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Chi non ha sognato di visitare la leggendaria città di Angkor, l’ambientazione che ricorda in maniera più affascinante il Libro della Giungla? Chi non ha mai desiderato di addentrarsi tra le rovine dei templi divorati dalla foresta e rivivere le mitiche avventure di Mowgli? Angkor, una città che ricorda le parole di Kipling:
“Qualche re l’aveva fatta costruire sopra una collinetta in tempi lontani: Si poteva ancora distinguere le strade selciate che portavano alle porte cadenti, dove le ultime schegge di legno erano ancora attaccate ai cardini consumati e arrugginiti. Alcuni alberi erano cresciuti dentro e fuori le mura, i merli erano crollati, e diroccati, e i rampicanti selvatici ricadevano dalle finestre dei torrioni sui muri in folti ciuffi pendenti. Un grandioso palazzo senza tetto coronava la cima della collina; i marmi dei cortili e delle fontane erano spezzati e macchiati di rosso e di verde; le stesse pietre che lastricavano i cortili, dove una volta sostavano gli elefanti del re, erano state sollevate e sconvolte dalle erbe e dai ramoscelli. Dal palazzo si vedevano file e file di case senza tetto che davano alla città l’aspetto di un alveare dai favi vuoti e oscuri. Un blocco di pietra informe, che era stato un idolo, sorgeva nella piazza dove si incrociavano quattro strade, agli angoli delle quali c’erano buche e fosse, dove una volta erano situati i pozzi pubblici. Ai lati delle cupole sfondate dei templi spuntavano i fichi selvatici…”
A lungo considerate “perse” le rovine di Angkor, non lo erano mai state veramente per i Khmer, ma la loro storia per gli occidentali comincia solo con la riscoperta da parte del botanico francese Henry Mahout, che vi capitò nel 1860. Oggi Angkor è uno dei siti archeologici più importanti del Sud-Est asiatico, che attrae ogni anno due milioni di turisti. Il sito si estende per circa 400 km², compresa l’area boschiva e contiene i resti delle varie capitali dell’Impero Khmer, dal 9° al 15° secolo: il famoso Tempio di Angkor Wat simbolo del sito, il tempio Bayon con le sue innumerevoli decorazioni scultoree e il Ta Prohm il leggendario tempio della giungla. E’ patrimonio dell’UNESCO dal 1992.
La visita richiede 2-3 giorni di soggiorno a Siem Reap, la cittadina a nord di Phnom Penh, all’estremità del lago Tonle Sap. Siem Reap è in continua espansione, per accogliere i numerosi turisti che si riversano in Cambogia e hanno come meta principale la visita delle rovine. Nonostante il numero sempre elevato di visitatori gli abitanti della provincia di Siem Reap sono tra i più poveri della Cambogia. Per uscire dai circuiti turistici convenzionali e contribuire allo sviluppo del luogo è possibile seguire percorsi di turismo responsabile.
Ad esempio l’associazione francese “Agir pour le Cambodge” gestisce una scuola alberghiera che offre gratuitamente a 100 giovani provenienti da famiglie svantaggiate un anno di formazione nelle quattro principali professioni del settore: cameriere, assistente di cuoco, receptionist e pulizie. E’ possibile quindi alloggiare presso l’Hotel Sala Bai che offre una suite impeccabile a 27 € e camere doppie a 15 €, come è pure possibile gustare le specialità del ristorante omonimo che offre piatti molto curati a prezzi veramente contenuti. Ogni notte passata al Sala Bai Hotel corrisponde al finanziamento di 2-4 giorni di studio, ogni pasto ad un giorno di studio. Il servizio è impeccabile e se talvolta i ragazzi commettono errori di etichetta, questi vengono subito corretti dai tutor presenti, inoltre il loro sorriso, il loro lavoro, il loro fascino è qualcosa che non si può dimenticare.
www.salabai.com
Siem Reap è forse il posto migliore per acquistare souvenir e oggetti di artigianato. Visitare le Chantiers Ecoles, la scuola di artigianato locale, è molto istruttivo e permette di conoscere meglio i prodotti.
www.artisansdangkor.com
Guide competenti conducono i visitatori attraverso i vari laboratori, dove gli apprendisti, ragazzi appartenenti a famiglie povere della zona, imparano un mestiere antico e prezioso: si possono ammirare opere di intaglio del legno, di scultura della pietra, la realizzazione di dipinti e oggetti ricoperti di lacche pregiate, manifatture di seta e oggetti lavorati in rame e argento. I prezzi sono più cari dei mercatini, ma gli oggetti sono di fattura molto migliore.
Maria Lucchini
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Se per la prima volta nella vita facciamo rotta verso oriente e la meta scelta è la Thailandia, dobbiamo tenere conto di un grosso effetto collaterale: non vorremo più tornare indietro. Dopo un volo con Thai, la compagnia di bandiera tailandese, tra hostess in abiti tradizionali che ci riservano dal decollo fino all’atterraggio sorrisi e attenzioni, ad attenderci all’interno dell’aeroporto di Bangkok c’è un’atmosfera da giardino botanico affollato di orchidee; il regno del sorriso ha già cominciato a stregarci.
