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Alta, bionda, poco più che quarantenne, è Saskia Rechsteiner. La sua famiglia è olandese, lei è nata in Malawi, ha studiato tra Parigi e Londra ma poi è tornata in Africa ad Arusha, nel nord della Tanzania, dove ha sposato il ricco proprietario di una grande piantagione di caffè e insieme hanno avuto due splendidi figli. Sembra la trama di un avventuroso quanto banale film a lieto fine, la parabola della donna bianca e della sua vita felice nel continente nero. Invece, forse solo per caso, Saskia è diventata l’artefice di una iniziativa unica nel suo genere e ormai conosciuta a livello internazionale. Si chiama Shanga che in Swahili, la lingua parlata in Tanzania, significa “meraviglia”. E il nome non potrebbe essere più adatto per una realtà che stupisce per la sua semplicità quanto per la sua efficacia. Tutto ha inizio nel 2007 quando Saskia decide di confezionare delle collanine per la fiera di Natale. Ad aiutarla è una donna locale sordomuta. Non sa leggere, non sa scrivere, non conosce il linguaggio dei segni ma mette tutta la passione possibile in quel lavoro offerto in modo completamente inaspettato. Se nei Paesi più evoluti si cerca di attrezzare le strutture alle esigenze dei diversamente abili, di offrire opportunità per rendere la loro esistenza il più possibile autonoma e indipendente, in Africa gli handicap fisici sono considerati dalle famiglie una maledizione, qualcosa che porta vergogna e i disabili vengono segregati in casa senza alcuna possibilità di condurre una vita sociale. Il successo degli artigianali monili e l’orgoglio di quella donna che l’aveva aiutata a realizzarli suggeriscono a Saskia di coinvolgere altre persone con problemi fisici nella creazione di oggetti che possano trasformarsi in un piccolo business, una fonte di reddito per chi non avrebbe avuto alcuna chance se non la totale dipendenza dagli altri. Arusha è una verdeggiante città a 1400 metri d’altitudine, la porta dalla quale prendono il via le spedizioni verso il Kilimanjaro e i safari per i parchi di Serengeti e Ngorongoro; e proprio un vecchio capannone utilizzato come deposito di mezzi e attrezzature per queste attività diventa la sede di Shanga. La “meraviglia” cresce in fretta e alla sua funzione socialmente utile si lega anche un atteggiamento ecologico di grande valore; tutti i materiali utilizzati provengono dal riciclaggio di articoli di scarto, primo fra tutti il vetro. Shanga recupera tutto il vetro possibile, lo fonde e lo restituisce a nuova vita sotto forma di perline e altri oggetti soffiati a mano, come a mano vengono realizzati articoli in stoffa, legno, alluminio. Oggi sono oltre 40 le persone disabili che lavorano a Shanga. Il vecchio capannone è stato completamente ristrutturato, è stato aperto un ristorante e un negozio per la vendita degli articoli prodotti. L’atmosfera è quella di un laborioso paradiso nel lussureggiante verde, un’insospettabile Africa che non tende le mani per chiedere ma per offrire. “La gentilezza è un linguaggio che può essere visto dai ciechi e sentito dai sordi”. Questa frase è scritta all’ingresso di Shanga a grandi caratteri, come grande è il valore di un realtà che con poco e in un ambiente difficile ha restituito dignità e fiducia a uomini e donne in difficoltà.
Paola Drera
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Il Brasile è noto per la sua splendida costa e per le spiagge assolate. Ma il Paese non è solo un paradiso per gli amanti del mare e del sole. Con una costa che si estende per più di 7.500 chilometri lungo l’Oceano Atlantico, il Brasile offre molte altre bellezze naturali. I turisti qui possono trovare la tranquillità e la natura incontaminata a due passi dal mare, e godere appieno di diversi splendidi parchi di cui il Paese è ricco. Queste aree protette - come il National Parks Jericoacoara, Lençois Maranhenses e il Parco Nazionale Marino di Abrolhos - sono il punto di partenza ideale per escursioni, spedizioni e per gli amanti degli sport acquatici.
