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Da un'indagine del Movimento Difesa del Cittadino (MDC) e di Legambiente, presentata pochi giorni fa, è emerso che l’olio è uno dei principali prodotti presi di mira dai contraffattori. Nel rapporto si raccontano le numerose storie di falsi: miscelazioni con oli di semi o addirittura lampanti, colorazioni con la clorofilla, "deodorazioni". Tutte hanno un comune denominatore: la contraffazione finalizzata a far credere che si tratti di olio extra vergine di qualità e italiano.
Per quanto riguarda i dati solo nel 2011 i NAS e l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari hanno effettuato sequestri, nel settore generale degli oli e grassi, per un valore superiore a 6 milioni di euro.
Tra i casi più eclatanti ricordiamo i sequestri del cd "olio deodorato". Nel febbraio 2011 il Corpo Forestale ha riscontrato a Firenze, Reggio Emilia, Genova e Pavia documenti di trasporto falsificati utilizzati per regolarizzare una partita di 450 mila chilogrammi di olio extravergine di oliva destinata ad essere commercializzata, per un valore di circa 4 milioni di euro. L’ipotesi era che i documenti siano stati contraffatti per ingannare sulla vera natura del prodotto che, conteneva olio di oliva deodorato, di bassa qualità e dal valore commerciale tre volte inferiore a quello etichettato come extravergine.
E ancora: nell’agosto 2011 altri 9.000 litri di olio di oliva "deodorato" proveniente da Spagna e Grecia sono stati sequestrati dai Carabinieri.
Spudoratamente "100% italiano" erano invece gli oltre 38.000 quintali di olio extravergine di oliva sequestrati dal Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), in collaborazione con la Guardia di Finanza di Siena, a giugno 2012. In realtà il prodotto era ottenuto dalla miscelazione di prodotti di origine spagnola e greca, venduto a numerose ditte imbottigliatrici ad un prezzo assolutamente in linea con le aspettative del mercato nazionale.
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Gusto e sapore ma al tempo stesso uno sguardo anche alla salute. Si sa che il salame classico, nelle sue molte varietà, frutto delle diverse tradizioni regionali, non è considerato certamente tra i cibi più leggeri e, men che meno, dietetici. Normalmente 100 grammi di salame corrispondono a oltre 400 calorie, ma forse è in arrivo una svolta per i buongustai che tengono sotto controllo la linea. Ne avremo una prova durante la prossima edizione de il BonTà, il salone delle eccellenze enogastronomiche artigianali in programma alla Fiera di Cremona dal 10 al 13 novembre prossimi, dove per la prima volta verrà presentato il salame "light". A produrlo è Vittorio Croci, macellaio di Pizzighettone (CR), con l'obiettivo di "creare un prodotto di alta qualità che al tempo stesso coniughi gusto, leggerezza e soprattutto salute", come ci ha spiegato. "Il mio salame – continua il Sig. Croci – ha pochi grassi, poco zucchero, poco sale ma altempo stesso un alto contenuto proteico. Le calorie? Solo 209 all'etto." La ricetta resta top secret, anche se il macellaio cremonese si lascia scappare che il contenuto è un "mix tra una parte della coscia del maiale e una parte del pollo". E ci tiene a sottolineare che sarà una produzione molto limitata, ma chi vorrà assaggiarlo in anteprima potrà farlo a il BonTà. E se il gusto di questo nuovissimo salame "light" non dovesse soddisfare tutti i palati, i buongustai potranno sbizzarrirsi tra gli oltre 2.000 prodotti tra salumi, formaggi, paste, vini, dolci, confetture, e moltissime altre specialità provenienti da tutta Italia. Saranno infatti oltre 140 gli espositori presenti al Salone di Cremona, e presenteranno le eccellenze agroalimentari da 51 province e 18 regioni italiane. Certamente ce ne sarà per tutti i gusti, anche considerando che oltre ai migliori prodotti enogastronomici nazionali, ci sarà spazio anche per 23 eventi collaterali, tra cui spicca la settima edizione del Cheese of the Year, il campionato mondiale di formaggi, che quest'anno vedrà in gara 56 produzioni casearie da 5 Paesi.
