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Per migliaia di anni la Slovenia ha rappresentato un crocevia di nazioni e un melting pot di ispirazione naturale e culturale, dalle Alpi al Mediterraneo, dal Carso alla Pianura Pannonica, dove sono state create alcune delle più grandi meraviglie del genere umano e della natura. Venite a conoscere i siti culturali sloveni!
I TESORI PIÙ ANTICHI DEL MONDO
Il primo strumento musicale conosciuto al mondo, è un importante contributo sloveno alla storia della musica. Il flauto costruito in osso d’orso, trovato nella grotta Divje Babe, è l’unico flauto al mondo creato e utilizzato dall’uomo di Neanderthal. Gli archeologi credono lo strumento risalga a circa 60.000 anni fa! Questo prezioso reperto di rilevanza mondiale è ospitato nel Museo Nazionale della Slovenia (Narodni muzej Slovenije). Sarà per questo che il paese ha uno degli istituti musicali professionali più antichi d’Europa, l’Accademia Philharmonicorum, dove tra gli altri componeva e dirigeva anche il famoso Gustav Mahler?
L’esplorazione della cultura palafitticola della palude di Lubiana (Ljubljansko barje) condusse gli archeologi alla scoperta della ruota di legno con asse più antica del mondo - risalente a oltre 5.000 anni fa. La plurimillenaria cultura delle palafitte è iscritta nella lista del patrimonio Unesco. Dal 2018 è possibile vedere la ruota, che sorprende per la sua elaborazione creativa, alla nuova mostra permanente nel Museo civico di Lubiana.
PATRIMONIO DELL’UNESCO IN SLOVENIA
La più antica città mineraria slovena, Idrija, è patrimonio UNESCO grazie alla seconda miniera di mercurio più antica del mondo, operativa per oltre 500 anni. “Anthony’s Main Road” è uno dei più antichi ingressi in miniera conservati al mondo, che porta ad oltre 700 chilometri di gallerie sotto il pittoresco centro storico, da cui sono state estratte oltre 147.000 tonnellate di mercurio. Ma altre gemme slovene vantano il titolo di patrimonio mondiale dell’UNESCO: le grotte di San Canziano, un regno di stalattiti e stalagmiti, è un monumento unico con il canyon sotterraneo più profondo d’Europa. E ancora la palude di Lubiana legata all’antica civiltà palafitticola, la “Passione di Škofja Loka”, rappresentazione storica che si tiene ogni 6 anni nel centro medievale della città e che coinvolge più di 900 membri della locale compagnia teatrale, e infine la foresta vergine di Krokar con il Monte Nevoso.
I LUOGHI ICONICI DELLA CULTURA SLOVENA
I luoghi iconici della cultura slovena sono noti per la loro ricca storia e tradizione. Lubiana, la capitale della Slovenia, è stata ricostruita dal famoso architetto Jože Pleènik come una città verde a misura d’uomo.
Bled offre una vista perfetta su di un incantevole lago alpino, al centro del quale sorge una piccola isola con la sua chiesetta gotica.
Pirano, un’incantevole cittadina mediterranea dall’architettura veneziana, è orgogliosa delle sue saline con 700 anni di tradizione.
Celje è la città dei conti, la più famosa dinastia nobile della storia slovena, che ha eretto il più grande castello medievale del paese.
Maribor, la seconda città slovena più grande, ospita Stara Trta, la vite più antica del mondo. La scuderia di Lipica è la più antica al mondo conosciuta per l’allevamento continuo di cavalli aristocratici lipizzani.
Ptuj, la città più vecchia del paese, ospita la cantina vinicola più antica, con un archivio datato 1917, ed è nota per la maschera carnevalesca del Kurent, dal 2017 patrimonio intangibile dell’UNESCO. (Lubiana e Ptuj nelle foto On the Road)
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Per gli appassionati di storia e cultura, questo è decisamente l’anno in cui progettare una vacanza in Repubblica Ceca. Non solo si celebrano con numerose iniziative nell’arco dell’anno i 100 anni dalla fondazione della Cecoslovacchia nel 1918, ma, sull’onda del fermento per il 50° del Sessantotto nel mondo, i riflettori tornano ad accendersi sulla Primavera di Praga.