Jericoacoara, a 310 km da Fortaleza (capitale dello stato del Ceará nel nord-est del Brasile) è considerata una delle spiagge più belle del mondo. Quasi 20 anni fa, Jericoacoara era un piccolo villaggio di pescatori che si trovava tra due dune di sabbia senza strade, elettricità, telefono, televisione e giornali. Oggi dispone di infrastrutture organizzate, alberghi e ristoranti, ed è una destinazione popolare tra coloro che cercano tranquillità. Il Parco Nazionale di Jericoacoara dispone di 8.850 ettari e si trova tra i comuni Jijoca de Jericoacoara, Cruz e Camocim. Il parco è stato inaugurato nel 2002. Da allora, sono applicate norme severe in questa area, in modo che il carattere autentico di Jericoacoara e il bellissimo ambiente naturale siano protetti. Il Parco Nazionale si concentra sulla conservazione degli ecosistemi costieri, la conservazione delle risorse naturali, l’educazione ambientale e la promozione dell’ecoturismo. Oltre alla bellezza della natura, sono una grande attrazione anche le numerose spiagge di sabbia bianca. Qui per sub e snorkeling il divertimento è assicurato.
Lençóis Maranhenses National Park è stato fondato nel 1981 e copre 155 ettari. Il parco è costituito da numerose dune, e migliaia di lagune. Conosciuta per le bellezze paesaggistiche è visitata tutto l’anno da turisti provenienti da tutto il mondo. Le lagune sono originate dalle abbondanti precipitazioni della prima metà dell’anno, quando si riempiono di acqua. Nella stagione secca molte lagune spariscono, ma Lagoa do Peixe e Lagoa Bonita riescono a conservare sempre acqua. Il periodo migliore per visitarle è da maggio a settembre, perché allora le lagune sono tutte piene. Il parco è molto grande e il miglior modo per esplorare le dune è in compagnia di una guida locale. Da Barreirinhas - la città più grande della zona - i visitatori possono andare a Caburé e Atins con una nave di linea o in water taxi lungo la costa. Caburé è un paesino tra il fiume e il mare e per il pernottamento offre un paio di semplici pensioni. Atins è una piccola città da cui è possibile ammirare un magnifico panorama dal vicino faro.
Maggiori informazioni sul sito:
www.visitbrasil.com
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Si chiama Slum Tourism quello che ora porta i viaggiatori stranieri a visitare, adeguatamente accompagnati, alcuni dei quartieri più poveri delle grandi città, da Mumbai a Rio de Janeiro a New Orleans. È un’esperienza sempre più richiesta, sulla quale tuttavia il giudizio è controverso. Secondo gli esperti del turismo responsabile tutto questo è corretto, e culturalmente valido, solo quando la comunità viene coinvolta e i benefici del business ricadono sugli abitanti del quartiere.
Come accade a Mumbai, in India, dove c’è Dharavi (foto), una delle baraccopoli più grandi del continente asiatico, quella del film 'The Millionaire', in cui vive un milione di persone: 20 volte più densamente popolata del resto della città, esposta a frequenti inondazioni, priva di qualsiasi servizio di base. La si visita con Reality Tours and Travel, l’operatore fondato insieme nel 2005 dall’indiano Krishna Pujari e dall’inglese Chris Way, che la inserisce nel tour della città e dei villaggi circostanti con l’obiettivo dichiarato, tra l’altro, di rimuovere gli stereotipi negativi nei confronti della popolazione di Dharavi. "Molti sono convinti che qui vivano solo criminali e gente che non ha voglia di lavorare – ci dice la tedesca Adina Goerke, una delle 35 persone della squadra di Reality – ma nessuno capisce cosa voglia dire vivere in queste condizioni". Lo spettacolo delle delle migliaia di casupole dai tetti di stagno nella zona industriale è impressionante: qui si fa riciclo di materiali di ogni tipo, si producono ceramica e ricami, sapone e pane, pelli conciate e molto altro, quasi tutto in formule innovative e in spazi e imprese molto piccoli, che però insieme sviluppano un business da oltre 660 milioni di dollari l’anno.
Invece attraversando la zona in cui abita la gente quel che domina, e colpisce, sono lo spirito e il senso di comunità: è l’esperienza Dharavi. "Prima ero scettica – continua Adina – ma poi ho assistito al repentino cambiamento d’animo dei visitatori, e ho capito". All’inizio Reality Tours and Travel puntava a dare voce e visibilità ai problemi sociali della baraccopoli. Poi nel 2007 ha aperto il Community Center dove si insegnano inglese e tecnologia alla gente di Dharavi, le conoscenze indispensabili per trovare lavoro. Nel 2009 è nata la onlus Reality Gives, che riceve l’80% dei profitti del tour operator Reality Tours and Travel, e li usa per finanziare la formazione, le scuole locali e un nuovo progetto di avviamento dei giovani al lavoro. Reality Tours and Travel ha ricevuto il World Travel Market Award nell’edizione 2012, nella categoria Poverty Release.
