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Dop, 116.588 in più rispetto al 2017 (+2,46%), ancora più sensibile l’aumento rispetto al 2016 (+5,85 %). I dati confermano il trend in costante crescita nella produzione di Gorgonzola Dop negli ultimi anni.
Il Gorgonzola Dop del tipo Piccante raggiunge l’11,5% della produzione totale con un aumento del 7% rispetto al 2017 in linea con il crescente gradimento dei formaggi a lunga stagionatura, specialmente nel periodo pre-natalizio (Indagine Assolatte).
Oltre due terzi della produzione 2018 si è concentrato nelle province piemontesi (Novara, Vercelli, Cuneo, Biella, Verbano-Cusio-Ossola e il territorio di Casale Monferrato).
Il Gorgonzola Dop si conferma ancora una volta terzo formaggio di latte vaccino per volume prodotto nel panorama dei formaggi DOP italiani, dopo i due grana, con 37 aziende associate e 1.800 aziende agricole dedicate alla produzione e un volume d’affari al consumo di 720 milioni di euro.
Le esportazioni di Gorgonzola Dop fanno registrare ancora una volta il segno positivo. Nel 2018 hanno varcato i confini nazionali 1milione 750mila forme (21.007 tonnellate) con un incremento del 2,4% rispetto all’anno precedente. Le esportazioni di Gorgonzola Dop sono in costante crescita dal 2010.
L’Unione Europea ha assorbito l’86% del prodotto esportato pari a oltre 1milione 512mila forme mentre l’esportazione verso il resto del mondo è cresciuta del 13% (238.166 forme).
I paesi più performanti in assoluto sono stati Germania, Francia, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi. Il primo paese extra UE si conferma il Giappone, con circa 42mila forme, seguito dagli Stati Uniti con 36.812 forme
Il Presidente del Consorzio Gorgonzola Renato Invernizzi commenta con entusiasmo: “La continua crescita dei numeri del Gorgonzola Dop all’interno del comparto caseario, leader dell’agroalimentare per valore alla produzione, al consumo e all’export, ci rende molto orgogliosi. I nostri sforzi continuano ad essere rivolti alla tutela del prodotto per combattere la contraffazione e promuoverne la qualità. Puntiamo sempre più alla destagionalizzazione del formaggio Gorgonzola Dop, per aumentare le occasioni di consumo anche nei mesi più caldi, nonché ad accrescere la cultura alimentare e la conoscenza del valore della Denominazione d’Origine anche nei giovanissimi, come dimostra il concorso “School of Cheese” ideato insieme ad altri Consorzi di tutela”.
Marco Balsamo
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Semplice e leggera, espressione genuina della vita marinara e contadina la cucina della Liguria vanta un paniere ricchissimo di sapori: pesce fresco, ortaggi, fino ai fragranti prodotti da forno. Ogni comune di questa terra ha la propria specialità e una ricetta da scoprire visitando cantine, frantoi, ristoranti e agriturismi che propongono squisite specialità come il cappon magro, la panissa di ceci, la cima alla genovese, i ravioli di borragine, la torta verde, le trofie al pesto. Una cucina così gustosa da meritare di essere menzionata anche nel film La Grande Bellezza (premio Oscar 2014), dove il Cardinale Bellucci, appassionato buongustaio, spiega la ricetta del coniglio alla ligure.
16 i Presidi Slow Food: Cipolla Belendina di Andora (new entry dicembre 2018) e poi Acqua di fiori di arancio amaro, Aglio di Vessalico, Albicocca di Valleggia, Asparago violetto di Albenga, Carciofo di Perinaldo, Castagna essiccata nei tecci di Calizzano e Murialdo, Chinotto di Savona, Pesca artigianale del Golfo di Noli, Fagioli di Badalucco, Conio e Pigna, Gallo nero della Val di Vara, Razza bovina cabannina, Sciroppo di rose, Tome di pecora brigasca, Tonnarella di Camogli, Sciacchetrà delle Cinque Terre. fondazioneslowfood.it
Latte, formaggi, cereali, legumi e ortaggi bianchi sono la base della cucina bianca, nata nelle montagne dell’estremo ponente ligure dove da secoli si pratica la pastorizia e la transumanza: una cultura gastronomica capace di esprimere punte di eccellenza e originalità oltre a specialità e piatti davvero significativi. Ogni anno, nella seconda metà di agosto, a Mendatica le viene dedicato un weekend culturale e gastronomico.
