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Chi vuole a ogni costo immortalare la lavanda in fiore deve saper che la potrà trovare solo d’estate, così come chi vuole fiutare l’odore selvatico della Camargue è meglio che ci vada d’inverno e chi vuole visitare la grotta di Maria Maddalena è bene sappia che dovrà farsi un’oretta a piedi.
Chi invece vuole andare in Provenza senza un motivo non avrà problemi perchè le ragioni le troverà strada facendo e saranno tante da faticare a ordinarle nell’archivio mentale, tante da rendere difficile trovare una definizione unica per questa terra fatta di mille storie, luoghi, colori.
Nel tempo sono approdati un pò tutti su questa terra e tutti hanno lasciato qualcosa: sono arrivati i Greci dall’oriente e hanno fondato Marsiglia, i Romani dal sud e le hanno dato strade, cultura e anche il nome di Provincia, gli Inglesi dal nord e hanno inventato Cannes. Sono arrivati i pittori dal profondo dell’inquietudine e hanno trasformato i colori, sono arrivati i Papi per rifare Roma, gli Ebrei a cercare pace e i turisti a caccia di scalpi. E’ sbarcato il Piccolo Caporale che voleva indietro il suo regno, Nostradamus che guardava nel futuro, De Sade che cercava le sue vittime e Van Gogh che cercava se stesso.
Era appena passata la metà del primo secolo quando arrivarono i primi cristiani. Questo è un dato certo, il resto può essere realtà, fantasia, o qualcosa che sta a metà, perchè sono molte le leggende, ma sono molte anche le tracce concrete e moltissime sono le piste che ancor oggi vengono seguite alla ricerca di nomi, fatti, personaggi. E che ci portano dritti nel cuore verde di questa terra.
Si dice quindi che in piena Provenza approdasse, verso il 70 dopo Cristo, un gruppo di esuli provenienti dalla Palestina, dove li avevano braccati per la loro fede religiosa e caricati su una barca senza vele nè remi, con la certezza di saperli morti. La deriva li portò invece sulla spiaggia di Saintes Maries de la Mer: scesero Maria Maddalena, la sorella Marta, il fratello risuscitato Lazzaro, un discpelo di nome Massimino, Maria di Giacomo e Maria Salomè. Queste ultime due, troppo stanche per proseguire oltre, vennero ospitate da Sara, che fu la prima a convertirsi: l’evento finì per dare il nome al luogo.e ogni anno i Gitani di tutta Europa convergono per festeggiare la loro protettrice, Sara appunto, dando vita a uno spettacolo di irruenza e di colori che dura due giorni, come una marea che si distende e poi rifluisce lasciando la sabbia che è uguale a prima ma non è più la stessa.
La predicazione cominciò a spargersi per la Provenza romana, accompagnata da eventi straordinari e anche i protagonisti scelsero strade diverse: Maria Maddalena abitò appena all’interno della fascia costiera e risiedette negli ultimi anni nelle grotte di Sainte Baume, venendo poi seppellita a Saint Maximin, dove è possibile vedere la cripta che contiene il sepolcro attribuito alla santa, che gode in Provenza, di cui è la santa protettrice, di una particolare devozione. Sulla stessa costa dovette giungere anche Giuseppe d’Arimatea che pare salisse a nord seguendo il Rodano e pare morisse a Lione.
Fin qui le notizie abbastanza certe che, oltre alle tracce scritte e monumentali riposa su una tradizione ininterrotta che risale indietro nel tempo e rappresenta di per sè un indizio importante. E se per la metodologia moderna le prove storiche su questi lontani avvenimenti non sono poi molte, è però vero che le tracce della tradizione, i volti che guardano dalle pietre, i comandamenti orali che spingono da secoli verso gli stessi percorsi, lasciano pochi dubbi a coloro cui non dispiace credere: del resto, sulla P2 di Licio Gelli, si è scritto di più e se ne sa di meno.