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L’Italia è la migliore destinazione europea per gli amanti del vino: è quanto emerge dal Travelers’ Choice wine destinations awards 2012. Con tre regioni nelle prime cinque posizioni della top ten, l’Italia non solo conquista la parte alta della classifica, ma guadagna anche la prima posizione grazie alla Toscana, eletta miglior destinazione europea per gli amanti del vino, mentre Umbria e Sicilia si aggiudicano rispettivamente la quarta e la quinta posizione. I vincitori sono stati determinati sulla base della loro popolarità come destinazioni vinicole, prendendo in considerazione le recensioni e opinione dei viaggiatori relative a cantine locali, ristoranti, attrazioni e strutture ricettive.
L’enogastronomia come fattore di attrazione di flussi e di spesa
L’offerta enogastronomica italiana da sola attira il 5% dei turisti che trascorrono una vacanza in Italia (pari a 18 milioni di presenze nelle strutture ricettive), quota che per il solo mercato straniero sale al 7% (oltre 11 milioni), un turismo che genera sul territorio un impatto economico stimato in oltre 1,5 miliardi di euro spesi nel 2010[1]. Nel corso della vacanza in Italia il 20,7% dei turisti (nel 2009 erano il 17,8%), oltre 76 milioni di presenze, degusta i prodotti tipici del territorio.
L’impatto del turismo sul settore agroalimentare è pari a 7,2 miliardi di euro, corrispondente al 10,5% dei consumi totali generati dalla domanda turistica in Italia, sottolineando così la complementarietà del turismo rispetto agli altri settori. In media un turista enogastronomico in Italia spende 34euro circa per l’alloggio e 62 euro per gli altri acquisti sul territorio, inclusi quelli di prodotti tipici e dell’artigianato locale.
Italia prima destinazione dei tour operator esteri per vacanze enogastronomiche
L’Italia, inoltre, è la prima destinazione per vacanze enogastronomiche proposte dal turismo organizzato internazionale: venduta nel 2010 da circa il 23% dei Tour Operator europei che trattano Italia (nel 2009 erano il 19%) e da ben il 43% di quelli statunitensi (32%, 2009) che commercializzano le località turistiche del nostro Paese.
Il buon cibo e la cucina di qualità sono al primo posto come fattore di godimento e soddisfazione della vacanza, cui i turisti assegnano in media una valutazione di 8,3 (range da 1 a 10).
La cultura enogastronomica italiana espressione dei territori di vacanza
E’ il frutto di un secolare processo della nostra società, da sempre protagonista di significativi momenti della civilizzazione umana. In armonia con la proprie tradizioni, e famosa per ricchezza, varietà e qualità, rappresenta un patrimonio culturale ed economico che concorre significativamente al successo del "Made in Italy" nel mondo. La notorietà e il successo dell’enogastronomia italiana si fonda essenzialmente su due "percezioni" forti:
1) la qualità intrinseca riconosciuta ad alcuni prodotti (pasta, olio di oliva extravergine, salumi, formaggi, vini) autenticamente italiani;
2) l’immagine dell’Italia come meta turistica collegata alla buona tavola e al mangiar sano.
A questi fattori si somma poi la valenza salutistica della "dieta mediterranea", divenuta patrimonio dell’Unesco il 17 novembre 2010, in cui semplicità e gusto si coniugano, con armonia, all’equilibrata ripartizione nutrizionale di carboidrati, grassi e proteine, tipica della cucina italiana.
I vantaggi della promozione enogastronomica
Emerge quindi con forza che promuovere i prodotti tipici e l’enogastronomia italiana significa attuare una strategia che va a beneficio del:
• settore agroalimentare, in termini di una migliore promozione e commercializzazione all’estero delle produzioni italiane; si offrono molteplici vantaggi ad un sistema fatto soprattutto di piccoli produttori, capaci di offrire prodotti di qualità elevata ma spesso "penalizzati" da mezzi (economici e organizzativi) di piccola entità e che li allontanano dai grandi mercati internazionali;
• settore turistico, in termini di qualità, maggiore competitività e diversificazione dell’offerta; la promozione dell’enogastronomia italiana all’estero rappresenta una vera e propria opportunità e un invito per i clienti che la degustano e ne fanno esperienza a scoprire il territorio italiano e tutte le sue attrattive (arte, cultura, natura, etc.).