Qui, in un clima di malcontento verso il regime, il moto popolare che appoggiava la democratizzazione si diffuse soprattutto tra intellettuali e studenti, che appoggiavano il tentativo di liberalizzazione politica dal dominio sovietico promossa dal riformista slovacco Dubcek. Il processo di riforma ottenne largo sostegno popolare, investendo importanti aspetti della vita politica ed economica del Paese: maggiore libertà di stampa, federalizzazione del Paese, riattivazione dei partiti non comunisti e delle organizzazioni di massa, riorganizzazione del sistema produttivo, apertura ai Paesi occidentali, decentralizzazione amministrativa e maggiore autonomia dall’URSS…
Unione Sovietica che, ovviamente, non gradì e, sentendosi minacciata, inviò soldati e carri armati a occupare il Paese. L’ardito tentativo di costruire “un socialismo dal volto umano” fu subito sedato e nel periodo successivo si moltiplicarono le proteste non violente e persino quelle suicide, come quella simbolo dello studente Jan Palach e degli altri che lo emularono.
La Primavera di Praga fu una “alzata di testa” che durò solo qualche mese, dal 5 gennaio (salita al potere di Dubcek) al 20 agosto (spedizione armata sovietica) del 1968, ma che ha lasciato il segno nella politica nazionale e internazionale. Oltre che nella musica, nella letteratura e nelle arti in genere. Insomma, una rivoluzione incompiuta ma non per questo combattuta invano.
Uno spunto in più per visitare Praga e calpestare quelle strade e quelle piazze allora invase di uomini e carrarmati e per rintracciare un po’ anche della nostra storia… Non solo, anche per ammirare le architetture dell’epoca immaginando i fatti cui hanno fornito lo sfondo, i movimenti che le hanno fatte vibrare.
Inoltre, per l’occasione, dal 19 aprile al 9 settembre nel “corridoio mitologico” di Palazzo Wallenstein (sede del Senato) sarà possibile visitare un’interessante mostra fotografica dedicata proprio al 50° della Primavera di Praga. Stessa sede, ma a partire dal 13 settembre e fino al 13 gennaio 2019, per la mostra “Il Patto di Monaco del 1938 nel contesto della storia europea del XX secolo“, che celebra invece gli 80 anni dal trattato che smembrò la Cecoslovacchia. (Praga, la lapide per Palach e Zajic in piazza Venceslao nelle foto On the Road)
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Ritorna l’evento di grande successo firmato Fjällräven che, da quest’anno, grazie ad una nuova procedura di selezione, estende a più persone la possibilità di prendere parte alla spedizione invernale nella natura più incontaminata del Circolo Polare Artico. ‘Fjällräven Polar’ è il viaggio di 300 km che esplora la natura più selvaggia del Circolo Polare Artico.
A vivere la prossima edizione di questa magica esperienza saranno 20 persone comuni, provenienti da tutto il mondo che, dal 9 al 15 aprile, con partenza da Signaldalen (Norvegia) e arrivo a Väkkäräjärvi (Svezia), attraverseranno la tundra subartica a bordo di slitte trainate da cani, supportati dai consigli di un team di esperti ed equipaggiati con i migliori capi di abbigliamento e attrezzature Fjällräven.
Durante il viaggio, ognuno dei partecipanti sarà chiamato a guidare la propria slitta, prendersi cura dei suoi cani, farsi da mangiare ed allestire il proprio accampamento. Il tutto per dimostrare che chiunque, dotato della giusta preparazione e del giusto equipaggiamento, può prendere parte ad un’avventura invernale in condizioni ambientali per molti versi estreme.