Ma Giuseppe d’Arimatea era il discepolo che aveva messo a disposizione il Sepolcro e non era arrivato in Provenza, dicono, a mani vuote: recava infatti con sè la più sacra delle reliquie, il Graal. Questa almeno era la convinzione generale e la ricerca della Coppa divenne il tema fondante delle Chansons de Gestes, la meta di ogni cavaliere, il premio per l’eroe perfetto, ma anche la misteriosa forza che apriva le porte dell’immortalità, la chiave delle fomule alchemiche e quant’altro. Possibile? Chissà; certo è che i cercatori non sono diminuiti col passare del tempo, ma hanno anzi allargato le loro opzioni di ricerca, coinvolgendo antiche religioni orientali, catari, templari, nazisti, in un caleidoscopio di supposizioni e di scenari, da dove se ne esce solo con la suggestione che qualcosa sotto deve esserci.
Carlo Vezzoni
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La Svizzera non è famosa solo per la cioccolata e gli orologi. Tutti probabilmente conosciamo anche l’eleganza, la raffinatezza e la qualità dei pizzi, dei ricami e dei merletti di San Gallo, per secoli veri articoli di successo esportati in tutta Europa. Anche oggi sono molto apprezzati e non mancano in nessuna sfilata importante di New York, Milano o Parigi. Ma cosa sarebbe una città dal passato tessile come San Gallo senza il Museo Tessile? Così ciò che ha reso San Gallo famosa nel mondo si trova oggi in questo museo, dove vengono organizzate interessanti esposizioni di produttori storici di pizzi e merletti, ma anche presentazioni dell’arte tessile contemporanea.
Forse, invece, non tutti sanno che la città elvetica di San Gallo è anche la “Città dei libri”. Nella Biblioteca Abaziale, una delle più belle sale rococò della Svizzera, è infatti possibile ammirare 170.000 volumi nonché esemplari unici di più di 2100 manoscritti originali risalenti al Medioevo, che vengono a turno mostrati al pubblico. Più di 400 codici risalgono al periodo precedente all’anno 1000. Questa raccolta di libri unica al mondo è inserita nel complesso abaziale che con la sontuosa cattedrale tardo barocca dalla maestosa facciata a due torri e dall’interno particolarmente ricco, costituisce un insieme storico prezioso dichiarato nel 1983 patrimonio culturale mondiale dall’Unesco.
E’ proprio qui che, attorno al 612, il monaco pellegrino irlandese Gallo, mentre cercava un luogo appropriato per la sua cella d’eremita, incespicò e cadde. Questo e l’incontro con un orso in carne e ossa furono per lui un segno di Dio: decise di rimanere. Là, dove un tempo il Santo costruì il suo eremo, cent’anni dopo sorse il monastero che nel Medioevo diventò lo “Scrittoio d’Europa” e uno dei centri culturali più importanti dell’Occidente. E attorno crebbe la città di San Gallo.
L’intricato centro storico, i cui splendidi bovindi che adornano le case a traliccio dovevano essere intesi come segno di prosperità borghese, invita a una piacevole passeggiata culturale e allo shopping.
Da qualche tempo alcune zone del quartiere di Bleicheli si presentano come un “salotto all’aperto”, dove piazze e viuzze della città vecchia sono completamente ricoperte da un tappeto rosso. L’idea è della famosa artista svizzera Pipilotti Rist. Sopra la lounge pendono lampade oscillanti simili a bolle di sapone che conferiscono al quartiere un’atmosfera impareggiabile. Anche gli edifici del geniale architetto spagnolo Santiago Calatrava, come la sua “conchiglia” in vetro e acciaio, pongono accenti ultramoderni nello storico panorama cittadino.
Patrimonio Mondiale dell’Umanità iscritto alla lista dell’Unesco dal 1983 è anche tutto il centro medievale di Berna, perfettamente compatto e preservato. E non a caso, perché vanta innumerevoli tesori architettonici che continuano ad affascinare anche i bernesi stessi. I suoi vicoli disposti regolarmente sono rimasti invariati sino ad oggi.
