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Il 26 febbraio 1740 nasceva a Saluzzo Giambattista Bodoni, incisore, stampatore e tipografo, padre del celeberrimo carattere che da lui prende il nome. Sinuoso, pulito, con grazie,ma moderno, il carattere Bodoni incarna a pieno un lusso elegante.
Proprio in occasione del suo compleanno, il 26 febbraio 2021, a duecento ottantuno anni dalla nascita, il direttore del Museo della Pilotta, Simone Verde, presenta il progetto del Nuovo Museo Bodoniano, che andrà ad aggiungersi al restyling di alcune sezioni espositive della Galleria Nazionale e al nuovo allestimento del Museo Archeologico.
Prima collocato al terzo piano del complesso museale, di scomoda fruizione, il museo Bodoniano, la cui apertura è prevista per il prossimo 19 aprile, verrà ricollocato al piano terra.
In corrispondenza con la presentazione della nuova Gazzetta di Parma che ritorna dopo anni in carattere Bodoni.
Spiega Simone Verde: “Il museo sta attuando una riqualificazione da circa tre anni e la prossima riapertura del Museo Bodoniano rappresenta uno dei fiori all'occhiello di tutto il complesso. Al terzo piano di un palazzo monumentale, il museo Bodoni non era più in linea con la museografia contemporanea, nonostante fosse, secondo un sondaggio di Repubblica, tra i musei più amati dagli italiani. Abbiamo spostato l'istituto al piano terra, con interventi olistici che puntano a restituire una nuova coerenza alle collezioni nel loro complesso”.
Verde racconta della ristrutturazione per la quale si è optato per lo stile impero, con pareti verdi, pavimento Versailles, lo stesso che veniva usato sia per le residenze che per le officine, in piena coerenza con la tendenza ad associare le arti alle corti, in perfetto stile bodoniano.
“Nella sala terminale ci sarà una biblioteca dove saranno posti tutti i volumi del museo, visionabili anche virtualmente. Saranno collocati anche totem esplicativi.
Tutti gli interventi implicano una tutela intelligente e una rifunzionalizzazione del patrimonio passato. A questi spazi sarà restituita una funzione pubblica. Il museo sarà aperto tutti i giorni. Anche il passaggio interno verrà ristrutturato. L'estetica prescelta ci sembrava quella più coerente con il patrimonio lì custodito, si tratta di una sorta di palinsesto contemporaneo frutto di interventi intersecati per coniugare Bodoni e contemporaneità”.
Andrea De Pasquale, direttore scientifico della Fondazione Museo Bodoniano, spiega la genesi del museo: “Il materiale bodoniano, reso sin subito accessibile al pubblico, venne sin dagli anni 40, musealizzato nella sala dei Ponzoni, distrutta però dalla guerra.
Nel 1963 il museo rinasce come centro espositivo per dotti, per raffinati bibliofili, affascinati dal risultato di questa produzione. Poco evidente risultava il discorso della fabbrica del libro, mentre il libro bodoniano è frutto di una raffinata attività artigianale che deve avvicinare un pubblico più ampio perché le persone sono incuriosite dal lavoro tipografico, anche i giovani. Puntiamo inoltre sull'importanza che Bodoni ha avuto sulla cultura d'Europa, non dimenticando che egli ha avuto il grande privilegio di essere famoso sia in vita sia dopo la morte. Si tratta di un mito cristallizzato, il tipografo della perfezione, dell'eleganza, del lusso. Senza dimenticare che Bodoni scelse di rimanere a Parma, trasformandola appunto nella capitale del libro”.
Orazio Tarroni, presidente della Fondazione Museo Bodoniano, sottolinea i meriti didattici della fondazione tesi a divulgare l'attività scientifica del tipografo saluzzese, come la digitalizzazione e catalogazione delle sue opere: “I numerosi rapporti internazionali nel settore grafico e della comunicazione, e il rinnovato museo consentiranno di valorizzare il lavoro di Bodoni e lo renderanno ancora più accessibile”. Ringrazia poi Cariparma e Monte Parma e Stefano Verde che hanno reso possibile tutto questo.
Non si può parlare di Parma, editoria e Bodoni senza citare Franco Maria Ricci, scomparso lo scorso 10 settembre. Editore, designer, intellettuale visionario in carattere Bodoni potrebbe essere il sommario della sua vita, poiché tutta la produzione della sua casa editrice, con sede a Fontanellato (Pr), dove ha creato anche il famoso labirinto, aveva come cifra stilistica proprio l'eleganza del Bodoni.
Stefano Verdi racconta della collaborazione con Franco e con la moglie e malinconicamente ammette che avrebbe desiderato continuasse ancora a lungo.
