscano aiuti al popolo filippino in modo che possa presto tornare a una vita normale; il Presidente Aquino ha sottolineato la necessità, nei casi di calamità di questa portata, di dar vita a sforzi eccezionali per il recupero.
PATA ritiene che i turisti che hanno prenotato un viaggio per visitare le Filippine dovrebbero contattare i loro agenti e prestare attenzione agli avvisi del governo ma, se possibile, non rinunciare alla partenza.
PATA ritiene che i turisti prenotati per visitare le Filippine dovrebbero contattare loro agenti di viaggio e prestare attenzione ad avvisi di viaggio del governo ma continuare ove possibile con l'intenzione di visitare le Filippine.
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I dati presentati da analisti e uomini di vertice del turismo nel primo Asia Summit del World Travel and Tourism Council confermano che la crescita del turismo asiatico, già più rapida di quella dell’economia nella regione, proseguirà nei prossimi anni a ritmi che relatori e media definiscono “stupefacenti”: la classe media asiatica dovrebbe triplicare entro il 2020 fino a 1,7 miliardi di persone, e il volume di business del turismo si annuncia in progresso di un 6% l’anno per i prossimi 10 – creando 47 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2023 – contro un progresso del 4,4% dell’industria turistica globale.
Nella sola Corea del Sud, come ha riportato aprendo il Summit a Seoul il primo ministro Jung Hong-won, gli arrivi saranno circa 16 milioni nel 2017, dai poco più di 11 milioni l’anno scorso.
"Il potere si sposta a Oriente"
Il turismo riflette la tendenza dell’economia globale, uno scenario sul quale "il potere si sta rapidamente spostando a Oriente", come ha affermato in apertura del Summit l’ex premier britannico Tony Blair intervistato da David Scowsill, segretario generale del WTTC. Pur con tutte le difficoltà di prevedere il futuro, come lo stesso Blair ha notato, in un tempo di eccezionale accelerazione tecnologica in un mondo ormai totalmente interconnesso.
Nel quale i fattori di incertezza si moltiplicano e investono anche il turismo: anzitutto la tecnologia – ha notato Alan MacCharles, analista di Deloitte – potrebbe ridurre da 47 a 23 milioni i nuovi posti di lavoro necessari al turismo, soprattutto diffondendo tecniche di self processing come quelle del check-in online. E nel frattempo il turismo, ha laconicamente assicurato il presidente di VisitBritain Christopher Rodrigues, "non diventerà meno fragile, non farà più margini che finora, vivrà sempre di denaro contante e cashflow, rischiando al solito colpi durissimi da qualsiasi turbolenza. Per non parlare dei danni che spesso le imprese si procurano da sole". E ha anche ironizzato, sullo stesso tono, il ceo di Pata, Martin Craigs, constatando che "il mondo ha collettivamente mancato di prevedere tutto il mutamento che abbiamo visto negli ultimi decenni". Così secondo Craigs a rallentare la crescita, anche in Asia, contribuirà la carenza di personale specializzato, e in particolare di piloti e ingegneri, di cui molti ora sembrano non accorgersi.
Altri problemi inediti potrebbe innescare – ha considerato Zoher Abdoolcarim, di Time International Asia – l’impatto tra culture diverse avviato in tempi brevissimi dal turismo all’interno del continente asiatico: "Perfino a Hong Kong è evidente l’insofferenza dei residenti contro i connazionali in arrivo dal continente", mentre non è detto che per i Paesi extrasiatici sarà facile accogliere visitatori asiatici molto diversi tra loro.
Lo sviluppo delle crociere
Pier Luigi Foschi, ora ceo di Carnival in Asia, ha delineato lo sviluppo dell’industria delle crociere in Asia, tra realismo e grandi speranze: "Quando Costa ha iniziato a operare da Singapore – ha detto – non c’era un terminal crociere. Ma ne è stato subito allestito uno temporaneo, e in due anni ne abbiamo avuto uno vero, in cinque anni uno grande abbastanza… ora quel che ci serve davvero è l’integrazione con aeroporto, ferrovie e autostrade, ci serve la collaborazione delle istituzioni per la gestione del bagaglio. È per questo che ancora non possiamo offrire pacchetti di servizi a terra integrati alla crociera".