L’immagine storica della città è caratterizzata dalle facciate in pietra arenaria ben conservate, dal panorama di tetti unico e dalle arcate che i bernesi chiamano “Laubern” (i 6 km di portici fanno della città vecchia una delle più lunghe passeggiate coperte in Europa). Undici meravigliose fontane del XVI secolo ornate da sculture e la cattedrale gotica con lo splendido Giudizio universale composto da ben 234 figure completano il quadro di grande effetto. Tutti questi tesori sono incorniciati dall’ansa del fiume Aar che sembra ergersi a scudo protettivo della Città vecchia.
A Berna meritano di essere visti e scoperti anche i magazzini-deposito di merci sotterranei appartenuti ai ricchi mercanti, ora diventati negozi, gallerie d’arte o tipici ristoranti-cantine.
Conoscere la capitale svizzera significa anche una visita al Parco degli Orsi, dove l’animale araldico bernese è stato rilasciato in una nuova libertà sulle pendici del fiume Aar. Nel parco è stato creato un paesaggio che permette agli orsi di arrampicarsi, pescare e giocare, ma anche di ritirarsi dagli sguardi del pubblico.
A Berna il passato si fonde magicamente con il futuro nel Centro Paul Klee, un colossale edificio costruito da Renzo Piano, che dal 2005 contiene la più importante collezione al mondo d’opere di Paul Klee.
Da non perdere anche l’Einstein City nel Bern Historisches Museum, 1200 mq d’opere originali e documenti scritti e filmati che fanno vedere il cammino della vita di Albert Einstein e illustrano contemporaneamente la storia del 20° secolo. Film animati, esperimenti e un viaggio virtuale nel cosmo spiegano la teoria rivoluzionaria di Einstein.
Così, Berna è una città stupenda da visitare in tutte le stagioni, ma che in occasione del Natale riesce a stupire ancora di più per le luci, i colori e le atmosfere davvero uniche dei luoghi e dell’ambiente.
Silva Valier
INDIRIZZI UTILI
Per informazioni e prenotazioni:
Svizzera Turismo, www.svizzera.it
n. verde gratuito 0080010020030
RISTORANTI e HOTEL A SAN GALLO
Restaurant zum Goldenen Schäfli
Metzgergasse 5, 9000 St. Gallen
Tel.+41(0)71 223 37 37
www.zumgoldenenschaefli.ch
San Gallo è noto per i suoi ristoranti nella città vecchia situati al primo piano. Questo ristorante storico, dal soffitto gotico e il pavimento in pendenza, emana un grandissimo charme.
Restaurant Scheitlinsbüchel
Scheitlinsbüchelweg 10, 9011 St.Gallen
Tel. +41(0)71-244 68 21
In periferia, bella vista su San Gallo.
Hotel Einstein****
Berneggstrasse 2, 9000 St.Gallen
Tel. +41 (0) 071 227 55 55
Di proprietà della casa di moda Akris, questo elegante albergo è considerato il “piccolo Grand Hotel” di San Gallo. E’ dotato di area fitness e spa. Ospita congressi.
RISTORANTI E HOTEL A BERNA
Kornhauskeller
Kornhausplatz 18, 3011 Bern
Tel. +41 (0)31 327 72 72
Questo straordinario ristorante storico offre una cucina tradizionale con specialità bernesi, oltre a una cucina mediterranea; l’enoteca custodisce i vini migliori.
Altes Tramdepot
Grosser Muristalden 6, 3006 Bern
Tel. +41 (0)31 368 14 15
Si spazia dalla cucina bernese a quella viennese, di Monaco di Baviera fino a quella asiatica. Qui si beve birra della casa, prodotta artigianalmente con caldaie in rame al centro del ristorante. Vicinanza al Parco degli Orsi, fantastica vista sulla città vecchia e sull’Aar, ben servito dai mezzi di trasporto.