La qualità del made in Italy
Inoltre, soprattutto all’estero, il concetto di qualità è strettamente connesso a quello di unicità, che presuppone che i piatti della tradizione italiana siano unici nella percezione del consumatore, tali, quindi, che lo stesso non corra il rischio di confonderli con qualcosa di simile alla cucina italiana, ma che pure viene descritto come "Italian". La cucina italiana va perciò difesa e protetta dalle adulterazioni e dalle falsificazioni per salvaguardarne la storia, la cultura, la qualità e la genuinità (il ristorante italiano è cosa ben diversa dal ristorante all’italiana). È su questi presupposti, seguendo quello che si profilava come un naturale processo evolutivo "dall’agroalimentare al turismo enogastronomico", che nel 2009 nasce il progetto "Ospitalità Italiana-Ristoranti Italiani nel Mondo".
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Procede a gonfie vele la candidatura de "Le vie del Cioccolato" a Itinerario Culturale Europeo. La proposta, avviata a Modica dalla Fine Chocolate Organization e dal Consorzio di Tutela del Cioccolato di Modica in occasione del ChocoBarocco 2011, ha coronato la sua prima tappa progettuale a Perugia durante Eurochocolate 2012. In Umbria, infatti, sono state precisate le linee guida e i principi ispiratori degli Itinerari Culturali, lanciati dal Consiglio d’Europa nel 1987 con la finalità di promuovere la conoscenza dell’Europa e del patrimonio culturale condiviso dai paesi europei.
Il sostegno di Unioncamere, l’adesione dei distretti di Ragusa, Perugia,Torino e Cuneo nonché la partecipazione dei direttori dei Musei tematici di Alicante, di Barcellona, di Bruxelles e di Modica hanno concorso ad orientare il dialogo interculturale, interprete della strategia turistico - culturale del Consiglio d’Europa.
"Tutta la procedura di presentazione della candidatura delle Vie del cioccolato al Consiglio d’Europa - ha sottolineato Eleonora Berti, coordinatrice dei progetti degli Itinerari Culturali dell’Istituto Europeo - è partita e le probabilità di una approvazione sono alte". In tale ottica è da leggersi, perciò, la mutata denominazione dell’itinerario culturale europeo in "La via del Cioccolato", quasi a voler tradurre nell’adozione del singolare l’unitarietà di intenti finalizzati a narrare le comuni radici storiche e culturali connesse all’avventuroso viaggio europeo del cibo degli dei. Particolarmente pertinente in tale senso è anche il "Pacchetto Qualità", approvato dal Parlamento Europeo lo scorso 13 settembre e che include il cioccolato tra i prodotti ammessi al riconoscimento IGP, grazie anche all’impegno di Nino Scivoletto, direttore del CTCM di Modica. Complementari e propositivi si sono rilevati i dati illustrati dal Consorzio di Tutela del Cioccolato di Modica sugli aspetti socio-culturali di un percorso capace di collegare territori, paesaggi e culture mediante i segni dei saperi dolci che attraversano l’Europa, narrandone tradizioni cioccolatiere e peculiarità paesaggistiche, come tessitura d’ identità culturale e non come somma di attrattive turistiche dei diversi Paesi. In effetti il percorso culturale collega paesi europei di lunga tradizione artigiana cioccolatiera, quali appunto Italia, Austria, Spagna, Francia, Belgio, Lussemburgo e Regno Unito. (travelnostop)
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Ogni compleanno è una nascita e il 19 marzo 2010, per gli ottant’anni di Gualtiero Marchesi, è stata annunciata la nascita della sua Fondazione.
Un termine che dà l’immediata percezione di qualcosa che duri e affianchi l’impegno di una vita la Fondazione Gualtiero Marchesi avrà a cuore l’insegnamento del buono e la cura del bello, in altre parole la diffusione delle arti, attraverso il gusto, l’unico strumento a disposizione di chiunque che sia possibile educare.
La storia personale e la carriera di Gualtiero Marchesi si sono sempre intrecciate all’amore e alla curiosità nei confronti della pittura, della letteratura, della scultura e in sommo grado della musica.
C’è addirittura, nel caso di quest’ultima, una vocazione, ma si potrebbe anche dire un karma familiare. Oggi, la famiglia Marchesi riunisce tre generazioni di musicisti che suonano per sé e per gli altri, rinnovando una tradizione che risale all’Ottocento, alla bisnonna siciliana, insegnante di pianoforte della famiglia Florio. Per il cuoco che considera la cucina un’arte e non un semplice artigianato, per quanto brillante e seduttivo, ci si alimenta nella stessa misura di qualcosa di buono e di bello.