I partecipanti verranno selezionati secondo una procedura che da quest’anno raggruppa tutti i Paesi del mondo in 10 diverse Regioni e permette di individuare, per ciascuna di esse, 2 diversi concorrenti: il primo eletto dal pubblico votante, il secondo dalla Giuria del concorso. Per inviare la propria candidatura, gli aspiranti partecipanti devono registrarsi sul portale dedicato, caricando un video e una raccolta di immagini che siano in grado di raccontare chi sono e di convincere il pubblico a votarli. Una volta completata la procedura di registrazione, sarà possibile iniziare a raccogliere i voti del pubblico, diffondendo la propria candidatura su blog e social network.
Le iscrizioni sono aperte fino al 14 dicembre 2017. Al termine di questo primo periodo, si qualificheranno automaticamente le 10 persone che, all’interno di ciascuna Regione, avranno ricevuto il maggior numero di voti. Successivamente, la Giuria Fjällräven procederà a selezionare, per ogni Regione, una seconda persona sulla base della qualità dei materiali inviati e delle caratteristiche del profilo.
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(16set) L’uragano Ophelia è arrivato stamane sulla costa sudoccidentale dell’Irlanda, annunciato da venti fortissimi (tra i 120 e i 185 kmh). In particolare sembra dirigersi verso l’area di Cork e Kinsale, mentre, secondo le stime dei meteorologi, dovrebbe poi inclinarsi verso nord e, si spera, perdere forza.
Ophelia ha comunque già causato l’interruzione della corrente elettrica per 120.000 utenti, mentre la Guardia Costiera è intervenuta in numerose azioni di soccorsi su battelli e anche a favore di singoli sportivi impegnati (forse un pò fuori luogo) nel surfing
Nel frattempo le autorità irlandesi hanno diramato l’invito a restare in casa in tutto il paese. Lo stesso centro di Dublino, distante quasi 300 chilometri da Cork è pressoché deserto. (foto Irish Indipendent)
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(di Sara Rossi)
Un viaggio in una terra ancora in gran parte selvaggia a un passo dall'Italia, per l'esattezza 70 chilometri di mare, sto parlando dell'Albania. Una storia unica nel panorama del vecchio continente, spiagge meravigliose, ma soprattutto delle montagne dove il turismo si è appena affacciato. In un territorio grande poco più della Lombardia si concentra la vita di una nazione che ha mantenuto tradizioni uniche, a partire dalla lingua. L'albanese deriva dall'illirico, un idioma parlato dall'antica popolazione originaria dei Balcani occidentali, una lingua incomprensibile, sia nella sua declinazione ghegh ancora utilizzato nel nord del paese, sia nel dialetto tosk usato nel Sud, ma rimarrete stupiti nel sentire discorrere in fluente italiano anche nei borghi più sperduti, raggiungibili solo a piedi, dell'estremo settentrione.
Gli italiani sono amati, “i greci no” è facile sentirsi dire. La terra delle aquile, così denominata perché solo sino a pochi anni fa era possibile avvistare numerosi esemplari del nobile rapace roteare maestosi sulle cime più alte delle “Alpi albanesi”, è stata per secoli un territorio di occupazione, dei turchi in primis. Proprio all'arrivo degli ottomani è legata la figura mitologica, o comunque certamente mitizzata, di Gjergj Kastrioti Skenderbeu, conosciuto come Skanderbeg, nobile condottiero originario di Kruja una bellissima cittadina a 40 chilometri da Tirana, che per 25 anni, dal 1444 al 1468 guidò i principi albanesi, riuniti nella lega di Lezha, contro l'avanzata turca nella regione. Le audaci imprese di quello che oggi è l'eroe nazionale per eccellenza, tanto da vedere a lui dedicata la principale piazza di Tirana, dove campeggia con una sua statua equestre in bronzo di 11 metri, sono conosciute in tutto il mondo. A Giorgio Castriota è dedicato anche il celebre museo di Kruja. Probabilmente gli albanesi si sono legati così fortemente all'eroe quattrocentesco per allontanare dalla memoria il ben più recente periodo comunista.