Hotel Goldener Schlüssel***
Rathausgasse 72, 3011 Bern
www.goldener-schluessel.ch
Situato nella zona pedonale, ha camere molto tranquille.
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Imbragati in scomodissimi giubotti arancio inizia il nostro rafting su zattera lungo il fiume Bystrita che in slavo significa “acqua limpida”. Un significato che non sorprende considerato il verde cristallino delle acque che scorrono copiose e irruente sul fondo di un’ampia valle contornata da una natura straordinariamente bella e selvaggia. E’ grande l’emozione che si prova a cavalcare le onde delle rapide su un mezzo così rudimentale e apparentemente instabile come una zattera di legno. Un’esperienza che immediatamente ci trasporta in una dimensione di sogno e di avventura. Il fiume Bistrita nasce dai monti Colimani, nel cuore dei Carpazi in una regione chiamata Bucovina situata nel nord della Romania. Lungo il suo percorso lambisce innumerevoli centri urbani e villaggi in cui è possibile approdare e compiere brevi soste ed escursioni. Le case che si affacciano lungo le sponde del fiume hanno colori accesi, finestre decorate e ingressi addobbati con tappeti tipici. Negli spazi antistanti le abitazioni, sormontati da una struttura a forma di tempietto, sono spesso presenti dei pozzi a disposizione di chiunque voglia bere e trattenersi. Oltre il fronte delle abitazioni le campagne appaiono dolci e i paesaggi collinosi attraversati da strade generalmente strette e impervie. Al viaggiatore che si addentra nell’entroterra è possibile per lunghi tratti incontrare piccoli carri carichi di fieno e trainati da cavalli che fanno la spola tra le campagne coltivate e i centri abitati. Quando poi si giunge nei villaggi più interni e antichi, in Bucovina, il tempo sembra essersi fermato. Gli abitanti vestono costumi tradizionali, sono generalmente sorridenti e quando si ha modo di stabilire un contatto rivelano un temperamento sorprendentemente cordiale e generoso. Ma la più grande attrattiva di questa vasta regione sono i monasteri, costruiti nei secoli XV e XVI e fioriti sotto il regno di Stefano il Grande. Nel nostro viaggio abbiamo visitato quelli di Voronet, Moldovita e Sucevita, e abbiamo avuto modo di ammirare gli splendidi affreschi che li decorano. Attualmente questi monasteri sono sotto la protezione dell’Unesco che li ha dichiarati Patrimonio dell’Umanità. La chiesa ortodossa di Voronet, detta Cappella Sistina d’Oriente, è considerata il gioiello della Bucovina ed è unanimemente condiderata una delle chiese più belle d’Europa. Gli affreschi che in ampie campiture la decorano esternamente attestano la transizione dall’arte classica bizantina agli stili propri della tradizione moldava. Questi affreschi sono di grandissimo interesse anche per la tecnica realizzativa. Sono eseguiti con uno speciale intonaco ricavato attraverso l’impasto di fibre vegetali che per secoli ha resistito al logorio del tempo consentendo oggi ai visitatori di ammirarli ancora perfettamente intatti. Torniamo al Bystrita che prosegue e si snoda in questa regione per circa 80 Km, bagna l’omonima città e sfocia nel fiume Sieu presso Seratel. In una giornata soleggiata che accendeva i colori della natura, sulla nostra zattera abbiamo percorso sul fiume altri 3 Km, mentre il nostro barcaiolo con sapiente maestria affondava nell’acqua la lunga pertica che guidava la zattera. Schizzi e sobbalzi dovuti all’accentuarsi delle correnti accompagnano l’ultimo eccitante tratto del nostro percorso. Il rafting, come sport del tempo libero, è diventato molto popolare dopo la metà degli anni 70 e in genere viene praticato sui gommoni, ma l’uso della zattera è senz’altro più suggestivo e avventuroso. Posso dire che l’incontro con la natura, la cultura e gli abitanti di questo straordinario territorio ci ha lasciato colmi di emozione e felicità, ma alla fine anche l’apparente pericolosità della nostra imbarcazione ha concorso a rendere questa esperienza unica e indimenticabile.