Lavanda: basta il nome per evocare campi tinti di viola e la tipica fragranza pulita, fresca, aromatica. L’entroterra del ponente ligure, in quell’ arco di valli che va dal confine con la Provenza fino al Colle di Nava, vanta una ricca tradizione nella coltivazione e distillazione della lavanda Coldinava. A Carpasio si trova il primo museo nazionale della lavanda e delle erbe officinali. http://bit.ly/2m2JtuA
Versatili e saporite, le birre artigianali sono sempre più apprezzate e in Liguria stanno vivendo un momento di rinascita grazie ai microbirrifici. Il capostipite è la Fabbrica Birra di Busalla (birrabusalla.it), famosa per la birra alla castagna e quella alle rose della Valle Scrivia. A tutela della birra artigianale è nata l’Associazione Birrifici Liguri. Tutti i microbirrifici liguri sul sito microbirrifici.org
Milano Sanremo del gusto è la famosa corsa ciclistica in chiave gourmet.
Vi porteremo a scoprire produttori, ristoranti, cantine, vinerie, frantoi, agriturismi che hanno abbracciato con noi la filosofia dell’accoglienza e la valorizzazione delle tipicità enogastronomiche. Vi faremo entrare nei locali dove oltre al cibo si racconta l’identità di un luogo e di quella cultura. Qui troverete la mappa con tutti i locali: potete selezionare un itinerario per vederli disposti sul territorio corrispondente oppure operare una scelta e filtrare i risultati secondo le opzioni: Itinerario, Regione, Tipologia di Locale, Prodotto Tipico e Identikit del gusto. Prima, dopo e – soprattutto – durante la vostra personalissima corsa in chiave gourmet, condividete con il mondo la vostra esperienza utilizzando #MSRGusto, l’hashtag ufficiale della Milano Sanremo del gusto: comparirà sul nostro Social Wall.
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Festival del Baccalà 2018
La nona edizione presenta alcune novità nella selezione della ricetta vincitrice.
Ben 26 i ristoranti triveneti che si sfideranno dal 1° ottobre 2018 al 28 febbraio 2019.
Al vincitore verrà assegnato il Trofeo Tagliapietra.
Torna, con la carica che nelle precedenti otto edizioni lo ha sempre contraddistinto, il Festival del Baccalà: un vero e proprio tributo allo stoccafisso, al merluzzo nordico conservato per essicazione, che nel nord Italia, ed in particolare nelle aree a dominazione veneziana, viene chiamato bacalà o baccalà.
Il Festival triveneto del Baccalà è una competizione itinerante, organizzata dalla Dogale Confraternita del Baccalà Mantecato, la Venerabile Confraternita del Bacalà alla Vicentina e dalla Vulnerabile Confraternita dello Stofiss dei Frati, che coinvolge i più importanti ristoranti del Triveneto: gli chef delle regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige possono infatti partecipare proponendo le ricette più creative a base di stoccafisso. L’azienda Tagliapietra di Mestre (VE), tra le leader in Italia nell’importazione, lavorazione e commercio di prodotti ittici ed in particolare del merluzzo, assegna così alla migliore ricetta assoluta il Trofeo Tagliapietra: un premio che sarà consegnato in occasione del galà finale, in programma per il 26 marzo 2019, e che rimarrà nelle mani dello chef autore del miglior piatto per un anno intero. Allo stesso vincitore sarà inoltre offerta la possibilità di viaggiare, accompagnato, in Norvegia per scoprire le Isole Lofoten, patria dello stoccafisso.
La meccanica di selezione delle ricette presentate dagli chef al Festival si articola su diversi step che rendono ancor più entusiasmante la competizione: i ristoratori (massimo cinque per ogni provincia del Triveneto) che hanno regolarmente presentato la propria candidatura devono, in accordo con il comitato organizzatore, dare vita a una serata, nel proprio ristorante e dal 1 ottobre 2018 al 28 febbraio 2019, nella quale propongono ai clienti e a una delegazione della giuria tre piatti (un antipasto, un primo e un secondo) a base di stoccafisso. I clienti votano il piatto preferito della serata, mentre la delegazione prende atto della scelta.