Andrea De Pasquale dice che proprio a FMR si deve la salvaguardia del patrimonio bodoniano, del suo carattere, ha finanziato iniziative, ha donato pezzi unici al centro espositivo: “L'anima di Franco sarà sempre nel museo e veglierà su di esso ora e nel corso della sua vita futura”.
Tarroni, non nascondendo commozione, ricorda che FMR sia stato insignito del premio Bodoni, da lui sono state acquistate diverse opere, ha finanziato molteplici attività: “Franco è stata una figura importantissima, ci mancherà”.
Zone e contagi permettendo, ad aprile il Nuovo Museo Bodoni aprirà le sue porte, si potrà così ammirare nuovamente, in una disposizione ripensata e fruibile, il mondo di Bodoni, suddiviso in 4 sezioni: la prima riservata a “Bodoni, Parma e l’Europa”, dove il visitatore avrà a disposizione una panoramica della produzione tipografica del tempo e dei tipografi di riferimento di Bodoni, quali Baskerville.
La seconda e più vasta sezione è invece dedicata a “La fabbrica del libro”, divisa in quattro grandi nicchie. In ognuna di esse è ricostruita una fase del lavoro di Bodoni. A partire dalla fonderia dei caratteri con i suoi strumenti di lavoro: punzoni, matrici, forme di fusione e relativi caratteri, alcuni ancora posti negli armadi creati per contenerli e gestirli al meglio. Poi la parte riguardante la riproduzione, con esempi di manoscritti di tipografia e poi “La stampa”, con prove su carta e pergamena, copie su seta, e il torchio, ricostruzione del 1940, rimesso in funzione anche a fini didattici. Infine per la terza sezione “L’illustrazione e la legatura” sono presenti anche le lastre di rame relative alle edizioni bodoniane. Per questa sezione, il Direttore Verde ha avanzato richiesta all’Istituto Toschi per poter esporre la macchina calcografica della Stamperia reale.
Infine la parte dedicata a “Il mito di Bodoni”: in una grande libreria sarà esposta la raccolta dei suoi volumi, con particolare riguardo alla raccolta palatina ancora con legature originali, al fine di documentarne la bibliofilia.
Bodoni è un mito quindi, ripercorrendo il discorso di De Pasquale: “L'ultimo dei tipografi antichi e il primo tra i moderni, lui si costruiva i suoi caratteri, sapeva fare tutto, componeva e stampava”, una fama nata dal talento: “Era famoso perché era bravo, oltre a essere un grande lavoratore. Solo per merito ha raggiunto la notorietà”. In un mondo di scorciatoie, anche questo ha un immenso valore.
Sara Rossi
per ulteriori informazioni consultare il sito del Museo Bodoniano
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In uno dei periodi più incerti della storia, osare richiede coraggio e il MAR – Museo d’Arte della città di Ravenna con Zeranta Edutainment s.r.l e gli amministratori ravennati, dimostrano di averne da vendere.
Il lockdown non li ha fermati e hanno colto questi mesi per realizzare una piattaforma online con tre virtual tour del progetto espositivo Dante. Gli occhi e la mente, organizzato dalle Istituzioni comunali MAR, Biblioteca Classense, promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna.
Il design e la progettazione dei tour sono firmati da Zeranta Edutainment s.r.l. con la consulenza di Jader Giraldi, mentre la produzione multimediale è realizzata in collaborazione con Flatmind Videoproduction.
I tour sono pronti e sono prodromici alle visite in presenza per omaggiare al meglio questo 2021 anno in cui Ravenna celebra i settecento anni dalla morte di Dante.
Un tour permette di visitare la mostra, già inaugurata l'11 settembre 2020, e visitabile sono al 17 luglio 2021, Inclusa est flamma. Ravenna 1921: Il Secentenario della morte di Dante, allestita presso il Corridoio Grande della Biblioteca Classense.
Gli altri due tour invece anticipano, con una selezione di opere d’arte rappresentative, due mostre che sono in allestimento proprio in questi giorni una, Le Arti al tempo dell’esilio, che si aprirà fisicamente al pubblico il 24 aprile presso la chiesa di San Romualdo e l'altra, Un’Epopea POP, in programma per il 4 settembre al MAR. Lo scopo è proprio quello di entrare in anteprima, con gli occhi e con la mente, nei percorsi espositivi attraverso le parole dei curatori.
Il sindaco della città Michele de Pascale esprime soddisfazione per la realizzazione del progetto e ammette come l'elemento centrale sia quello di assumersi questo rischio in un periodo di pandemia: “Fare programmazione culturale è stata una sorta di mission impossible. Abbiamo cercato di offrire il massimo degli eventi culturali possibili”.
