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Il lavoro dei sommelier contribuisce soprattutto all’estero a spingere la crescita del vino Made in Italy nel mondo dove le esportazioni hanno fatto segnare un aumento record del 16 per cento nel primo semestre del 2011. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare la consegna a Gabriele Del Carlo, sommelier presso il Restaurant Le Cinq di Parigi, del premio per ‘’il ‘Miglior Sommelier d’Italia 2011' dell’Ais (associazione italiana sommelier) e del Consorzio del Franciacorta. La diffusa presenza di sommelier italiani all’estero ha favorito la presenza del vino Made in Italy sulle tavole straniere dove - sottolinea la Coldiretti - nel 2011 si è bevuto più vino italiano che in Italia. La Coldiretti stima in quasi 23 milioni gli ettolitri di vino bevuti all’estero a fronte di un consumo nazionale di poco inferiore ai 21 milioni di ettolitri. Il successo del vino italiano all’estero è suggellato dal fatto che nel 2011 le esportazioni di vino italiano hanno superato nel 2011 quelle della Francia che si è fermata ad appena 14 milioni di ettolitri di vino esportato. Il risultato è particolarmente significativo poichè secondo le stime mondiali per il 2011 fornite dall’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (Oiv) in Francia nel 2011 - sottolinea la Coldiretti - sono stati prodotti 49,6 milioni di ettolitri, equivalenti a un aumento del 9 per cento mentre l’Italia con il minimo storico di 42,2 milioni di ettolitri ha perso il 13 per cento e retrocede quindi al secondo posto. Meno vino ma più buono, ci tengono a sottolineare.
(asca)
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L’orto in tavola. Non è una nuova, strampalata invenzione culinaria, ma una proposta genuina.
Come si sposano a Milano cucina vegana (che esclude dall’alimentazione i prodotti animali e loro derivati) e alimenti a chilometro zero? A Ottobre si è aperto a Milano il nuovo ristorante Orto, nello Starhotels E.C.H.O. (via A. Doria 4), un nuovo spazio per chi ama le ricette della terra e il design giovane e preferisce la cucina vegetariana e prodotti biologici controllati. Si chiama “GREEN Healthy Food & Mood”, l’esclusiva cucina ideata e realizzata da F&De Group (la società di Marcello Forti, specializzata nei servizi food&beverage), sviluppata con la supervisione della dottoressa Anna Villarini, biologa e nutrizionista dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Per la serie “Mangiare sano ma senza punizioni” ecco quali sono le novità. L’alimentazione proposta agli ospiti, già dalla colazione, ha un’impronta verde: il latte di riso integrale viene servito insieme a centrifugati di carote e mela, il pane di segale accompagnato da formaggio bio o affettati vegetali, e anche al bar si possono ordinare vini senza solfiti o birra biologica.
Suddivisi in quattro aree tematiche, al Ristorante Orto i piatti proposti nel menu li chiamano power plate e sono sette, uno per ogni giorno della settimana, che combinano in modo sano ed equilibrato cereali integrali, legumi, frutta fresca e vegetali di stagione. Timballo di riso rosso integrale, verdure croccanti e bocconcini di tofu o hamburger di ceci al ramerino, ma anche misticanze di insalata adagiate su un cestino croccante sono le proposta Green Healty and Mood creato per i palati vegetariani più salutisti ed esigenti; il Ministero del Gusto è più per i ghiotti eccentrici, che possono ordinare risotto carnaroli della lomellina ai funghi porcini e basilico e speck d’anatra o la battuta di manzo in punta di coltello all’albese con limone di Sorrento, acciughe e capperi. Dedicato a chi non rinuncia ai sapori della tradizione è il menu Ever Green: prosciutto di Parma riserva con gnocco fritto o filetto di manzo cotto nel Chianti, con tortino di patate e noci. Infine l’omaggio alla città con DE.CO e i piatti lumbard: non poteva mancare il risotto alla milanese o costoletta di vitello impanata secondo la tradizione, il tutto sapientemente preparato dallo chef Alessandro Corbetta. Assolutamente dietetici i dolci e dessert, come la ghiacciata ai cachi con crema di marron glacé o il tortino soffice al rabarbaro con gelato allo yogurt (Piatti a partire da 8€). Lo spirito naturale non riguarda solo i piatti, ma anche l’intera filosofia dell’albergo, così lo Starhotels E.c.ho. ha pensato ad un design giovane, nel rispetto dell’ambiente con materiali ecologici e consumi intelligenti e a basso impatto per l’ambiente. Il ristorante utilizza acqua del rubinetto microfiltrata servita in bottiglie di vetro sterilizzate e riciclate, ed ha l’accordo con il «Gruppo Banco Alimentare» per il recupero degli alimenti integri destinati a chi ne ha bisogno. La hall è arredata con pouf a forma di sasso realizzati in tessuti eco-label che si alternano a tavolini, realizzati con tronchi di cedro profumato, dotati di certificato FSC (Forest Stewardship Council). Anche il ristorante segue questi dettami e presta grande attenzione ai dettagli e alla tavola con ad esempio tovagliette e cestini per il panein cellulosa riciclata e riciclabile. Non resta che prepararsi agli assaggi e unirsi all’oasi “verde”.