Testi e foto di Cecilia Nonnis Teresa Casardi
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Negli ultimi anni è tornata di moda l’idea che una piccola autosufficienza legata a un microcosmo agricolo, ci salverà. Ci salverà quando ci sarà la crisi economica, quella degli approvvigionamenti e la crisi di un mondo troppo stressato. Insomma la crisi di tutto. Avere un orto che ti darà patate, una mucca per il latte e la semplicità dei costumi, sarà il “bussines” vincente.
Macchè oro, titoli, cartamoneta. Quelli non te li potrai mangiare, non ti faranno respirare, non ti faranno vivere. In Maramures, Romania, si attua da decenni questa semplice filosofia agricola.
E mi svegliai una mattina, come sempre. Ma era il 2012 e mi accorsi che attorno a me non c’era più nulla. Non pubblicità, banche, bollette, traffico : neppure il letto era rimasto. Non esisteva più tutto quello che era “indispensabile” per vivere. Mi ricordai allora di un mondo antico di cui avevo sentito parlare: Maramures, Romania. Non presi nulla da casa, perché casa non c’era più. Così, mi preparai ad attraversare i confini. Slovenia, Croazia, Ungheria e Romania. Ma neppure i confini esistevano più e camminavo sola attraversando deserti ambientali ed economici. Non fu facile arrivare, ma facilissimo fu capire che c’ero. Lì il 2012 era solo un insieme di numeri sul calendario.
Antica regione agricola nascosta tra i Carpazi, riesce a mantenere intatte e peculiari le caratteristiche di una cultura e di un’economia prevalentemente agricole. Anche Ceausescu non impone qui il suo folle progetto di urbanizzazione forzata che negli anni ’80, ha decretato l’abbandono dei campi ed il trasferimento coatto nelle città. Il potere, come il resto del mondo, forse si è un po’ dimenticato di questo luogo che ora può diventare un ottimo osservatorio per il futuro.
La natura qui era bella, ancora intatta. Piccoli paesi di legno con grandi campanili puntuti. Come le antiche chiese. Modeste, piccole, tanto piccole per cercare di schivare quell’inverno che qui è ancora così freddo da far assaporare il piacere dello stare vicini. Il caldo della comunità, seduti su pancacci ammorbiditi da caldi e colorati tappeti, tessuti dalle donne. E l’occhio, reso cieco dall’abbagliante passaggio dalla luce al buio come un’anima nel suo ultimo attimo di vita, scopriva la bellezza dell’aldilà. Semplici affreschi a lettura delle povere genti apparivano miracolosamente alle scure pareti di queste fragili cattedrali.E viaggiavo ora nello spirito, tra santi e peccatori ,inferni e paradisi, madonne e diavoli: tutto era così mischiato, tutto era il caos dell’Apocalisse. Tutto qui era già stato scritto : un 2012 perenne.
La sparuta popolazione, prevalentemente di culto ortodosso e che ha poco cercato la fortuna oltre frontiera,si è dedicata al mantenimento del piccolo territorio con le sue tradizioni agricole e folkloristiche secolari e con le sue chiese in odore di protezione UNESCO ( Monastero Peri, quello di Barsana, Surdesti , Plopis ed il non descrivibile, data la rara bellezza degli affreschi, di Poienile Izei).
Qui i contadini non si sono mai consorziati ed ognuno, ancora , coltiva i propri campi (e a volte sono solo “fazzoletti” di terra!), impegnandosi duramente e ricorrendo anche all’ antica formula del baratto. Il legno serve a costruire case e alti cancelli finemente istoriati, posti non ad intimorire l’ospite ma per allontanare il male. Le numerose greggi, disperse tra le morbide alture, danno calda e colorata lana che serve a ripararsi dal freddo e ravviva tutto cio’ che è abitato. E quasi tutto quello che viene messo sulla tavola è a 'chilometro zero'.
