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Raggiunge il record di 30 milioni di litri la produzione annuale di birra artigianale in Italia dove in netta controtendenza alla crisi si contano quasi 600 microbirrifici nel 2014, rispetto alla trentina censiti dieci anni fa. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti in occasione dell’incontro promosso del Corpo forestale dello Stato “MicroMaxi, i mille volti della birra” sul mondo produttivo delle birre in Italia. Dal boom dei micro birrifici in Italia è venuta anche una forte spinta all’occupazione soprattutto tra gli under 35 che sono i piu’ attivi nel settore con profonde innovazioni che - sottolinea la Coldiretti - vanno dalla certificazione dell’origine a chilometri zero al legame diretto con le aziende agricole ma anche la produzione di specialità altamente distintive o forme distributive innovative come i brewpub o i mercati degli agricoltori di Campagna Amica. Non è un caso che per la prima volta nel 2014 le birre sono entrate nell’elenco dei prodotti tradizionali censiti dalle Regioni dove si trovano - precisa la Coldiretti - specialità come la birra di Savignone (Liguria), la birra della Valganna (Lombardia) e la birra di Fiemme (Trentino), tre preparazioni che vantano le loro caratteristiche artigianali che si fondano, rispettivamente, sulla leggerezza e il contenuto di vitamine, sulla qualità dell’acqua e sulla storia e sui pregi del lupino e dei luppoli selvatici lavorati usando tecniche e metodi di una volta, riscoperti dopo lunghe ricerche. Una offerta variegata in grado di soddisfare gli otre 30 milioni di appassionati consumatori di birra presenti in Italia dove tuttavia il consumo procapite e di 29 litri, molto poco rispetto a Paesi come la Repubblica Ceca con 144 litri pro capite, l'Austria 107,8, la Germania 105, l'Irlanda 85,6, il Lussemburgo 85 o la Spagna 82. La produzione artigianale traina anche l’export Made in Italy con le spedizioni di birra italiana all’estero che sono aumentate del 13 per cento in quantità nel corso del 2014 rispetto all’anno precedente, secondo elaborazioni Coldiretti su dati Istat relativi ai primi dieci mesi. Oltre la metà della birra italiana esportata all’estero è diretta nel Regno unito dove nei pub - precisa la Coldiretti - si diffonde la presenza delle produzioni artigianali nostrane. A sostenere la produzione italiana di birra ci sono le coltivazioni nazionale di orzo con una produzione di circa 860.000 tonnellate di orzo nel 2014 su una superficie complessiva investita di circa 226.000 ettari. Per quanto concerne la produzione di birra, la filiera cerealicola unitamente al Ministero delle Politiche Agricole ipotizzano un impegno annuo di granella di orzo pari a circa 90.000 tonnellate. In questo contesto, ha trovato spazio, a partire dal 2010, favorita dalla nuova normativa nazionale, la piccola imprenditorialità per la produzione di birra agricola. Da tempo Coldiretti ha stimolato, perseguito ed avviato la politica delle filiere corte del “Made in Italy” agroalimentare, nel senso che il produttore partecipa, attraverso le sue forme associate fino alla gestione del prodotto finito sul mercato. Contestualmente, si sta potenziando su tutto il territorio nazionale la rete distributiva di “Campagna Amica” presso la quale il consumatore trova i prodotti firmati direttamente dal produttore in una sorta di vera tracciabilità. Tale politica ha stimolato anche la nascita di talune iniziative progettuali nel segmento della birra artigianale o agricola avviando una nuova imprenditorialità costruita con l’impiego dell’orzo aziendale in un contesto produttivo a ciclo chiuso garantito dallo stesso agricoltore. In questa situazione di grande dinamicità, a supporto della trasparenza dell’informazione dei consumatori, è pero’ necessario - conclude la Coldiretti - qualificare le produzioni nazionali con l’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine, per evitare che vengano spacciati come Made in Italy produzioni straniere.