Per parlare di primo spirito di unità nazionale albanese bisognerà aspettare il 1912, per l'indipendenza occorrerà attendere l'anno successivo, e il 1923 per l'elezione del primo primo presidente, solo nel 1928 si assisterà alla auto proclamazione del primo re di Albania nella persona di Leke Zog, conosciuto poi come Zog I. Ma la libertà non decollerà, e ancora una volta il piccolo stato si troverà di fronte ad un'occupazione: infatti l'Italia fascista, con la scusa degli aiuti economici, finirà con l'attuare un'effettiva invasione militare. Nel 1939, trentamila soldati del duce sbarcarono nei porti albanesi, inducendo il re alla fuga. Fu Galeazzo Ciano, figura oggi inspiegabilmente molto ammirata, nel pieno furore della misera campagna coloniale fascista, ad invitare gli italiani a partire per le coste albanesi per attuare importanti opere pubbliche, tra cui l'aeroporto di Tirana ad esempio, ad oggi unico scalo del paese. Sempre durante il ventennio, vennero stimolate le ricerche archeologiche, in particolare nei centri di Apollonia, Butrinto, oggi visite obbligate per chi si sposta verso sud. L'occupazione italiana durerà sino al 1944, quando prenderà il potere il partito comunista, fautore dello lotta di liberazione.
Nel 1946 fu proclamata la Repubblica Popolare di Albania con a capo un giovanissimo Enver Hoxha, che deterrà il potere per ben 40 anni ininterrottamente, si tratterà di uno dei regimi più assoluti e longevi nella storia del XX secolo. Hoxha dapprima si ‘affilierà’ alla Jugoslavia di Tito, in un secondo tempo all'Unione Sovietica, successivamente alla Cina, per perorare poi una politica di auto isolamento, possibile solo con l'istillazione nel suo popolo della ‘sindrome di isolamento’. Simbolo di questo terrore per una possibile invasione sono i duecento mila bunker costruiti su tutto il territorio nazionale, la maggior parte dei quali ancora visibili. L'obiettivo ufficiale era quello di costruire rifugi, necessari in caso di un'invasione esterna, il reale scopo era quello di terrorizzare la popolazione e mantenere il potere. Vicino al mare, in montagna, tutta la nazione è punteggiata da queste costruzioni, grandi e piccole.
Alla periferia di Tirana uno dei pochi giganteschi bunker antiatomici è diventato un museo, il Bunk'art 1, si tratta di un edificio blindatissimo di 106 stanze, tra cui quella di Hoxha dove è possibile vedere il suo ufficio personale, le attrezzature, le armi fornite dalla Cina, ma anche foto storiche della storia moderna del paese. La fine dell'era comunista è arrivata con lo smembramento dell'Unione Sovietica nel 1991, quando l'Albania ha avviato un nuovo corso, in massa gli albanesi hanno lasciato il paese, giungendo in Italia e nei paesi limitrofi, vivide sono le immagini di navi stracolme di profughi approdate nei porti del Bari e Brindisi. Lentamente il paese sta trovando i suoi equilibri e visitarlo lascia una sensazione di estrema vicinanza e lontananza. La prossimità è fisica e sentimentale, la distanza dipende invece dai nostri differenti trascorsi, ed è evidente come l'Albania arranchi in cerca di uno sviluppo equilibrato. A maggioranza musulmana, per il 67%, presenta un'estrema tolleranza religiosa, nel nord selvaggio del paese, dove le strade sono ancora impervie, la popolazione è rimasta cattolica, lì non sono arrivati neanche i turchi.
Tirana è una capitale segnata dall'edilizia comunista, le costruzioni di quegli anni sono basse, di mattoni, a differenza dei casermoni di altre periferie, perchè i laterizi erano tenuti insieme con la sabbia e non avrebbero retto oltre i quattro piani. Passeggiare nella grandissima piazza Skanderbeg, rappresenta però un vero e proprio viaggio nella storia dell'intero paese, qui si affacciano infatti la Moschea di Et'hem Bey, uno dei principali e meglio conservati edifici islamici del paese, il Museo Storico Nazionale che, con il suo grande mosaico, è un eccellente esempio di arte realista socialista, ma anche il Palazzo della Cultura e l'Hotel Tirana, lo zampino fascista è rilevabile invece nel palazzo del Municipio e nella Banca Nazionale. E sapete, sempre all'insegna della vicinanza, chi è stato chiamato a disegnare il nuovo piano regolatore della capitale 2030? Il milanese Stefano Boeri. Vedremo come lo realizzerà, per il momento visitare questo spazio immenso al tramonto, con l'effetto bagnato creato dalle feritoie situate in punti strategici del selciato, crea un senso di incantevole vertigine.