De Pascale afferma che: “Quest'opera di digitalizzazione rappresenta un estremo atto di generosità per permettere a chi è lontano, oppure non può venire in città di persona per problemi fisici, di visionare le nostre opere d'arte. Si tratta di un gesto generoso anche nei confronti delle nuove generazioni che avranno così a disposizione un patrimonio immenso”.
Con entusiasmo ed ottimismo sostiene: “La digitalizzazione non sostituisce la fisicità e la presenza. Credo che il nostro atto di altruismo verrà ampiamente ripagato. Chi vedrà le immagini delle nostre opere, non appena ce ne sarà la possibilità, verrà a visitare Ravenna di persona”.
L'Assessora alla Cultura Elsa Signorino sostiene che: “In questo momento storico difficile per la cultura italiana le tecnologie digitali sono un supporto fondamentale per la valorizzazione e promozione culturale. La possibilità di visionare anche online le mostre dantesche, allestite e in programma per questo 2021, si configura come una nuova modalità di interazione che raggiunge tutti, vicini e lontani, nel segno di una cultura che supera ogni limite. La città di Ravenna con le sue mostre, raggiunge così, nel nome di Dante, non solo tutti i suoi cittadini ma anche il grande pubblico nazionale ed internazionale che attende di tornare a visitare musei e istituzioni culturali”.
Come spiega il consulente multimediale Jader Giraldi, all’interno della piattaforma da cui si accede ai tre virtual tour sono esplorabili 7 ambienti virtuali a 360°, oltre un centinaio gli oggetti esposti e circa 60 contenuti multimediali tra interviste, piccoli documentari e un video musicale pop che contiene un brano composto ed eseguito per l’occasione dall’artista Ivan Talarico, per raccontare la popolarità dei versi danteschi attraverso la citazione di brani di noti cantautori.
“A Ravenna l'amministrazione ha messo a disposizione i beni pubblici digitalizzandoli. Ci si è avvalsi di una piattaforma usatissima e per le riprese d'insieme abbiamo usato dei droni. La particolarità è la presenza del curatore che accompagna passo passo il visitatore alla scoperta dell'opera d'arte”. Continua poi: “Soprattutto per le due mostre non ancora allestite abbiamo mixato diverse tecnologie, costruendo un vero e proprio ambiente digitale, simulando l'occhio e il suo andamento”.
I virtual tour
La mostra Inclusa est flamma. Ravenna 1921: Il Secentenario della morte di Dante, curata da Benedetto Gugliotta, è stata aperta nel settembre 2020. Nel tour che la interessa sarà possibile conoscere la storia del Secentenario dantesco che si svolse a Ravenna alla presenza del Ministro della Pubblica Istruzione Benedetto Croce e attraverso l’analisi di celebri opere in mostra, come i sacchi decorati da Adolfo De Carolis col motto “Inclusa est flamma” (“La fiamma è all’interno”) che Gabriele D’Annunzio l'anno seguente donava alla città di Ravenna.
Con il virtual tour della mostra Le Arti al tempo dell’esilio che si svolgerà presso la chiesa di San Romualdo, a cura di Massimo Medica, è possibile entrare nel progetto scientifico costruito ripercorrendo l'esilio dantesco, attraverso importanti opere d'arte legate alle città in cui Dante ebbe modo di sostare, partendo dalla sua Firenze attraversando l'Italia, per giungere infine a Ravenna, suo "ultimo rifugio".
È inoltre possibile conoscere la storia delle opere, come il Polittico di Badìa di Giotto – importante prestito delle Gallerie degli Uffizi - che l'artista realizzò per l'altare maggiore della Badìa Fiorentina, chiesa vicina all'allora abitazione di Dante a Firenze e che, con ogni probabilità, il Poeta ebbe modo di vedere durante la sua realizzazione, o come la scultura di Manno Bandini da Siena che ritrae un imponente Bonifacio VIII - prestito dei Musei Civici Medievali di Bologna - personaggio chiave della vita di Dante e da lui citato nel XIX canto dell'Inferno, quelle di Cimabue, Arnolfo di Cambio, Pietro e Giuliano da Rimini, Giovanni e Nicola Pisano.
Nel percorso della mostra Un'Epopea POP, a cura di Giuseppe Antonelli e con un percorso d’arte contemporanea a cura di Giorgia Salerno, si possono percorrere le sale del MAR approfondendo le sezioni tematiche legate agli aspetti più popolari della figura di Dante e quelle dedicate all'arte contemporanea. I curatori, qui, accompagnano il pubblico nel racconto della fortuna dantesca: i suoi celebri versi, entrati nel linguaggio comune degli italiani, e riprodotti negli almanacchi e nei calendari, nei poster e nelle magliette, nelle pubblicità e nelle canzoni; e il suo iconico profilo, con la miriade di oggetti che lo riproducono; e infine l'arte contemporanea e la sua rilettura di temi danteschi attraverso le opere di celebri artisti come Edoardo Tresoldi, Richard Long, Kiki Smith e Robert Rauschenberg.