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La produzione Made in Italy di miele di acacia, castagno, di agrumi e mille fiori è quasi dimezzata (-50 per cento) si moltiplicano i furti nelle campagne dove ad essere sottratti sono addirittura gli alveari. E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che a tagliare il raccolto è stato il clima ma anche l’arrivo in Italia dell’insetto killer delle api, Aethina tumida, che mangia il miele, il polline e, soprattutto la covata annientando la popolazione di api o costringendola ad abbandonare l'alveare. Il furto degli alveari oltre a provocare un grave danno economico rischia di alimentare attività illegali che - sottolinea la Coldiretti - mettono in pericolo l`agricoltura e la salute pubblica. Un problema che a seguito di una annata di raccolti scarsi quest’anno purtroppo – precisa la Coldiretti – ha riguardato anche altri prodotti dell’agricoltura come l’olio d oliva con campi sotto controllo e carichi che viaggiano scortati. Anche per combattere questi fenomeni il 19 gennaio è diventata ’operativa l'anagrafe delle api, con la possibilità, per gli apicoltori di registrarsi sul portale del Sistema informativo veterinario accessibile dal portale del ministero della Salute al quale potranno accedere operatori delle Asl, aziende e allevatori per registrare la attività, comunicare una nuova apertura, specificare la consistenza degli apiari e – precisa la Coldiretti - il numero di arnie o le movimentazioni per compravendite. Una necessità per garantire trasparenza in una situazione in cui al crollo dei raccolti nazionali ha fatto seguito l’aumento del 17 per cento delle importazioni dall’estero di miele naturale, sulla base dei dati istat relativi ai primi 9 mesi del 2014. Il risultato - denuncia la Coldiretti – è che in Italia due barattoli di miele su tre venduti nei negozi e supermercati contengono in realtà miele straniero. A preoccupare è peraltro il fatto che piu’ di 1/3 del miele importato proviene dall’Ungheria e quasi il 15 per cento dalla Cina ma anche da Romania, Argentina e Spagna dove sono permesse coltivazioni Ogm che possono contaminare il polline senza alcuna indicazione in etichetta. Il miele prodotto sul territorio nazionale dove non sono ammesse coltivazioni Ogm è tuttavia riconoscibile attraverso l’etichettatura di origine obbligatoria fortemente sostenuta dalla Coldiretti. Per acquistare miele italiano è bene verificare sempre l’etichettatura. La parola Italia deve essere obbligatoriamente presente sulle confezioni di miele raccolto interamente sul territorio nazionale mentre nel caso in cui il miele provenga da più Paesi dell'Unione Europea, l'etichetta - conclude la Coldiretti - deve riportare l'indicazione "miscela di mieli originari della CE"; se invece proviene da Paesi extracomunitari deve esserci la scritta "miscela di mieli non originari della CE", mentre se si tratta di un mix va scritto "miscela di mieli originari e non originari della CE". L'apicoltura italiana – conclude la Coldiretti - conta 75mila apicoltori, con 1,1 milioni di alveari e un giro d'affari stimato di 70 milioni di euro. Per non parlare del servizio di impollinazione reso all'agricoltura, valutato da 3,5 a 3 miliardi di euro.