Le strade in Albania non permettono spostamenti rapidi, quindi una volta arrivati a Tirana bisogna scegliere: il mare al sud o i monti al nord.
Io ho scelto il nord. In direzione di Scutari si trova la città di Kruja, tra le destinazioni più amate dai turisti e dagli albanesi emigrati, è situata su una collina dal panorama meraviglioso, su di un promontorio non distante dal centro si trova il tempio più antico di cultura bektashi del paese, la cui sede internazionale è a Tirana. I bektashi sono una confraternita islamica sufita di origine ottomana, bandita però dall'Impero turco. In diverse zone dell'Albania è possibile trovare templi di questo culto diffuso soprattutto nei Balcani e in Anatolia. Prima di arrivare a Scutari - sede tra l'altro del Museo della Fotografia di Pietro Marubi, capostipite della famiglia di fotografi italo albanesi che operarono in città dalla metà dell'Ottocento, contribuendo in modo determinante allo sviluppo dell'arte fotografica - si trova una deliziosa zona lagunare, dove, nei numerosissimi ristoranti di pesce si radunano le famiglie albanesi per il pranzo della domenica.
Se la viabilità nel centro sud del paese è ridotta, nelle zone del nord è a dir poco ostica. Per raggiungere i parchi naturali situati al confine con il Kosovo, occorrono diverse ore d'auto, ma ne vale davvero la pena. Il metodo più suggestivo per raggiungere la località di Valbona resta il traghetto con il quale dalla diga di Koman, costruita in epoca comunista, si naviga sul fiordo del Lago omonimo. Il trasbordo dura circa tre ore, ma trascorrono velocemente perchè il paesaggio lacustre dalle pareti a picco sul bacino, la vegetazione lussureggiante, non consentono la noia, per di più l'imbarcazione, che si muove pigra sull'acqua, è animata da una variegata umanità autoctona e da chiassosa musica balcanica. Da Valbona in poi il mezzo migliore da utilizzare sono le proprie gambe, un vero paradiso per gli amanti del trekking. Un'escursione per chi ha gambe buone è quella che porta da Valbona a Theth, proprio nel cuore del parco naturale di Thethi.
Si tratta di centri di poche case, dove è possibile pernottare in guesthouse dalla sistemazione spartana. Qui il tempo sembra essersi magicamente fermato, si mangia quello che una terra aspra e una natura incontaminata riescono ad offrire: frutta, verdura, insalata, yogurt e formaggio fatto in casa, carne di capra e pecora. E' possibile vedere donne che portano al pascolo capre mentre filano la lana. In queste zone vigono ancora le leggi consuetudinarie dei kanun e la besa, fondata sulla parola data che pare abbiano regolato e redimano tuttora le faide, le vendette e i ritmi delle genti di queste montagne. Tracce di questo approccio medievale al conflitto sono alcune case-torre dove venivano, e forse vengono, rinchiusi e spesso inchiodati coloro che si erano macchiati di un reato di sangue.
Svegliarsi all'alba e ammirare il sole che sorge sulle vette, raggiungere a piedi lo splendido canyon e le cascate di Grunasi, o l'Occhio blu della sorgente carsica di Nderlysaj percorrendo alcuni degli impervi sentieri da poco tracciati da alcune ong locali ed internazionali è un'esperienza davvero unica. Nonostante i tentativi di rendere turisticamente più appetibili queste destinazioni, siamo lontanissimi dalla concezione occidentale di accoglienza, ma è proprio questo approccio alla vita semplice, naturale a rendere questi luoghi estremamente affascinanti.
(testo e foto di Sara Rossi)
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