Per le prenotazioni
Valentina Castellano Chiodo
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"E' quello che notiamo in questi giorni. Infatti, almeno fino a oggi, non si registrano flessioni nelle vendite, anzi la richiesta sale - afferma Stefano Fugazza, dirigente del Settore alimentaristi dell'Unione Artigiani della Provincia di Milano - Ma è altrettanto vero che al posto del panettone da un chilo, quest'anno si preferisce la pezzatura da 750 grammi e calano le vendite del formato maxi da un chilo e mezzo. A conti fatti si lavora lo stesso quantitativo di impasto dello scorso anno ma si vendono più panettoni di peso minore. Chiaro che così, per noi pasticceri, il guadagno è sensibilmente più basso visto che la lavorazione e il confezionamento restano uguali anche se il panettone pesa di meno. Direi che si può ipotizzare una perdita del 15 -18% circa. Ma noi continuiamo a mantenere i prezzi dello scorso anno e ci ripaga anche la soddisfazione di verificare che, nonostante la micidiale concorrenza dell'industria, la gente non rinuncia alla qualità di un prodotto che ha un'origine storicamente artigianale, anzi la preferisce. Lo comprova anche il calo costante nelle vendite dei panettoni industriali". E a proposito di concorrenza c'è parecchia contrarietà tra gli artigiani per il fatto che in tempi natalizi continuino a proliferare tutta una serie di prodotti che con il panettone hanno poco o niente da spartire. L'Unione Artigiani, in proposito, non esclude che, per alcuni casi, si possa arrivare a formalizzare una protesta o un ricorso. "Non escluderei - aggiunge Fugazza - che ci si debba tutela contro chi 'abusa' della denominazione tradizionale per prodotti che sono invece dolci alla cioccolata, magari con ripieno di limocello, zabaglione o con decorazioni di glasse varie. Ci sono altri nomi che si possono usare: chiamateli 'Dolce di Natale' o 'Pan delle feste', ma è scorretto definirli panettoni!". Anche perchè il vero e unico panettone tradizionale ha una sua ricetta ben precisa e una lavorazione codificate da una disciplinare di produzione che regola il marchio di Denominazione Controllata. "Prima di tutto farina e zucchero con burro, uova in quantità e miele per l'impasto - spiega il dirigente degli artigiani - e poi canditi d'arancio e cedro (che devono avere una dimensione ben precisa, cubetti da 9 millimetri di lato) e uva sultanina. Segue poi la lavorazione e la definizione della forma (altezza di 22 centimetri) con il taglio delle quattro punte sulla cupola, a simboleggiare le guglie del Duomo, una bella cottura in forno ben caldo per circa un'ora e, per concludere, il raffreddamento completo tenendo il panettone capovolto. Un lavoro complesso ma rispettoso della tradizione che il pubblico dimostra di apprezzare e che merita di essere preservato e difeso".
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La prova del nove, infatti, si ha su alcuni classici della cucina italiana: ai partecipanti allo studio è stato sottoposto un test per verificare quali siano gli ingredienti corretti che servono per la loro preparazione e quelli che invece proprio non c'entrano, e i risultati non farebbero certo felice uno chef. Per delle semplici scaloppine, infatti, secondo il 61% sembra essere essenziale, oltre alla farina, passare le fettine di carne in un'abbondante dose di pangrattato. E non va meglio per i primi: per la celebre pasta alla Norma secondo il 43% si utilizzano le zucchine al posto delle melanzane e nel pesto il parmigiano non è utile quanto le noci.
Quando si parla di cucina o di vini è difficile ormai sentire qualcuno che dice di non saperne assolutamente nulla, e questo sembra valere soprattutto per uomini e donne tra i 25 e i 40 anni: ben il 35% degli intervistati si definirebbe addirittura un esperto in materia. A questi veri e propri grand gourmet si aggiunge il 28% che si definisce un discreto conoscitore. E se il 23% ritiene di cavarsela, pur non essendo particolarmente esperto, solo il 12% degli intervistati ammette di saperne veramente poco in fatto di cucina e di vini.