L’estetica ha in comune con l’etica cinque lettere su otto, un piccolo scarto che le rende utili l’una all’altra per evitare che la prima si trasformi in semplice culto, scivolando verso l’arbitrio del bello o del brutto.
Qual è lo scopo e il terreno di gioco della Fondazione? Ce lo dice proprio Gualtiero Marchesi.
Partire dai ragazzi e prepararli al bello fin dall’età prescolare, coltivandone il gusto per tutte le arti attraverso dei corsi di musica, di pittura, di scultura, dei laboratori teatrali e culinari.
Scoprire la verità di un sapore richiede la stessa attenzione e il medesimo slancio che accompagna l’ascolto della musica, la conoscenza di uno strumento, l’uso del disegno, l’abbandono al gesto teatrale.
Accanto a questa sorta di nido d’arte, la Fondazione Gualtiero Marchesi si occuperà anche degli adulti, in particolar modo dei cuochi che hanno già iniziato un loro percorso lavorativo o che, magari, sono appena usciti dai corsi di formazione di Alma, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana. A questi, che hanno già imparato a cucinare, si prospetta il passo successivo, quello più arduo per il quale è indispensabile la presenza di un Maestro: l’apertura ad una visione creativa. La creatività è qualcosa di diverso rispetto alla maestria. Ci sono persone bravissime che non creano né creeranno mai nulla. La questione di fondo è un’altra. Capire cosa significhi creare, allenando lo spirito a quel salto che distingue, nei momenti di grande libertà, una grande esecuzione da un’opera d’arte".
"I bravi esecutori riescono a interpretare secondo la propria sensibilità i grandi repertori" - precisa Gualtiero Marchesi, presidente della Fondazione - "i cuochi creativi, come gli artisti, riescono a creare qualcosa che duri, diventando un punto di riferimento e di confronto per gli altri. Chi partecipererà ai master della Fondazione potrà approfondire insieme a docenti artisti quanto di creativo esista in un pensiero culinario veramente libero. "Per studiare da cuoco - conclude - la curiosità è certo una prima scintilla che accende la voglia di studio. Accanto, la passione mantiene viva la fiamma. Senza quello o senza questa non si va molto avanti".
Sono molti i cuochi che devono qualcosa al maestro, che insieme a lui si sono formati, lavorando in cucina, ascoltando e guardando. Oggi, questa possibilità, si articola su tre livelli, tre luoghi, tre occasioni per imparare e crescere. Ad ALMA, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana di cui Gualtiero Marchesi è il Rettore, ci si avvicina alla cucina, toccando con mano la tradizione regionale, legata al territorio e ai suoi microclimi. Se ne impara il linguaggio, familiarizzandosi con i prodotti e con le tecniche in modo da capire ed eseguire le ricette. Con questo bagaglio, diventa più facile passare ad una vera e propria formazione sul campo, entrando in contatto con il lavoro delle brigate di cucina, dirette da Gianluca Branca ad Erbusco, in Franciacorta, e da Daniel Canzian a Milano.
Nei due ristoranti, si viene a contatto con la cucina di Marchesi, realizzando i piatti che portano la sua firma. Le prime due tappe di questo itinerario formativo sono traguardi importanti che consentono di raggiungere il terzo livello, quello in cui la somma di conoscenze ed esperienze diventa il presupposto per creare qualcosa di nuovo.