Per completare l'incursione nel mondo dantesco non poteva mancare una testimonianza dei lavori di restauro della Tomba di Dante e l’introduzione ai progetti espositivi attraverso le parole del direttore della Biblioteca Classense e Museo d’Arte della città, Maurizio Tarantino.
Non resta che visitare la città che accoglie le spoglie mortali del sommo poeta, prima virtualmente e, appena sarà possibile, di persona per celebrarne la bellezza che, a detta del suo sindaco, è ancora ampiamente sottovalutata.
Sara Rossi
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Ci ha lasciato pochi mesi fa Enzo Mari, geniale, ruvido, intelligente, vero. Nato a Novara nel 1932, ma milanese di adozione poiché nella nostra città ha perfezionato le sue conoscenze, studiando a Brera dal 1952 al 1956, e sviluppando il suo amore per il design, per la “programmazione” in estetica, per lo sviluppo della creatività. A parte qualche avvicinamento al modo accademico, si è formato da autodidatta, la sua idea era quella di creare un luogo dove “allenare alla conoscenza”. Poi invece nelle accademie ci è entrato, ma come docente, nella scuola della Società Umanitaria sino al 2000, al Politecnico di Milano, alle facoltà di Disegno Industriale e Architettura e a Parma dove insegna Storia dell'Arte.
Nel 2015 l'accademia di Brera gli ha riconoscito la laurea ad honorem.
“Bisogna cercare di progettare, per evitare di essere progettati”, questo uno dei suoi motti, una lotta continua alla passività, consapevole della necessità di intervenire sulla cultura di massa verso un progetto globale di qualità. Il suo lavoro è il risultato di precise convinzioni e prese di posizione a livello "ideologico e politico", d'ispirazione egalitaria e marxista.
Mari è morto in questo periodo di lockdown, e Milano si è attrezzata per rendergli quell'omaggio a 360 gradi, da sempre atteso ma arrivato solo postumo.
Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli
Con una mostra alla Triennale di Milano, “Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist”, visitabile sino al 18 aprile per cui il direttore di Triennale e amico di Mari, Stefano Boeri, ha chiamato Hans Ulrich Obrist, HUO. Qui sono documentati oltre 60 anni di attività di quello che è riconosciuto come uno dei principali maestri e teorici del design italiano, attraverso progetti, modelli, disegni, approfondimenti tematici, con materiali spesso inediti provenienti dall’Archivio Enzo Mari e interventi di artisti e progettisti di fama internazionale.
Secondo Mari: “Gli artisti antichi non erano gli artisti romantici di oggi, erano dei designer o dei sacerdoti. Realizzavano un'opera di significato collettivo che doveva sempre comunicare l'utopia”. E Stefano Boeri spiega che la mostra è stata realizzata sulla scia delle parole di Enzo che diceva di voler donare tutta la sua opera alla città di Milano, ma con l'unica condizione che nessuno per 40 anni avesse accesso a quell'archivo perchè, secondo Mari, nessuno avrebbe compreso il senso della sua arte. “Questa mostra quindi nasce come preludio di quarant'anni di oblio”, continua Boeri.
Enzo Mari era profondamente convinto del legame indissolubile tra lavoro e politica: “Il lavoro, se si ha l'atteggiamento giusto, determina un secondo lavoro che è quello politico, quindi il lavoro è la sola condizione perchè gli uomini possano realizzare la propria felicità”. Sulla scia di queste affermazioni, Boeri conferma che il tema della mostra è proprio il lavoro come continua possibilità intorno alla vita di un oggetto, ma anche la sua capacità di sintetizzare un intero mondo in un disegno.
La prima parte dell'esposizione contiene alcuni pezzi storici della produzione del designer, come il celeberrimo vassoio a putrella. Con Mari le forme vengono ridotte all'essenzialità, ma con una tensione, quasi involontaria, alla “trascendenza”, che emerge solo quando la ruvida bonaria guardia viene abbassata: “Pensavo a un lavoro che non finisse subito per cui ho pensato agli animali”. Ed ecco in mostra alcuni pezzi che rimandano al suo lavoro sulle forme animali.
La seconda parte della mostra si occupa delle sue ricerche come quella sull'autoprogettazione, secondo Boeri si tratta di una vera e propria scuola, lezioni in cui spiegava il significati di reimparare a realizzare.
In questa sezione si trova anche “Allegoria della morte” dove sono rappresentate le 3 grandi ideologie, il comunismo, la religione monoteista e, al centro, grande provocazione, il commercio, che rappresenta la mercificazione della vita.