Tutte le ricette più votate vengono così valutate, il 4 marzo 2019 e unicamente sulla carta, da una giuria tecnica, composta da soli chef, che ne seleziona dieci. Queste dieci vengono realizzate dagli stessi autori lunedì 11 marzo al Baccalàdivino di Mestre e una giuria, questa volta mista e composta da chef e membri del comitato esecutivo, porta a cinque il numero dei finalisti. Questi partecipano alla serata del galà finale in programma a Montecchio Maggiore (VI): qui i piatti vengono nuovamente presentati e valutati, sulla base di ben cinque parametri, da una giuria tecnica composta da 7 membri coordinati dallo chef Franco Favaretto che ne decreta il vincitore assoluto.
La Tagliapietra e Figli è un’azienda che da tre generazioni importa, studia, effettua ricerche, lavora e commercializza lo stoccafisso sia per i cuochi dei ristoranti italiani sia per il consumo da parte delle famiglie. Allo stesso tempo l’azienda è impegnata nello studio, nella ricerca di nuovi prodotti da inserire nel mercato. L’azienda è impegnata in una continua ricerca sull’immagine, sul brand e sul marketing nella convinzione che comunque sia anche questo per presentare nel migliore dei modi il pesce norvegese.
Il festival del baccalà è nato per dimostrare che lo stoccafisso e il baccalà sono prodotti versatili che si adattano perfettamente all’alta cucina e all’innovazione culinaria. Personalmente, credo fortemente nel binomio tradizione-innovazione. Proviamo una grande soddisfazione nell’osservare l’entusiasmo crescente dell’alta cucina verso i nostri prodotti. Eventi di questo tipo sono importantissimi per diffondere la conoscenza nell’utilizzo del baccalà e dello stoccafisso, ma anche sono utili per sensibilizzare le nuove generazioni al loro utilizzo e consumo.
I giurati hanno decretato la migliore ricetta 2017, assegnando allo Chef Andrea Rossetti il Trofeo Tagliapietra che gli è stato consegnato da Ermanno e Daniele Tagliapietra, rispettivamente Titolare e Amministratore Delegato della Tagliapietra e Figli srl.
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di Antonio Vanzillotta
Una vera novità per la città di Milano: ha aperto “Hellinikon”, il primo negozio al dettaglio di prodotti greci in tutto il Bel Paese.
Ecco una vera leccornia greca in Via Casoretto 30 / A ( zona Città Studi). La prima cosa che colpisce di Hellinikon è il profumo: fresco e speziato che ci fa subito sentire a casa . Poi la musica greca che fa da sottofondo. E infine il blu, blu ovunque: in vetrina, sugli scaffali, sulle pareti. La conoscenza italiana verso la Grecia si limita spesso, in larga parte, alle isole per le vacanze, ad Atene e a qualche vaga reminiscenza storica e filosofica.
Ma della Grecia di oggi, dei suoi mercati ricchi di spezie, della sua cultura e delle sue tradizioni ricche e variegate che uniscono l’oriente e l’occidente si sa poco o niente. E questo vale anche per l’enogastronomia. Sono profondamente convinto del valore culturale delle tradizioni culinarie di un luogo che raccontano della sua storia e della sua gente. Questo vale anche per la Grecia, perché guardando i prodotti disposti sugli scaffali blu di Hellinikon ci si rende conto di quanta ricchezza si nasconda nei meandri di quel grande Paese del Mediterraneo, così vicino.
L’idea è dell’architetto Kostas Lagiopoulos e di sua moglie Kostantina che hanno voluto investire i loro risparmi e contrastare la crisi, ed aprire qui in città un locale che è un vero e proprio angolo di Grecia.
Kostas ha studiato a Milano architettura; la moglie, invece, all’Università di Lecce ha conseguito una laurea umanistica. Con l’apertura a Milano, circa un anno fa, di questo negozio enogastronomico greco hanno voluto continuare la loro permanenza in Italia e promuovere una conoscenza della Grecia a 360%.
Dentro Hellinikon Kostas e Konstantina hanno creato un punto vendita, con prodotti ellenici provenienti da piccoli agricoltori, selezionati minuziosamente, da ogni parte della Grecia.