Fuori, una città che si estende su oltre 1.500 chilometri quadrati e con una popolazione di circa 10 milioni di abitanti che con successo è riuscita a coniugare il mondo antico con quello contemporaneo. Negli ultimi decenni la capitale della Thailandia si è trasformata in una città moderna, accattivante e sofisticata che però non offre solo divertimenti metropolitani. Questo Paese del sud est asiatico non è mai stato colonizzato e per questa ragione conserva intatto e inalterato un patrimonio artistico e culturale di rara bellezza, così come le usanze della sua delicata tradizione.
Dal 1782, anno della sua fondazione, Bangkok si è arricchita di innumerevoli palazzi ed edifici ma l’attrazione principale è costituita sicuramente dai 400 templi buddisti che punteggiano scintillanti in tutta la città. Il traffico di un agglomerato urbano di queste proporzioni è un problema al quale si può almeno parzialmente ovviare attraverso un’esperienza indimenticabile: muoversi col servizio di battelli che navigano sul Chao Phraya, il “Fiume dei Re” che si insinua nella città. Dall’acqua, dove i rumori arrivano attutiti, la vita di Bangkok si percepisce in modo diverso, unico. Come unica sarà la visita al Tempio Pho (foto), il più grande della capitale, che custodisce il Buddha Sdraiato: una statua laminata in oro lunga circa 46 metri e alta 15, con occhi e piante dei piedi intarsiate in madre perla che evoca l’ingresso di Buddha nel Nirvana.
Meno spirituale ma di grande impatto “olfattivo e cromatico” è una passeggiata al mercato dei fiori. Migliaia di mazzi colorati di orchidee, ghirlande di calendule, crisantemi e rose. Ancora più suggestivo può essere allontanarsi di poco da Bangkok per vivere il mercato galleggiante navigando sulle tipiche barche dalla lunga coda attraverso uno dei tanti corsi d’acqua della Thailandia. Decine di piccole imbarcazioni con il loro carico di frutta, verdura o cibo pronto si fermano accanto alla riva, dove sono allestite delle passerelle di legno per gli avventori. Tutto intorno una giungla fitta di piante tropicali e palme.
A Milano, in occasione dell’edizione 2012 di BIT, l’Ente Nazionale per il Turismo Tailandese, ha deciso di mettere in evidenza capolavori e attrazioni come queste accanto a molte altre realtà per incentivare il turismo nella capitale e nel resto del Paese. La Thailandia può contare anche su isole paradisiache per le attività balneari e gli sport acquatici, l’antichissima tradizione del massaggio e sulla possibilità di fare un salto nel passato dell’antico Siam grazie a un viaggio sul leggendario e lussuoso treno Easter-Oriental Express (foto). Ombrelli di carta di riso e canne di bambù decorati a mano, trekking nel nord a dorso di elefante, corsi di cucina tradizionale organizzati nei principali alberghi e i fondamenti del kick boxing Muai Thai. Tornare nella vecchia Europa è difficile; separarsi per sempre dai misteri dell’Oriente è impossibile.
Paola Drera
www.tourismthailand.org
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Il Ranthambore National Park è uno dei Parchi Nazionali più grandi e famosi dell’India, e uno dei posti migliori per avvistare le tigri.
Si trova vicino a Sawai Madhopur, nella Regione del Rajasthan, a circa 130 km da Jaipur. In precedenza il Parco era la zona di caccia del Maharaja di Jaipur, ma dal 1980 è stato assoggettato al Project Tiger, una missione con lo scopo di proteggere i felini, che copre un’area, con una vegetazione semi-desertica, di circa 400 Kmq.
Qui si avvistano tigri e leopardi, iene striate, zibetti indiani, manguste indiane, pavoni, avvoltoi. Tra i rettili e gli anfibi, coccodrilli, varani, tartarughe, pitoni, cobra, vipere di Russel e camaleonti. Vivacissima l’avifauna, con aironi, fenicotteri, martin pescatori, cormorani, ibis, pellicani, falchi, aquile, gufi. La sua grande estensione e la sua vegetazione proteggono, oltre agli animali, rovine di templi, moschee e il forte di Ranthambhore, risalente al X secolo. La flora del parco è tipica delle zone semi secche e include il famoso albero dhok le cui foglie sono cibo per gli erbivori, e il famoso l’albero di Banyan, di cui un imponente esemplare si trova vicino allo Jogi Mahal ed è considerato il più grande della sua specie in tutta l’India.
All’interno del Ranthambore National Park si trovano anche il Mansingh Sanctuary e il Kaila Devi Sanctuary, monumenti storici circondati da una fitta boscaglia e da prati. Le tigri possono essere avvistate all’ombra di uno di questi monumenti oppure in riva alle numerose pozze d’acqua.
Il Ranthambore Fort e lo Jogi Mahal sono altre strutture, sempre all’interno del parco, ben conservate. Il Padam Talab, il Milak Talab e il Raj Bagh Talab sono invece i tre grandi laghi del Parco, dove è possibile ammirare gli animali abbeverarsi, tigri comprese.