E' anche riproposta una rapprentazione dell'arte Vodoo pensata per la Fondation Cartier, sculture in legno congiunte a una dimensione umana rappresentata da una serie di porte chiuse: il culto dei morti legato ad una dimensione domestica.
C'è infine una parte dedicata alle interviste, alla dimensione retorica, Enzo Mari era un produttore di invettive, “occorre produrre meno” era il suo mantra.
“Enzo Mari oscilla tra ricerca progammata e intuizione, era un ricercatore serio, ma mai serioso, percorso da un continuo gusto del disincanto. Un uomo sorridente che non si prendeva del tutto sul serio”, conclude Stefano Boeri.
Falce e Martello. Tre dei modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe
Per comprendere il genio di Enzo Mari non si può non visitare le mostra gratuita, aperta sino al 31 marzo 2021, nello spazio di Galleria Milano di Via Turati 14/Via Manin.
Si tratta di una riproposizione della stessa mostra, inaugurata nel medesimo spazio il 9 aprile del 1973. Carla Pellegrini allora sceglieva Enzo Mari per aprire ufficilamente il suo nuovo centro espositivo. La mostra suscitò grande scalpore e successo di pubblico. Oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, è proposta una riproduzione fedele della stessa, ricostruita filologicamente grazie ad un’operazione di ricerca che ha coinvolto principalmente l’Archivio della Galleria Milano e l’Archivio Enzo Mari.
La falce e il martello sono riprodotti quasi ossessivamente. Nell’abisso che separa la percezione del simbolo dagli anni Settanta ai giorni d’oggi, attraverso la visione di un autore illuminato come Mari, è possibile leggere il cambiamento epocale che ha riguardato non solo la società, ma anche il tessuto culturale e lo spirito più profondo della città di Milano.
Il progetto allora nacque da un esercizio proposto ad una studentessa, Giuliana Einaudi. Il punto di partenza fu una raccolta di dati, in cui vennero confrontati emblemi riprodotti sui muri, le comunicazioni di partito, i volantini, nel tentativo di allargare la ricerca a più luoghi possibili. Il secondo momento fu la progettazione di un simbolo di qualità esteticamente elevata, per giungere alla conclusione che il valore formale non incide sul significato veicolato. Da qui le opere in mostra, raffiguranti tutte la falce e martello: i due singoli oggetti d’uso, il simbolo progettato in studio, una grande scultura rossa, lignea, bandiere in lana serigrafate in diversi colori, una litografia riproducente la ricerca con 168 simboli, una serigrafia in due colori. Questi ultimi tre elementi furono inclusi insieme ad una piccola pubblicazione in una cartella pubblicata dalle Edizioni O, la casa editrice della Galleria Milano fondata da Baldo Pellegrini, marito di Carla.
Dopo un animato dibattito, la stessa sera dell’inaugurazione fu proiettato il film Comitati politici – Testimonianze sulle lotte operaie in Italia nella primavera del ’71, realizzato da Mari con il Gruppo di Lavoro, composto da alcuni studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Il documentario, ritrovato dopo una lunga ricerca, è stato digitalizzato dall’Archivio Home Movies di Bologna ed è visibile anche nell'esposizione attuale.
Falce e Martello si inserisce pienamente nell'impegno di Mari degli anni Sessanta, del suo legame con il comunismo e con il movimento Arts and Crafts, e del suo modo di vedere il design come intrinsecamente politico.
Enzo Mari resiste al tempo
Mari è un designer industriale, un disegnatore di mobili, un progettista di mostre, scrittore di libri per bambini e adulti, un artista, un autore di manifesti, un polemista celebre per le sue sfuriate contro il mondo del design.
Nonostrante abbia realizzato pezzi celebri per noti marchi, come il Calendario da Parete e i 16 animali per Danese, la sedia Tonietta, e la libreria componibile per Zanotta, lo spremiagrumi Squeezer e i cavalletti Ypsilon di Alessi, le posate piuma di Zani&Zani, solo per citarne alcuni, ciò che lo infastidiva di più era che il mondo del design puntasse al profitto: voleva liberarsi di questa idea di guadagno, di commercializzazione, di industria, di marchi, persino di pubblicità. Perché, secondo Mari, il design è tale soltanto se comunica anche conoscenza.