"Semmai qui in Oriente è l’intera infrastruttura che ha bisogno di crescere, non solo quella dei trasporti, piuttosto tutto quel che serve al turismo – ha proseguito Foschi – E tuttavia quando decidemmo di investire in Asia puntavamo a 3,7 milioni di passeggeri nel 2017, e 7 milioni nel 2020. Se abbiamo indovinato vuol dire che per allora il 20% del mercato delle crociere sarà qui; con i bacini più vasti in Cina, Giappone e Corea, potremmo trovarci a corto di capacità per servire questo mercato. Ma sarà un bel problema da risolvere".
Nelle foto On the Road: in alto, Kuala Lumpur, Petronas Towers; in basso, Brunei, Palazzo dei doni reali.
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Mauritius offre ai turisti spiagge bianche, acque cristalline e uno splendido entroterra, ma non solo. I resort offrono strutture wellness e trattamenti beauty all’avanguardia unici nel loro genere, per trasformare una vacanza relax in un’esperienza indimenticabile davvero rigenerante.
Liberarsi dello stress, risvegliare i propri sensi, tutto questo è possibile a Mauritius, isola in cui l’ospitalità raggiunge livelli paradisiaci e offre ai propri clienti la possibilità di ritrovare serenità e armonia, nelle migliori spa dell’Oceano Indiano. Il clima mite tutto l’anno consente di usufruire di tutti questi servizi anche all’aperto, e per questo numerosi centri hanno creato delle apposite aeree wellness a cielo aperto, per cui è possibile rilassarsi e farsi coccolare circondati dai magnifici giardini mauriziani, i loro coloratissimi fiori e le atmosfere suggestive create dalla natura stessa. Degna di nota è la spa Le Cannonier del gruppo Beachcomber: qui gli elementi naturali diventano parte integrante della sua architettura. Il suo nome, infatti, prende spunto dal banyan tree, all’interno del quale è stata costruita la spa, una piccola casa che rimanda a quelle dei villaggi tradizionali, ricavata tra i rami dell’albero centenario. Il décor è semplice, ma curato ed elegante, e le cabine si inseriscono perfettamente nell’ambiente circostante grazie all’utilizzo di materiali naturali quali legno, pietra e canne. Specchi d’acqua e sentieri in pietra collegano gli spazi creando un’atmosfera magica e indimenticabile.
Negli ultimi anni l’abbinamento wellness alla tradizionale vacanza nei resort ha acquistato sempre più popolarità, e risulta oggi un mix di successo nelle maggiori mete turistiche. Mauritius si è dimostrata al passo con i tempi, se non all’avanguardia, rinnovando le proprie strutture per accogliere servizi spa e benessere che mantenessero l’altissimo livello di servizio garantito su tutta l’isola, e aumentando la personalizzazione dell’offerta tramite combinazioni eclettiche di terapie e trattamenti che si ispirano alla tradizione dell’Ayurveda, ma anche all’ambiente magico dell’isola, al suo meraviglioso oceano e ai rimedi della tradizione creola e africana, che utilizzano fiori ed erbe dalle antiche ricette locali. Come all’Heritage & Veranda Resort: la spa ‘Seven Colours’ dell’Heritage Awali si basa su una filosofia orientale che abbina 7 colori ai 7 chakra, ognuno corrispondente ad una parte del corpo. I clienti hanno la possibilità di decidere colore e/o punto chakra, al quale viene abbinato un pacchetto olistico personalizzato, dalla musica , alle candele, alla cromoterapia, fino ai prodotti utilizzati. Il tutto si avvale di prodotti ed esperienza locale. La Seven Colours Spa è stata nominata ‘Best Luxury Destination Spa’ nel 2011 di Mauritius e ‘Best Luxury Spa Group’ nel 2013. A nche nei due padiglioni del Constance Belle Mare Plage si possono sperimentare le antiche tecniche tradizionali mauriziane, con olii naturali, erbe ed argille, affiancate dai prodotti Shiseido, utilizzati per trattamenti energizzanti.
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Una maratona estrema per scoprire le meraviglie del Sudafrica, 250 chilometri e 7 giorni a disposizione per attraversare il Kalahari, una delle regioni più belle e incontaminate del Paese.