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In attesa del rapporto definitivo che verrà illustrato ufficialmente dal 22 al 25 maggio ad Asti in occasione della convention nazionale delle Città del Vino, i dati relativi al turismo enologico sono stati presentati in anteprima alla Bit di Milano. I numeri non sono molto lusinghieri per il nostro paese, il trend infatti ci dice che l’Italia perde quote di mercato a favore dei paesi emergenti del cosiddetto ‘Nuovo Mondo’, al cospetto di quali tutta l’Europa si trova in difficoltà, a causa di falle nel settore della promozione e per la mancanza di una fattiva collaborazione tra i comparti. Un dato sopra a tutti, dei 20 milioni di enoturisti mondiali solo 3 riguardano l’Italia. Il dato è basso soprattutto in relazione alle potenzialità della nostra penisola, unica per patrimonio empelografico, quindi per varietà di vitigni. Sono infatti oltre 200 i vitigni italiani autoctoni a differenza di quanto accade ad esempio nei paesi del ‘Nuovo mondo’ (Canada, Stati Uniti, Cina, Argentina, Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda) caratterizzati da specie alloctone, quindi non naturali di quelle zone. L’Italia inoltre è il primo tra gli stati a vocazione vinicola per superficie vitata, il 2,56 %, contro il 2,05 della Spagna, l’1,8% della Francia e, per capirci, lo 0,28 del Cile, e lo 0,04 % degli Usa. Il nostro paese inoltre con i suoi 44,4 milioni di ettolitri di vino imbottigliati è il secondo produttore al mondo, preceduto solo dalla Francia, ma sembra contare poco in ambito turistico. Le difficoltà dell’enoturismo dipendono sicuramente della debole crescita del settore turistico generale, nell’ultimo decennio infatti l’incremento è stato del solo 8,6%, contro il +52 % della Francia ad esempio, che per tipologia di offerta è quella che si avvicina di più a quella italiana. Come sottolineato da Paolo Benvenuti, direttore generale delle Città del Vino: “Una produzione vitivinicola rilevante come quella italiana, sia in termini quantitativi che qualitativi, è fisiologicamente legata al turismo del vino che dovrebbe costituire una straordinaria risorsa. In realtà il XII rapporto del turismo del vino ci dice che questo comparto soffre di una sua non piena realizzazione, non tanto in termini di attrattività, quanto in termini di competitività”. Per tale motivo il rapporto di quest’anno tende a fornire un quadro del turismo del vino in chiave economico manageriale, nell’obiettivo di contribuire ad una maggior collaborazione ed integrazione nazionale per una maggior competitività. Un supporto nella lettura dei dati è offerto dal professor Giuseppe Festa che punta il dito sul gap tra realtà e potenzialità: “In Italia manca l’adeguata valorizzazione e promozione turistica legata all’enoturismo”. Un appuntamento importantissimo e da non lasciarsi sfuggire è rappresentato dall’Expo ormai alle porte. Un momento a tutto food, dove anche il vino sarà protagonista. Continua ancora Festa che è necessario abbinare le caratteristiche positive della produzione enologica italiana al territorio, puntando ad esempio sui nostri 50 siti Unesco ed in generale sul nostro straordinario patrimonio culturale, prestando attenzione che Expo non venga identificata solo con il territorio milanese o ancor peggio che non diventi un ponte verso altre destinazioni enologiche europee. Per fare in modo che l’esposizione universale sia una vera risorsa occorrono strategie condivise a livello istituzionale, promozionale e un effettivo lavoro di sinergia tra i comparti turistici, i produttori e la rete di trasporti.
Sara Rossi
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Mostrare al mondo la qualità del modello alimentare italiano, (unico al mondo per equilibrio nutrizionale, sostenibilità, legame con il territorio, gusto e sicurezza) e proporlo come soluzione per nutrire il pianeta e valorizzare la produzione agricola mondiale.
È l’obiettivo portato a “Expo delle Idee” da Federalimentare, in rappresentanza di oltre 58mila imprese agroindustriali, 385mila addetti diretti ed altri 850mila impiegati nella produzione agricola, e Fiere di Parma, che con il progetto “Cibus è Italia – Il Padiglione Expo di Federalimentare” faranno entrare i visitatori di Expo dentro la storia, la tradizione, la qualità e il saper fare di 15 tra filiere e aree tematiche dell’alimentare italiano.
Il luogo e i protagonisti: un padiglione di 5000 mq dove 400 aziende e 1000 marchi del food made in italy illustreranno qualità e know how che danno vita ad ogni prodotto agroalimentare italiano.