I visitatori sono accompagnati all’interno del Parco in jeep o furgoni (canter), che seguono sentieri già stabiliti per non disturbare le tigri, che possono però essere avvistate tra la boscaglia o nei pressi dei monumenti. Il Ranthambore National Park è senz’altro la meta preferita dai turisti che cercano la natura selvaggia in India e ammirare l’affascinante bellezza delle tigri di Ranthambore: vedere 'live' questi splendidi felini è un ricordo indimenticabile!
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Patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO il Forte di Agra è conosciuto anche come Lal Qila, Fort Rouge o Forte Rosso di Agra.
Circondata dal fiume Yamuna la fortezza monumentale deve il suo nome al materiale utilizzato per la costruzione, l’arenaria rossa, menzionata per la prima volta nel 1080, e il primo sultano che si trasferì da Delhi alla volta della fortezza fu Sikandar Lodi nel 1500 circa.
Si tratta di una delle fortezze più importanti e rappresentative dell’India, grazie alla sua ubicazione e costruzione poiché è circondata da un fosso d’acqua proveniente dal fiume. In passato erano conservati i tesori dello stato e fu abitata da differenti imperatori. Akbar il Grande (1542-1605) voleva rendere Agra la capitale dell’impero moghul ma arrivò nella fortezza solo poco prima della sua morte.
Le mura sono grandiose, con un fossato tra cinta esterna e interna. La Porta di Amar Singh è l’ingresso principale, di là del ponte levatoio sulle acque del fossato. La porta fu costruita da Shah Jahan nel 1665, per commemorare l’audacia di Rao Amar Singh, fratello del sovrano Rajput di Jodhpur e nobile di corte.
In cima alla rampa, i giardini a destra portano, all’Akbar Mahal, il Palazzo.
II grande bagno posto sul fronte e datato circa 1600 risale al matrimonio d’amore di Jahangir con Nur Jahan e forse fu uno dei regali dello sposo.
La facciata di marmo, sempre dello stesso periodo e fittamente decorata, fu aggiunta da Jahangir.
Oltre l’arcata ci sono le stanze di Akbar, di tendenza hindu, ispirandosi a costruzioni autoctone, con l’impiego di artigiani locali.
La corte centrale è su archi, con tetto poggiato su mensole decorate da singolari intagli.
Le stanze intorno sono riccamente decorate a intaglio. A destra c’è un ambiente soggiorno, dietro gli appartamenti della Principessa Rajput, con le nicchie per le divinità hindu, a sinistra l’harem e di fronte a altre tre stanze, la biblioteca di Akbar.
Il suo primogenito, Salim, in seguito divenuto Jahangir ovvero signore del mondo, diventato imperatore all’età di 36 anni, decorò il palazzo di Akbar con stucchi levigati e dipinti d’oro e aggiunse a nord stanze altrettanto lussuose, dietro la lunga facciata.
Uscendo dalle stanze di Jehangir, si raggiungono i tre padiglioni di marmo bianco. Quello centrale a cinque archi è il Khas Mahal, il palazzo privato di Shaha Jahan. I due padiglioni laterali sono quelli delle figlie predilette Jahanara e Roshanara. Tetti curvi allungati di tradizione Rajput, marmi traslucidi che filtrano luce ma non calore. Soffitti in oro e azzurro e dove sui muri erano appesi arazzi e ritratti.
All’esterno l’aria era rinfrescata da fontane e profumata da fiori. Attorno all’Anguri Bagh o Giardino della Vita vivevano le donne della casa imperiale, nelle stanze d’arenaria costruite da Akbar.
I bagni reali erano nell’angolo nord-est, dotati di due anticamere dette Shish Mahal o Palazzo degli Specchi, perché ricoperti di specchi che riflettevano la luce delle candele.
La serie di edifici, sulla piattaforma di marmo, mostrano il gusto raffinato di Shah Jahan come le Mussaman Burj o torri ottagonali e le stanze squisitamente intarsiate che formano un mini-palazzo destinato a Mumtaz, con cortile, bagni, soggiorno e terrazzi.
Shah Jahan lasciava il Khas Mahal e passava di qui per raggiungere la sala delle udienze private.
Più avanti, al piano superiore e affacciato con due troni sull’ampia piattaforma in riva al fiume, si trova lo spazioso e bel Diwan-i-Khas o sala delle Udienze Private, decorata con stupende colonne in pietra dura.
Sotto il Diwan-i-Khas era custodito il favoloso tesoro reale. Sotto la piattaforma vi sono le stanze sul fiume, la Malchchi Bhavan o casa del pesce di Akbar, nel cui spazioso giardino le cortigiane tenevano speciali bazar, occasioni uniche per corteggiamenti pubblici. Secondo la leggenda qui Jahangir incontro Nur Jahan e Shah Jahan la sua Mumtaz.
A conclusione della visita la maestosa Diwan-i-Am o sala delle udienze pubbliche, realizzata completamente in pietra arenaria con uno stile che è un perfetto mix di architettura persiana e indiana.
UFFICIO DEL TURISMO INDIANO
Via Albricci 9, 20122 Milano - T. 02 804952
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