Come sottolineato da Hans Ulrich Obrist: “Ciò che colpisce dei suoi progetti – a qualsiasi campo essi appartengano – è la loro resistenza alla prova spietata del tempo. Il suo obiettivo è sempre stato quello di creare progetti che fossero sostenibili sia nella loro materialità sia nell’estetica, e che risultassero accessibili a tutti. Nel 1974, in linea con la sua idea di democratizzazione del design, concepì l’incredibile Autoprogettazione, un “esercizio individuale da realizzare per migliorare la propria consapevolezza”. Questa guida pratica è diventata una fonte di grande ispirazione per numerosi progetti, tra i quali il progetto Do It che Christian Boltanski, Bertrand Lavier e io abbiamo inaugurato negli anni Novanta.
Una volta Enzo mi ha detto – continua Obrist: “Guarda fuori dalla finestra e se ciò che vedi ti piace, allora non c’è ragione di fare nuovi progetti. Se invece ci sono cose che ti riempiono di orrore al punto da farti venire voglia di uccidere i responsabili, allora esistono buone ragioni per un progetto”.
La trasformazione secondo Mari nasceva nasce quindi dal bisogno – conclude Obrist: “E c’è qualcosa di molto umile nell’idea di creare solo ciò che serve. La modestia e il dubbio hanno sempre fatto parte della pratica di Mari”.
Sara Rossi
Per informazioni sulle mostre su Enzo Mari in corso a Milano, consultate il sito della Triennale (Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli) e quello di Galleria Italia (Falce e Martello. Tre dei modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe)
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Da qualche parte bisogna pur ricominciare. Dal food ai motori, all’arte e la cultura: i ‘distretti produttivi’ per rilanciare il turismo
I sistemi turistici locali esistono da anni, ma oggi presentano un nuovo potenziale da sviluppare in vista della ripresa. Meglio se in sinergia con i distretti produttivi. E non solo quelli enogastronomici.
Sono già diversi anni che i territori promuovono i distretti anche nel turismo. Spesso valorizzando le sinergie con le produzioni locali. Le Strade del Vino e le Strade dell’Olio sono ottimi esempi di come una produzione strettamente connessa a un territorio – in questo caso più un terroir che un distretto – possa trasformarsi in una vocazione turistica. E, in un Paese che vanta il record mondiale di prodotti alimentari a denominazione protetta, non esiste praticamente un solo angolo che non abbia un prodotto tipico da valorizzare. Grazie alla sinergie tra BitMilano, TUTTOFOOD e HostMilano, Fiera Milano rappresenta un punto di riferimento e integrazione tra le filiere del turismo, del food e dell’ospitalità.
Oggi però, in vista della ripresa post-pandemia, è il momento di spingere sull’acceleratore per cogliere potenzialità non ancora sviluppate. Anche oltre il food le possibilità sono pressoché infinite: pensiamo alla Motor Valley emiliana, alla rete dei musei aziendali della Lombardia (dove altro nel mondo si potrebbe trovare un museo dedicato alle macchine per caffè?) o nel Triangolo della Moda del Veneto, per non parlare degli innumerevoli percorsi legati alle grandi epoche o personaggi della nostra storia dell’arte.
Da distretti produttivi a destinazioni turistiche?
Perchè no. Potrebbe essere questa quindi una delle chiavi per rilanciare l’incoming Italia puntando anche a una ripresa del turismo domestico. Una opportunità che può fondarsi su una lunga tradizione e una solida base giuridica. I distretti produttivi sono uno dei fattori chiave che, a partire dal dopoguerra, hanno abilitato la rapida trasformazione del nostro Paese da economia ancora sostanzialmente agricola a potenza industriale. La loro importanza è tale che per disciplinarne lo sviluppo è stata varata una legge apposita, la n. 317/91 che li definisce come “aree territoriali caratterizzate da elevate concentrazioni di piccole imprese con una particolare specializzazione produttiva, e dove esiste un particolare rapporto tra presenza di imprese e popolazione esistente”.
Anche se ci si riferisce in genere ai distretti industriali – dai più noti come il distretto dell’arredo in Brianza a quello dell’occhialeria di Belluno, fino ai più recenti ma altrettanto di successo come il distretto dell’aerospaziale in Puglia – a molti non sfuggirà che una simile definizione descrive perfettamente anche molte destinazioni turistiche del Bel Paese. E infatti già l’anno successivo la disciplina si è ampliata all’industria turistica con la legge 488/92, che ha istituito i Sistemi Turistici Locali, veri e propri distretti turistici che introducono anche nel turismo il concetto di integrazione tra le PMI caratterizzante dei distretti industriali. Un patrimonio che in questa fase storica presenta sicuramente un ulteriore potenziale da valorizzare.
Tutte le opportunità di rilancio dell’Italia saranno approfondite e valorizzate a Bit 2021, a fieramilanocity dal 9 all’11 maggio prossimi.
la redazione
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Un bel lavoro di ricerca che esplora i Cammini d’Italia per analizzare il valore e la ricchezza dei Piccoli Comuni italiani.