realitytoursandtravel.com
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Il 21 dicembre 2012 è la data nel calendario gregoriano in cui, secondo aspettative e profezie diffuse attraverso siti web, libri e documentari televisivi, si dovrebbe verificare un evento, di natura imprecisata e di proporzioni planetarie, capace di produrre una significativa discontinuità storica con il passato: una qualche radicale trasformazione dell’umanità in senso spirituale oppure la fine del mondo. L’evento atteso viene collegato temporalmente alla fine di uno dei cicli (b’ak’tun) del calendario Maya. Questi scenari non hanno trovato supporto da parte della comunità scientifica internazionale e, in particolare, né da parte della comunità geofisica ed astronomica, né da parte della maggioranza degli studiosi.
I Maya, come altre culture mesoamericane, misuravano il tempo utilizzando un sistema di tre calendari. I giorni erano organizzati attraverso un calendario religioso rituale della durata di 260 giorni (chiamato Tzolk’in), suddiviso in trecene (periodi temporali di 13 giorni) e utilizzato prevalentemente a scopo divinatorio, e un calendario solare di 360 giorni (Haab’), suddiviso in 18 periodi di 20 giorni ciascuno.
I Maya non misuravano gli anni, tuttavia le date di questi due calendari erano combinate tra loro per dare luogo a cicli di 18.980 giorni (cioè 52 anni) per un totale di 52 cicli diversi ricorrenti.
Un ulteriore calendario, il cosiddetto Lungo computo, calcolava, invece, il tempo trascorso dalla data della creazione del mondo secondo la mitologia maya (11 agosto 3114 a.C. per noi). Secondo il Popol Vuh - uno dei principali documenti storici sul corpus mitologico dei maya - il Lungo computo attuale è solo il quarto in ordine di tempo poiché gli dei avrebbero distrutto le tre precedenti creazioni ritenendole fallimentari. La terza creazione fu distrutta al termine del 13° b’ak’tun (12.19.19.17.19), una data che ricorrerà nuovamente alla fine del 2012.
Sulla base di interpretazioni di impronta prevalentemente New Age, sono stati formulati due diversi scenari sulla corrispondenza di questa data.
Da un’iscrizione sul ‘Monumento 6’ del sito archeologico di Tortuguero si ricava la data del 2012, in cui accadrebbe qualcosa che coinvolgerebbe una misteriosa divinità Maya, Bolon Yokte, associata in genere alla guerra e alla creazione. Da qui se ne è ricavata l’eventuale profezia Maya data al 2012. Risultano tuttavia diverse altre tavolette che riportano date anche molto successive al 2012, cosa che fa ritenere che i Maya non pensassero a questo giorno come all’ultimo.
La credenza in catastrofi nel giorno 21 dicembre 2012 o in vicinanza ad esso, è peraltro una previsione considerata sbagliata dalla corrente principale degli studiosi degli antichi Maya.
Ad esempio, secondo Sandra Noble, executive director della Foundation for the Advancement of Mesoamerican Studies, di Crystal River in Florida, "rendere il 21 dicembre 2012 come un Giorno del giudizio o un momento di cambiamento cosmico è una completa invenzione e una possibilità per molte persone di fare profitto". La fine di un ciclo del calendario era infatti vista dal popolo Maya semplicemente come occasione di grandi celebrazioni per festeggiare l’ingresso nella nuova era, in questo caso il sesto ciclo.
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Uscito solo quindici anni fa da un lungo periodo di guerra civile durato trent’anni, il Guatemala é un paese ospitale deciso a recuperare in fretta il tempo perduto e presentarsi come una valida meta turistica, un posto in cui è ancora possibile praticare il turismo responsabile. Culla della cultura Maya, il Guatemala offre emozionanti tour alla scoperta delle ricchezze del suo passato, dove è possibile toccare con mano le testimonianze che questa civiltà ha lasciato. Le tracce sono evidenti in ogni dove ed è proprio per questo che ogni villaggio, ogni mercato è contornato da un’atmosfera speciale, in mix meraviglioso di colori, suoni, odori e materie che il Guatemala vuole mostrare con orgoglio ai suoi ospiti ma, allo stesso tempo, si tratta di tesori che protegge gelosamente.