La Kalahari Augrabies Extreme Marathon (KAEM) è un’avventura unica per pochi eletti. Sono necessarie determinazione e grande preparazione fisica per concludere questa lunga performance, ma la bellezza dei luoghi che si attraversano durante il percorso è unica al mondo.
Il Sudafrica è un Paese capace di sorprendere con i suoi incredibili paesaggi e la sua calda accoglienza e la 14ma edizione della KAE Marathon è l’occasione giusta per volgere uno sguardo diverso a questa terra magica. I maratoneti che hanno vissuto questa incredibile esperienza raccontano dell’emozione incredibile suscitata dall’attraversare queste antiche terre.
La gara si svolge nella regione del Green Kalahari, nella provincia del Northern Cape, una terra ricca di contrasti: si passa da vigneti verdeggianti ad accumuli di rocce sporgenti, da vaste distese di prati alle dune rosse del deserto del Kalahari. Quest’ultimo, quarto al mondo per estensione, deve il suo nome ad una parola in lingua Tswana che significa “grande sete”. Il territorio ospita il popolo dei Boscimani, uno dei più antichi del continente, che si ritiene viva lì da oltre ventimila anni.
Il ritrovo per gli atleti è fissato per il 17 Ottobre ma la gara vera e propria avrà inizio solo il 19. L’arrivo è previsto per il 25 Ottobre: 250 km in totale da percorrere, con sbalzi di temperature che andranno dai 40° durante il giorno ai 5° della notte, acqua razionata ai check point e zaino in spalla con all’interno viveri e sacco a pelo.
Un’ulteriore sfida è data dalla segretezza del percorso, svelato solo il giorno della partenza per evitare che qualcuno possa programmare la gara e partire avvantaggiato.
Una settimana di fatica intensa, sudore e sforzo fisico, che ripagherà i partecipanti con panorami mozzafiato, immersi nelle bellezze naturali attraverso cui si sviluppa il tracciato.
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Al largo della baia di San Francisco, a circa quarantatre chilometri dal Golden Gate Bridge, vi è un sparuto gruppetto di isole, le Farallon. Facente parte della propaggine oceanica, denominata Salinian Block, della quale condividono la loro curiosa formazione con quella della Sierra Nevada, le isolette sono dichiarate area protetta dal 1969 e contengono la maggiore colonia di uccelli marini degli Stati Uniti d’America. L’arcipelago può essere suddiviso in tre aree: settentrionale, centrale e meridionale.
La Southeast Farallon Island è l’isola principale tra quelle meridionali, l’unica a essere abitata da autorità governative californiane. Ospita il Piccolo e Grande Faro e la Marine Terrace, base di ricerca scientifica.Intorno a essa ci sono le Drunk Uncle Islets (le isolette dello zio ubriaco, un nome alquanto pittoresco) un gruppo di rocce e faraglioni sparpagliate.
L’isola centrale è una grande roccia nera, soprannominata “foruncolo”. La parte settentrionale è composta dalle isole North Farallon e San James più cinque rocce denominate in lingua spagnola: Piedra Guadalupe, Peñasco Quebrado e Farallón Vizcaíno.
Famigerate nel continente americano, per essere state dal 1946 al 1970 la “discarica” di scorie radioattive degli States, le isole Farallon sono diventate oggigiorno un must per chi vuole visitare l’East Coast americano in cerca di natura. E’ qui che potete trovare, oltre ai già menzionati uccelli, i leoni marini, le otarie, raramente i squali bianchi ma,soprattutto, le balene.
Il capitano Joe Nazar, accompagnato dall’ entusiasta naturalista John Calambokidis, organizza tour di whalewatching (avvistamento balene) con la sua imbarcazione Kitty Kat dal porto Pier 39 di San Francisco. Durata della gita: circa 6 ore. E se non vedete nemmeno lo sbuffo d’acqua di una balena, Nazar vi offrirà un altro giro, gratuito ovviamente.
Poiché la breve crociera è in oceano aperto, il tempo può cambiare improvvisamente, quindi è fortemente consigliato portare con sé guanti, coperte, scarpe anti-scivolo, e diversi capi d’abbigliamento invernale e estivo.
Matteo Preabianca
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