A presentare lo studio e l'atlante “Piccoli Comuni e Cammini d’Italia” è la Fondazione Symbola, con il presidente Ermete Realacci, alla presenza, tra gli altri, del ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini, e del presidente IFEL Guido Castelli.
All’interno di questa rete, i Cammini d’Italia si configurano come un network di percorsi che collega tradizioni, natura e bellezza, economia sostenibile, agroalimentare a filiera corta, privati etici e associazioni non profit.
Si tratta di un viaggio composto da 44 itinerari in 15.400 km che si snoda lungo tutta la penisola e le isole, attraversa 1.435 comuni, di cui 944 piccoli (66% di quelli interessati dalla rete degli itinerari), e incontra oltre 2mila beni culturali e 179 produzioni DOP/IGP, l’86,6% di queste ultime nei piccoli comuni.
Ermete Realacci, Presidente Fondazione Symbola, ricorda che tutto nasce dalla Legge 158 del 2017 per la valorizzazione dei piccoli comuni che, partendo dall'unicità del nostro paese, tende alla costruzione di un'economia sempre più a misura d'uomo. Continua dicendo che: “L'Italia è tra i paesi più influenti al mondo, ma occorrono nuovi progetti, investimenti sulle nuove tecnologie come la banda larga”. E soprattutto: “Occorre coesione sociale politiche pubbliche, nuove tecnologie, questo virus ci ha fatto riflettere. L'Europa di fondi ce ne darà per la green economy, le nuove tecnologie, occorre crossare questi aspetti con le nostre virtù”. I cammini vanno proprio in direzione di un turismo green, sostenibile che, conclude “E' un turismo perfetto per l'Italia”.
Giuseppina Paterniti, Direttrice Direzione Editoriale per l’Offerta Informativa RAI, che ha moderato la presentazione, ha sostenuto la validità di questo progetto a cui va creata una solida rete di sostegno e di investimenti.
Secondo Guido Castelli, Presidente Ifel-Fondazione Anci, i comuni di Italia hanno scommesso sulla dimensione dei cammini: “Una delle metafore che amo ricordare sulla pandemia è quella di far venire tanti nodi al pettine, come quello dei piccoli comuni, delle zone montane. In tanti hanno rivalutato quelle aree, che possono essere una via per la ripresa”. Nelle aree marginali spesso si è trovata una chiave di risposta in questo momento così delicato. “La forza dell'Italia sta proprio nell'assecondare la logica metro-montana tipica della nostra nazione. Il turismo è uno dei fattori determinanti di questa sfida, ma la prospettiva non è l'idea di salvare dall'estinzione certe zone, ma di renderle protagoniste. Occorre la giusta assegnazione dei diritti, vanno valutate le capacità di essere moderni nell'affrontare il problema. Il lavoro fatto sui cammini abbina green new deal e tradizione”. E conclude: “Il cammino è una scelta di per sé generativa. Prevede una meta, uno studio, uno spirito e la voglia di costruire, cose di cui l'Italia ha bisogno”.
Il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini, dimostra un cauto ottimismo: “In questi anni sono stati fatti molti passi avanti, già ci stavamo muovendo in questa direzione, un turismo che valorizzi l'Italia meno conosciuta, che sia sostenibile. Sui cammini da qualche anno è stato fatto un percorso, abbiamo lavorato sull'Atlante dei cammini. In italia c'è un reticolo di cammini, non un percorso di Santiago, ci sono tantissime possibilità, si tratta di un reticolato enorme che valorizza borghi, case cantoniere, ferrovie storiche , quest'anno era proprio l'anno delle ferrovie. Ora non è più un'idea utopistica, l'idea era quella di decongestionare le aree urbane, oggi lo scopo è un altro, ma è altrettanto valido. Occorre continuare con determinazione.
Marco Bussone, Presidente Uncem nazionale dei piccoli comuni montani, ritiene indissolubile il rapporto tramodernizzazione e sviluppo: “Con la legge 158 già c'è stato un segnale, manca una maggior coesione e interconnessione, occorre fare un grande lavoro sulla fiscalizzazione che va differenziata e agire sulle aree interne con investimenti europei che servano al rilancio”.
Secondo Ettore Prandini, Presidente Coldiretti, è necessario sostenere le aree agricole, innanzitutto portando la rete nei piccoli comuni e nelle aree interne in particolare: “Occorre tenere i nostri giovani che possono restare legati alla terra, nei nostri borghi. I turisti vanno attirati in zone poco conosciute, anche nelle zone montane, con le bici elettriche ad esempio. Non bisogna dimenticare che l'agricoltura dop nasce nei piccoli comuni e va valorizzata”.