E percorro le altilenanti strade, perse tra mille colline , dove grano, vite, alberi da frutto, ancora invadono la terra e gli uomini, le donne, i bambini li accudiscono con metodi antichi. Incrocio carri trainati da pazienti cavalli infiocchettati (nero il fiocco a lutto, rosso a cacciare la malasorte) ed intere generazioni perse controluce tra i campi che alla fine della giornata, stanchi del lavoro ma non della curiosità della vita, attendono da anni il passaggio di chi verrà da lontano. Tutti seduti ai margini delle strade. A guardare, a vedermi passare. Salutarmi con un sorriso ed offrirmi, chi ne ha, patate, cipolle, frutta e le belle zucche, che qui chiamano “ beltan”.
E niente, nel paese dei meloni e delle angurie, è disposto a caso. Come nei suk più preziosi, come gioielli o lussuose tele d’oriente, i gialli si alternano ai rossi, ricchi ocra a bianchi e grigi, plastica e cartone arredano con grazia la merce di cui non potremo fare a meno.
Nella vetrina della vita non espongono gemme o nobili metalli, ma i dolci meloni, le grasse angurie, le sante patate e le puzzolenti cipolle.
L’economia si è basata, ai tempi della cortina di ferro, anche sull’estrazione mineraria. Con la caduta del regime comunista e la fine di Ceausescu, che hanno lasciato il paese in una sorta di limbo industriale, le miniere e, a Bicaz,la fabbrica dell’ amianto, si sono fermati. La possente metallurgia sovietica, eroicamente rappresentata nei manifesti di partito, ha finito di soffiare vapori di micidiale anidride solforosa nell’aria. Pochi ricordano il disastro ambientale del 2000, quando per il cedimento di una diga (costruita per l’estrazione dell’oro), si sversarono nei fiumi del Maramures tonnellate di cianuro. E ora restano i monumenti industriali, a simbolo dell’inquinamento e dello sfruttamento di un territorio 'periferico', considerato spesso serbatoio di manovalanza a bassi costi e di eventuali risorse naturali da depredare.
Ma, adesso, questa piccola regione adagiata tra i Carpazi, sta cercando nuove prospettive economiche basando la propria rinascita specie su agricoltura e turismo. L’entrata nella “Grande Madre” Europa non ha molto modificato gli stili di vita e i giovani, non troppo sedotti dai suoi richiami, preferiscono ancora restare nella loro terra. Salari bassi, disoccupazione crescente ed ormai globalizzata, non convincono alla fuga.
Vagavo attraverso questo piccolo paradiso terrestre e non sapevo che avrei trovato presto anch’io l’albero del male, che mi avrebbe portato all’inferno. Ero arrivata a Bicaz ed alla sua vecchia e monumentale fabbrica dell’amianto, che aveva sparso i suoi aghi invisibili ed assassini lungo le valli, sui campi coltivati e sui loro uomini, su, fino alle profonde gole. E da lì, come un’eco profonda, su altre pianure, terre ed uomini. Allora anche lì era arrivato il 2012, ma io lo incontravo solo ora. Il mostro era davanti a me, ancora sporco dei suoi escrementi, ma era morto. Ma il pericolo non era finito con lui: restava nell’uomo come la macchia del peccato originale. E non c’era un Dio che potesse togliere questo male. E così capivo che la storia, quella dolorosa, quella da 2012 era arrivata qui molto tempo fa. E che puoi scappare da un anno ma non dalla distruzione profonda con cui l’uomo ha devastato tante zone del mondo. Forse terre povere ma belle ed utili all’economia del pianeta. Terre lontane ma non isolate. Il 2012 ti insegue.