Un viaggio nel Guatemala è un’occasione d’oro per immergersi in quella natura e nei silenzi che secoli fa hanno visto nascere la cultura Maya le cui testimonianze sono disseminate nel paese, soprattutto nella parte settentrionale dove sorgono realtà come la città di Flores, nella regione di Petén, il punto di partenza per una visita a Tikal, la più importante e spettacolare zona archeologica Maya facente parte del Parco nazionale di Tikal, sito segnalato dall’Unesco come uno dei Patrimoni dell’Umanità nonché una popolare meta turistica dove, in una fitta giungla verdeggiante di 225 chilometri quadrati, si potrebbero passare intere settimane a gironzolare per i sentieri della giungla che la circonda tra simpatici incontri con scimmie urlatrici, pavone, tucani, pappagalli verdi e formiche tagliatrici di foglie oltre a giaguari e coati.
Altro suggestivo sito archeologico di ancestrale bellezza è Ceibal, sempre nella parte settentrionale del Guatemala, là dove il viaggio per giungervi è una vera e memorabile avventura! A bordo di un battello si naviga lungo il Rio de la Pasiòn e, una volta a terra, preparatevi a nuove ed emozionanti peripezie prima di giungere a destinazione! Ebbene si, è necessario arrampicarsi per un viottolo stretto e roccioso, basta un minimo impegno per godere di una meravigliosa vista, quella degli innumerevoli templi avvolti dalla lussureggiante giungla. Anche il sito archeologico di Aguateca non è da meno: situato nel bacino di Petexbatun, è circondato da una laguna accessibile tramite l’uso di una barca che conduce fino a quelle meraviglie considerate le meglio conservate dell’intero Guatemala.
Le ricchezze antiche sembrano non finire mai: infatti, a 23 chilometri a nord di Tikal, si trova un altro dei siti archeologici più importanti del Guatemala, Uaxactùn o "Ocho Piedras" dove è conservata la famosa piramide E VII Sub, caratterizzata da una scalinata su ciascun lato e quattro maschere di stucco che raffigurano il dio della pioggia, considerata il più antico monumento sacro Maya (III secolo d.C.).
I Maya, come altre culture mesoamericane, misuravano il tempo utilizzando un sistema di tre calendari. I giorni erano organizzati attraverso un calendario religioso rituale della durata di 260 giorni (chiamato Tzolk’in), suddiviso in trecene (periodi temporali di 13 giorni) e utilizzato prevalentemente a scopo divinatorio, e un calendario solare di 360 giorni (Haab’), suddiviso in 18 periodi di 20 giorni ciascuno.
I Maya non misuravano gli anni, tuttavia le date di questi due calendari erano combinate tra loro per dare luogo a cicli di 18.980 giorni (cioè 52 anni) per un totale di 52 cicli diversi ricorrenti.
Un ulteriore calendario, il cosiddetto Lungo computo, calcolava, invece, il tempo trascorso dalla data della creazione del mondo secondo la mitologia maya (11 agosto 3114 a.C. per noi). Secondo il Popol Vuh - uno dei principali documenti storici sul corpus mitologico dei maya - il Lungo computo attuale è solo il quarto in ordine di tempo poiché gli dei avrebbero distrutto le tre precedenti creazioni ritenendole fallimentari. La terza creazione fu distrutta al termine del 13° b’ak’tun (12.19.19.17.19), una data che ricorrerà nuovamente alla fine del 2012.
Sulla base di interpretazioni di impronta prevalentemente New Age, sono stati formulati due diversi scenari sulla corrispondenza di questa data.
Da un’iscrizione sul ‘Monumento 6’ del sito archeologico di Tortuguero si ricava la data del 2012, in cui accadrebbe qualcosa che coinvolgerebbe una misteriosa divinità Maya, Bolon Yokte, associata in genere alla guerra e alla creazione. Da qui se ne è ricavata l’eventuale profezia Maya data al 2012. Risultano tuttavia diverse altre tavolette che riportano date anche molto successive al 2012, cosa che fa ritenere che i Maya non pensassero a questo giorno come all’ultimo.
La credenza in catastrofi nel giorno 21 dicembre 2012 o in vicinanza ad esso, è peraltro una previsione considerata sbagliata dalla corrente principale degli studiosi degli antichi Maya.
Ad esempio, secondo Sandra Noble, executive director della Foundation for the Advancement of Mesoamerican Studies, di Crystal River in Florida, "rendere il 21 dicembre 2012 come un Giorno del giudizio o un momento di cambiamento cosmico è una completa invenzione e una possibilità per molte persone di fare profitto". La fine di un ciclo del calendario era infatti vista dal popolo Maya semplicemente come occasione di grandi celebrazioni per festeggiare l’ingresso nella nuova era, in questo caso il sesto ciclo.
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