Il Presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, ha sottolineato la spinta e la capacità di valorizzazione che l’industria alimentare italiana ha saputo dare alle tradizioni produttive agroalimentari e al sistema Paese.
“Secondo le elaborazioni del Centro Studi Federalimentare, su circa 1,2 miliardi di persone che ogni anno comprano worldwide un prodotto o una bevanda made in Italy, ben 720 milioni sono consumatori non episodici e già fidelizzati – ha spiegato Scordamaglia - Se oggi c’è un’enorme domanda di food made in Italy da ogni parte del pianeta è merito dell’industria alimentare italiana, che ha fatto conoscere al mondo proposte dei nostri territori che altrimenti sarebbero rimaste relegate a livello di nicchia. Esportando i suoi prodotti l’industria esporta anche valori e know how di un modello alimentare unico e vincente per qualità, sicurezza e sostenibilità, fondato sulla valorizzazione della produzione agricola, sulla tradizione e sul legame con il territorio, dato che acquistiamo e lavoriamo il 72% delle materie prime prodotte dall’agricoltura italiana”.
“Condividere questo know how – ha spiegato Scordamaglia - è il maggior contributo che l’Italia può dare per confrontarsi con il problema di nutrire il pianeta. Lo portiamo ad Expo per mostrare come valorizzare la produzione agricola mondiale nella forma più sostenibile.”
Scordamaglia ha poi ricordato il sostegno dato dall’industria alimentare al Paese, anche in tempo di crisi: “Tra il 2007 e il 2014 il settore agroalimentare ha perso soltanto 3 punti percentuali di produzione, contro i 24 punti del manifatturiero nel suo complesso. Ha incrementato l’export di 48 punti, contro i 9 punti dell’export totale. E ha tenuto anche nei suoi livelli occupazionali, evidenziando anche sotto l’aspetto sociale la sua preziosa forza stabilizzatrice e anticiclica.”
Ma si può fare di più, ha concluso Scordamaglia: “Vogliamo spingere l’export agroalimentare da 30 a 50 miliardi di Euro entro la fine del decennio. Garantiremmo così un aumento degli occupati diretti ed indiretti di circa 100.000 unità. Un obiettivo ambizioso, ma raggiungibile grazie al coordinamento delle Istituzioni competenti nell’impiego delle risorse e nel contrastare i principali ostacoli alla competitività del settore: contraffazione, barriere tariffarie e non tariffarie, campagne aggressive verso il nostro modello alimentare mediterraneo.”
E sul tema della valorizzazione del modello italiano è intervenuto anche Gian Domenico Auricchio, Presidente di Fiere di Parma, illustrando i dettagli e la filosofia che hanno dato vita al progetto “Cibus è Italia - Il padiglione Expo Federalimentare”: “Il segreto del modello alimentare italiano è rintracciabile nella lunga storia dei produttori, nelle loro tradizioni, nella loro capacità di scegliere le materie prime e di lavorarle. Quindi la storia delle aziende alimentari è il miglior manifesto di questa unica expertise, che intendiamo condividere col pianeta. Ai visitatori che arrivano da ogni continente vanno illustrati e spiegati i piatti ed i prodotti del food made in Italy. Va spiegato come l’alimentazione del Bel Paese equivalga a gusto, capacità nutrizionali, sicurezza alimentare. E come questo contributo sia inimitabile e quanto siano fallaci, oltre che illegali, contraffazione e Italian Sounding”.
Per questo “Cibus è Italia - Il padiglione Expo Federalimentare” consiste in uno spazio espositivo di 5000 mq che ospiterà circa 400 aziende dell’agroindustria italiana in rappresentanza di oltre 1000 marchi. Un luogo dove i visitatori di Expo potranno vivere l’esperienza di come nasce il food&drink made in Italy grazie ad un percorso di edutainment che racconta 12 filiere agroalimentari e 3 aree tematiche correlate al tema food con le aziende che ne hanno fatto la storia. Le 12 filiere sono: Latte e Formaggi; Riso; Pasta; Dolci & Snack; Filiera della carne bovina; Vegetali; Carni Suine e Salumi; Filiera Avicola; Olio; Aceti e condimenti; Bere Italiano; Nutriceutica. Le 3 aree tematiche sono Territori; Tecnologie Sostenibili; Marca & Gusto.