Ma al di là del livello di 'preparazione' vero o presunto, l'enogastronomia è sicuramente presente tra gli interessi dei giovani adulti al punto che solo un trascurabile 5% dice di non interessarsene assolutamente, contro il 78% che invece la pone tra i suoi 5 maggiori interessi. Il restante 17% dice di interessarsene, ma solo nel momento di sedersi a tavola.
Ma come coltivano questa passione e cosa fanno per definirsi dei veri cultori dell'enogastronomia di qualità? Sono numerosissimi quelli che seguono trasmissioni e rubriche Tv dedicate al 'buon mangiare' (il 58% dichiara di seguirle con una certa assiduità), si informano su Internet, leggendo recensioni e articoli dedicati alle nuove tendenze in fatto di cucina (il 43% lo fa almeno due o tre volte al mese) o sulla stampa generalista, negli spazi dedicati all'enogastronomia (35%). C'è addirittura chi si informa sulla stampa specializzata (16%) o acquista abitualmente le guide dedicate ai migliori vini o ristoranti (14%).
Ma non si tratta di una conoscenza esclusivamente 'accademica': il 34% dichiara infatti di aver partecipato almeno una volta a una degustazione e il 22% ha seguito o ha in progetto di seguire un corso di sommellerie. Il 18% non si lascia sfuggire fiere e manifestazioni dedicate all'enogastronomia e il 54% dichiara di leggere sempre le recensioni prima di scegliere un ristorante dove pranzare o cenare con gli amici. A dimostrazione di questa loro conoscenza del mondo dell'enogastronomia dimostrano di conoscere i nomi degli più conosciuti, sia a livello italiano che internazionale: ben il 71% ha sentito parlare di Ferran Adrià, dell'italiano Vissani (il 65%, anche se alcuni pensano sia solo uno chef televisivo), o dell'inglese Jamie Oliver (42%).
Il 38% sa che un decanter serve per servire al meglio determinati vini, conosce perfettamente il significato di sigle come Igp, Doc o Docg. (31%) e il 16% ha almeno un'idea di cosa sia la cucina molecolare (anche se alcuni sono convinti che sia quella che il capitano Kirk mangiava sull'Enterprise).
Se sulla carta sembrano essere dei veri esperti in fatto di manicaretti, questa preparazione non sembra trovare riscontro quando dalla pura teoria si passa alla pratica. Tra quelli che vivono ancora in casa (68% dei partecipanti al focus), infatti, quando a cucinare non c'è la mamma sono pochissimi quelli che si mettono ai fornelli (solo il 9% ci prova). E non va certo molto meglio per quelli che vivono fuori casa (32% dei partecipanti ai focus): solo il 14% di loro cucina abitualmente per se o per gli amici qualcosa che vada più in là di una pasta al sugo o una bistecca ai ferri. Per entrambi i gruppi intervistati dagli esperti del Mauri Lab, infatti, l'attività più comune è decongelare piatti pronti o pietanze lasciate pronte dalla mamma (51%), così come sono abilissimi ad ordinare la consegna di pizza a domicilio (46%). I più 'esperti' si lanciano nella realizzazione di un panino (39%), ma sono moltissimi quelli che alzano subito bandiera bianca a vanno a mangiare fuori o si rivolgono alla rosticceria sotto casa (28%). Un vero disastro, confermato anche da un test a cui sono stati sottoposti gli intervistati, per evidenziare la loro conoscenza concreta della preparazione di alcuni 'classici' intramontabili della cucina italiana, dei quali è stato chiesto di individuare, tra quattro alternative, quale ingrediente non ci volesse o quale fosse fondamentale. (LC)
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Migliori ricorda che ''l'Oliva Dop è un frutto che fa da promozione ad un intero territorio, è un marchio gastronomico per il Piceno che passa anche attraverso i ristoranti e che da reddito. Un chilo di Oliva Dop viene pagata al produttore 2-2,20 euro, le olive greche la metà. Le olive ripiene Dop vengono pagate, al consumo, 25 euro al chilo, quelle fatte con olive greche 15 euro al chilo''.
Paolo Mazzoni, presidente di Coldiretti Ascoli Fermo, sottolinea che ''abbiamo la Dop, ma la denominazione da sola non basta, occorre incentivare la coltivazione e, da qui, arrivare alla riconversione delle produzioni industriali per dare maggior valore alle produzioni agricole e assicurare ai consumatori trasparenza e legame col territorio''.
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