Così i milanesi hanno l’opportunità di gustare, ad esempio, olive di Kalamata, feta, lentisco, olio d’oliva, dolci tradizionali, miele... Hellinikon è l’unico punto vendita di prodotti ellenici in tutta Italia, dove il consumatore ha l’opportunità di acquistare prodotti di qualità esclusivamente di produzione greca. Kostas offre inoltre un’esperienza unica ad ogni visita, attraverso la storia dei siti di produzione e dei produttori greci. Il negozio è luogo di ‘incontro’ e legame con la cultura greca: si organizzano serate culturali, presentazioni di libri e tutto ciò che sia Grecia nel nostro Paese.
Antonio Vanzillotta
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Forse vi sarà capitato di fare una bella gita in montagna, con annessa lunga camminata per raggiungere una baita sperduta dove pranzare. Grande soddisfazione per l’impresa di arrivare alla meta senza auto e qualcuno, sicuramente romanzando un po’ l’esperienza, avrà raccontato agli amici delle difficoltà superate, del dislivello, della fatica e del gusto di consumare un pasto tra alte vette e aria frizzantina. Lungi da me minimizzare il vostro successo ma… per qualcuno siete davvero dei dilettanti!
Quel “qualcuno” è Sanjay Thakur, chef indiano nato tra le montagne e protagonista nei giorni scorsi di un’impresa davvero sorprendente: allestire un ristorante pop up al campo base dell’Everest, nella catena dell’Himalaya.
Partito da Lukla, città nepalese a quota 2600 mt., dopo 8 giorni di trekking insieme ai suoi assistenti ha raggiunto il punto di partenza per la scalata al gigante di roccia a oltre 5000 mt di quota e ha cucinato un pranzo per pochissimi quanto avventurosi commensali.
Gli ingredienti di tutte le sette portate sono state il risultato del foraging che è stato fatto durante il trekking verso il campo base. Un percorso degustativo completamente biologico, cucinato in una tenda per ripararsi dal vento e dimostrare che si può creare un ristorante sull’Everest e poi smantellarlo senza alcun impatto ambientale. Il principale obiettivo del progetto (perché di questo si tratta, non certo di una sfida fine a sé stessa) è porre l’attenzione sui temi della sostenibilità. Nel tempo gli esperti si sono resi conto della diminuzione della vegetazione e delle specie animali per effetto del cambiamento climatico e c’è la volontà da parte di chef Thakur di lanciare un messaggio a salvaguardia del territorio himalayano.
Per ovviare, invece, alle conseguenze dell’altitudine che fa diminuire la percezione del gusto, sono state d’aiuto le spezie. Queste ultime, insieme alla cottura sotto vuoto, sono state una delle caratteristiche di quest’esperienza che mirava anche alla custodia e al rispetto delle tradizioni della cucina indiana e nepalese perduta.
Il Nepal è un paese lungo e stretto, incastonato tra le montagne più inaccessibili al mondo, con la Cina da una parte e l’India dall’altra. Per la sua posizione così defilata e difficilmente raggiungibile, è un luogo ancora fortemente legato alle proprie tradizioni e alla propria cultura, dotato di un fascino misterioso. L’armonia tra uomo e montagna si assapora anche nella sua gastronomia, in sintonia con l’ambiente e al tempo stesso dipendente da esso. In condizioni estreme come quelle del territorio nepalese occorre adeguarsi alla natura per le coltivazioni ma riuscire anche a creare cibi adatti a sostenere il fisico contro le avversità climatiche.
Ai vari cumino, coriandolo e paprika onnipresenti nei piatti, si aggiungono ingredienti valorizzati al massimo in decine di diverse cotture e combinazioni: pomodoro, cipolla, zenzero, peperoni e aglio, per non parlare del peperoncino, vero punto di orgoglio. D’altra parte la vicinanza con il Tibet, a forte influenza cinese, ha introdotto piatti di più marcata componente proteica, come quelli a base di pasta e carne: yak, detto anche bue tibetano, pollo e agnello sono ciò che serve per reintegrare le energie spese per affrontare le montagne della regione.
I sapori delle pietanze risultano essere un po’ una sfida per i nostri palati, ma d’altra parte anche andare in Nepal non è cosa da tutti. O no?
Paola Drera
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