“Cibus è Italia – ha concluso Auricchio - è il solo padiglione in Expo a mettere in mostra le competenze delle 15 filiere alimentari italiane e la storia di 400 aziende. E’ il padiglione del cibo italiano per antonomasia. Se il visitatore intende vivere l’esperienza cognitiva ed emozionale dell’intero panorama del cibo italiano, allora questo padiglione è la prima tappa del tour dentro Expo”.
Un esempio del contributo di “Cibus è Italia – il padiglione Expo di Federalimentare” al dibattito sul contributo italiano alla questione della alimentazione mondiale, viene dalla ricerca realizzata in esclusiva dal Laboratorio ExpoLAB della Università Cattolica del Sacro Cuore, che verrà presentata dentro il padiglione nelle giornate di Expo2015.
I marchi del sistema alimentare italiano sembrano disegnare la fisionomia di una vera e propria élite creativa, generatrice di ricchezza sociale, economica e anche culturale. E dunque la ricerca, coordinata dal prof. Lorenzo Ornaghi, è dedicata all’analisi delle performance economiche, competitive e sociali delle imprese del settore alimentare italiano, individuando e analizzando i fattori che hanno consentito di raggiungere risultati eccellenti nel medio e lungo termine.
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Un censimento su scala nazionale dei paesaggi olivicoli che potrebbero essere iscritti nel Registro dei Paesaggi Storici. E’ questa l’ultima importante campagna lanciata dall’Associazione Nazionale Città dell’Olio per salvaguardare il patrimonio olivicolo e valorizzarlo al meglio.
L’iniziativa - frutto del Protocollo di intesa siglato dall’Associazione Nazionale Città dell’Olio con il Laboratorio Cultlab dell’Università di Firenze diretto dal Prof. Mauro Agnoletti membro dell’Osservatorio Nazionale Paesaggio Rurale Mipaaf - è stata accolta con grande entusiasmo dalla rete delle Città dell’Olio, tanto che da alcune Regioni d’Italia, sono già arrivate le prime candidature. I siti e le aree d’interesse che dovranno rispondere ai criteri di significatività, integrità e vulnerabilità, richiesti dall’Osservatorio Nazionale per il Paesaggio Rurale e le Pratiche Tradizionali.
“Per la Associazione Città dell’Olio la tutela del Paesaggio Olivicolo e il mantenimento delle colture olivicole contro l’abbandono dei terreni agricoli, sono sempre state una priorità nella nostra agenda - ha dichiarato il presidente Enrico Lupi - sono alla base di una politica di sviluppo del territorio che in linea con le direttive della nuova PAC 2014-2020, scommette sempre di più sulla tutela ambientale aprendo nuovi spiragli nella programmazione anche per quel che riguarda gli aspetti turistici dell’agricoltura”.
Le aree proposte saranno sottoposte ad una prima valutazione da parte di una commissione composta da rappresentati di Cultlab e delle Città dell’Olio. Per le candidature giudicate ammissibili si procederà alla redazione della scheda di segnalazione.
Per i paesaggi che avranno le potenzialità di un riconoscimento sarà predisposto un dossier ufficiale di candidatura presso l’Osservatorio Nazionale del Paesaggio Rurale del Mipaaf (Ministero Politiche Agricole e Forestali). L’eventuale inserimento nel Registro Nazionale costituisce una condizione di preferenza da parte Mipaaf, per l’eventuale candiatura a paesaggio UNESCO WHL e anche GIAHS della FAO.
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