Tra le attrazioni Storico- turistiche, restano uniche il Cimitero allegro di Sapanta, esempio di arte funeraria povera nei materiali ma non nel significato, ed il Memoriale delle Vittime del Comunismo e della Resistenza, sito nell’antica prigione politica di Sighetu.
Il piccolo e vivissimo cimitero oltre a tenere i morti in vita, grazie ad un flusso turistico 'senza fine', è l’esempio di un museo etnografico 'su lapide'. Si ripercorrono le piccole vite dei morti e ci si immerge anche nella 'grande' storia di questa nazione. La tradizione mineraria, quella agricola con rappresentati arti e mestieri tipici, qualche pettegolezzo su anime un pò 'leggere' e retorica per quelle legate al regime. E qui, i visitatori si confondono con i morti, nel cimitero più vivo del mondo.
Invece, dove la morte è entrata ed è stata padrona, è nel Memoriale di Sighetu. Carico di echi di una repressione ormai passata, invita ad una riflessione sulle dittature e sulla repressione, aldilà di qualunque credo politico.
Il sonno ed i sogni erano ormai finiti. Mi svegliavo , di nuovo, nel caos di questo 2011,così già drammaticamente 2012, così “ ANNO DA FINE MONDO”. Il mio spirito però aveva viaggiato libero da preoccupazioni ed ansie. Avevo sognato che il 2012 in Maramures era già arrivato ed era stato sconfitto. Nel piccolo cimitero colorato e nell’ ex prigione di Sighetu c’erano le prove che la morte fisica e morale si possono sconfiggere. La testimonianza, la memoria, anche di comuni ma dignitose esistenze, restano il solo modo per sconfiggere l’oblio di tanta vita e ridarci un pò di 'semplice eternità'.
Testo e foto di Mario Negri
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La chiesa di Voronet nella Moldavia, detta “il gioiello della Bucovina” o “la cappella Sistina d’Oriente”, fu fatta costruire insieme ad un monastero - oggi scomparso - dal principe Stefano il Grande (1435-1504), dopo la vittoria sui Turchi nel 1475: essa è tutta dipinta all’interno e all’esterno.
Il famoso condottiero fece costruire a decine simili monasteri ex voto, e quasi tutti sono giunti fino a noi. La costruzione, piuttosto piccola (m 25x11), eretta in brevissimo tempo nel 1488, si è conservata intatta sia nella sua architettura, sia nella sua decorazione interna. Quella esterna, che copre interamente i muri, venne eseguita più tardi, intorno al 1546; si tramanda anche il nome dell’artista principale, lo ieromonaco Gaurila. Maria Santissima è rappresentata varie volte e in punti significativi, tuttavia le pitture rappresentano un ciclo catechetico completo, sia dal punto di vista biblico che devozionale e anche storico, perché raffigurano i santi principali e gli episodi più importanti dell’epica lotta contro i turchi. L’ingresso fu progettato sulla facciata sud, dove è dipinto un magnifico Giudizio universale, probabilmente la singola composizione più bella di tutti questi monasteri: tori con coda di pesce, unicorni e altri simboli zodiacali formano un fregio sotto la gronda, in basso, dominato dal Cristo che siede imponente, a simboleggiare i “cancelli dell’aere”, dove le anime vengono giudicate e dove sono recitate le preghiere per la loro salvezza.
Fra le tante rappresentazioni della Vergine, nell’interno campeggia, sopra la porta del pronao, una meravigliosa Madonna della Misericordia con il Bambino sulle braccia e ai lati, sul fondo azzurro e tra stelle, due angeli oranti. Gli affreschi, oltre la Vergine, raffigurano tutta una serie di immagini, desunte dalla Bibbia, dalla pietà popolare e dalla storia, con particolare rilievo di quella che riguarda l’eroica lotta contro i Turchi. Il santuario è oggetto ancora oggi di una continua affluenza di pellegrini, attirati lì sia dall’aspetto turistico sia da quello devozionale, anche perché esso si presta ad una soddisfacente catechesi visiva.
Luisa e Saro Fichera
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