Sofia Bosco, Direttore sede di Roma e dei Rapporti Istituzionali FAI, parla dei territori italiani che sono al centro dell'interesse del Fai negli ultimi anni, quelli sopra i 600 metri di altitudine: “E' un territorio che rappresenta la metà dell'Italia. Queste zone si stanno svuotando, occorrono campagne di comunicazione conoscitiva, occorre promuovere turismo anche grazie a mappature ed eventi”. A tal proposito afferma come il censimento dei “luoghi del cuore” stia producendo una mappa molto interessante. Continua poi la sua disamina sui flussi turistici: “Il turismo di massa non era piacevole, e già l'orientamento era quello di fuga dai luoghi affollati e di avvicinamento ai piccoli borghi, per un turismo di approfondimento”. Il Fai da anni fa la sua parte in questa direzione: “Noi stiamo già spingendo i turisti fuori dai grandi centri con i nostri beni che sono quasi sempre periferici. La riconversione verso la scoperta di luoghi minori ma che sono in realtà la parte integra dell'Italia è la ricetta per lo sviluppo”.
Enzo Bianco, Presidente Consiglio Nazionale ANCI, ringrazia per gli investimenti sulla mobilità e afferma come ad esempio grazie ad un vino dop siciliano sia possibile riscoprire alcuni territori sconosciuti, come ad esempio il comune di Randazzo. Conferma poi il ruolo attivo dell'Anci nel supporto ai piccoli comuni che vogliano usufruire dei fondi stanziati dall'Europa.
Alessandra Bonfanti di Legambiente nazionale sostiene come l'unione tra cammini e piccoli comuni sia intelligente e che debba trattarsi di un sodalizio ecologico: “I borghi e i cammini possono costruire un sistema sostenibile che sia attento al paesaggio agricolo-storico. Ringrazio il ministro Franceschini che ha uno sguardo alto che permetterà di affrontare una sfida climatica e di sviluppo ecocompatibile”. Occorre – secondo Bonfanti - un turismo che sia di qualità e rispettoso: “I piccoli comuni devono diventare protagonisti nella mobilità dolce. Siamo in una stagione nuova ma occorre certamente una fiscalità di vantaggio che permetta alle piccole economie di sostenersi”.
Franco Iseppi, Presidente Touring club italiano, ringrazia per il momento di confronto ma nutre qualche dubbio sul turismo nostrano: “Io non sono convinto che sia il turismo domestico a salvarci, il 50 % dei turisti è straniero”. A suo avviso: “Occorre concentrarsi su una mobilità che sia prodotto turistico, come quella su treni, fiumi”. Rivela che anche l'incontro annuale del Touring avrà come tema i cammini, ma sostiene che perchè vi sia un effettivo sviluppo turistico sarebbe necessario recuperare i “sistemi turistici” mettendo insieme infrastrutture, materiali e piattaforme. In particolare afferma la volontà di concentrarsi sull'Appennino e su di un progetto che lo coinvolga.
Giampiero Lupatelli,Vicepresidente progetto Caire, assumere il punto i vista dei piccoli comuni per quanto riguarda i cammini. “I piccoli comuni non sono centri al margine ma sono la frontiera, densi di storia, imprese e giovani, dove la politica dei cammini può rappresentare un importante punto di svolta”. Poi citando il rettore di Urbino: “L'innovazione è la disobbedienza che ha avuto successo, e questo sono i piccoli comuni”.
Questo modo di fare turismo allarga la platea di turisti e la rende di maggior valore. Ed è interessante per questa fase post pandemia che stiamo vivendo. Non sono parti accessorie, ma protagoniste “produttive” come è necessario in questo periodo. I cammini sono una rivendicazione di libertà e movimento, con meno fretta e al di fuori dalla contingenza, che consentono di “guardare con occhi nuovi” come diceva Marcel Proust.
Giampiero Sammuri, Presidente Federparchi, sostiene che “I parchi sono il cardine delle zone di cui stiamo parlando ma occorre che siano messi nelle condizioni di offrire un prodotto di qualità”.
Innanzitutto, afferma Sammuri, devono essere messi nelle condizioni di spendere i fondi stanziati: “I parchi hanno risorse che possono spendere, lo stato ha limitato le loro possibilità di spesa, chiedo al ministro che sblocchi i fondi che già ci sono”.
Ermete Realacci conclude la presentazione dicendosi sicuro che i tempi sono maturi per mettersi in gioco e per valorizzare questo tipo di turismo e mobilità: “Dentro al percorso del manifesto di Assisi vorremmo riunire tutti i soggetti proprio nella città umbra, vedremo come fare. Intanto occorre fare vivere questa esperienza ed incrociarla con le sfide del futuro”.
Sara Rossi
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