È il passo più difficile, quando non basta più essere bravi. A questo obiettivo risponde la Fondazione Gualtiero Marchesi, dove si insegna la composizione di un piatto. Come per la musica comporre un piatto è diverso da eseguire bene una ricetta e solo i buoni esecutori diventano un giorno compositori. Varie le attività che la Fondazione ha messo in atto nei suoi due primi anni di vita, dalla Mostra organizzata nel 2010 al Castello Sforzesco "Gualtiero Marchesi e la Grande Cucina Italiana" replicata poi in Fiera Milano, al Parlamento Europeo di Bruxelles e nelle sale della Regione Lombardia sempre a Bruxelles; agli eventi musica, arte e cucina di Pisa del 2011, agli eventi cucina e musica del 2012 all’Ambasciata Italiana di Parigi, al Meratefest o a Salò per raccogliere fondi pro- terremotati. Nel gennaio 2013 avrà inoltre avvio il primo Master in Design della Ristorazione, organizzato in collaborazione con IED, che si pone l’obiettivo di trasferire ai partecipanti tutte le conoscenze utili a focalizzare l’oggetto "ristorante" come una pluralità di elementi che devono fondersi per creare un unico elemento equilibrato, coerente, interessante, con un proprio carattere ben identificato e quindi di successo. Le conoscenze ottenute permetteranno di "disegnare" consapevolmente una attività di successo nell’ambito della ristorazione e di rivedere da un altro punto di vista, e con più consapevolezza, le realtà esistenti. "Il cambio di prospettiva serve ad evitare il percorso opposto e più frequente in cui la prima preoccupazione di chi vorrebbe dedicarsi alla ristorazione è la scelta del posto, poi dell’architetto, quindi dell’apparecchiatura e solo alla fine del cuoco. Occorre, invece, invertire il procedimento, partendo dal contenuto per arrivare, senza scorciatoie e intoppi, al contenitore. Da quello che mettiamo nel piatto al locale dove ogni scelta estetica corrisponderà agli obiettivi della cucina, in modo che sia effettivamente buono ciò che è bello e bello ciò che è buono".
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Si è svolta a Imperia la seconda edizione del Forum Dieta Mediterranea (organizzato dalla Camera di Commercio di Imperia tramite la sua Azienda Speciale Promimperia, in collaborazione con il Consiglio Oleicolo Internazionale e l’Associazione Nazionale Città dell’Olio) con 13 paesi affacciati sul Mare Nostrum che hanno fatto fronte comune per tutelare e valorizzare il patrimonio olivicolo mediterraneo. Il messaggio principale uscito dal simposio è che ciò che apparentemente viene considerato superficialmente 'solo' una meraviglia paesaggistica in realtà racconta molto di più e ha una funzione sociale assai importante: non solo rappresenta una fonte di sostentamento per gli agricoltori e una fonte di reddito e attrattività turistica per il territorio, ma anche un’indispensabile sentinella dei terreni delle nostre colline i quali, quando vengono abbandonati e lasciati all’incuria diventano concause di fenomeni di dissesto idrogeologico come quelli a cui negli ultimi tempi assistiamo sempre più di frequente: nell’ultimo anno alle Cinque Terre, ad esempio, il 58% delle frane sono avvenute su terrazzamenti abbandonati e coperti dal bosco, mentre il 27% su terrazzamenti semplicemente abbandonati. Una importante spesa che grava sulla collettività per 3,5 miliardi di euro e quindi ben più onerosa di quello che richiederebbe una semplice e costante manutenzione.
I dati relativi all’abbandono delle campagne contenuti in una ricerca realizzata recentemente, evidenzia come negli ultimi 100 anni i terreni agricoli si siano ridotti di 10 milioni di ettari, passando da 23 ai 13 milioni di ettari. Un dato allarmante se si considera che l’Italia ha una superficie complessiva di 30 milioni di ettari, ma ancora più allarmante è il dato che evidenzia come i fenomeni di abbandono interessino nell’81% dei casi le aree sottoposte a vincolo paesaggistico. Soltanto nell’ultimo anno, gli ettari olivetati sul territorio italiano sono passati da 1.165.198 a 1.157.819 con una perdita di 7.379 ettari (fonte Istat). Su questi dati si è sviluppato il dibattito attorno al Paesaggio Olivicolo nel corso del Forum, dove è stata più volte sottolineata l’importanza e l’incidenza dell’elemento olio all’interno del Mediterranean Lifestyle, anche da parte dei rappresentanti degli altri paesi.
"Avvicinarsi alla nostra cultura sull’alimentazione e sul corretto stile di vita - spiega il Presidente dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio e di Re.C.O.Med Enrico Lupi - deve essere un traguardo di conquista per tutti quei paesi che ancora non conoscono e non vivono questa cultura, la quale rappresenta uno stile di vita non solo alimentare. La vera mission di ReC.O.Med è fare squadra per 'conquistare' quella parte di mondo che ancora non conosce e non apprezza questi valori: per farlo, abbiamo davanti una occasione imperdibile, l’Expo 2015, evento mondiale che attirerà in Italia oltre 20 milioni di visitatori e dove queste tematiche troveranno spazio per essere trattate e rappresentate. L’ambizione del Forum è anche quella di essere là, con tutti i paesi aderenti a Re.C.O.Med presenti insieme agli altri paesi, per 'vendere' al mondo questo stile di vita e asset etnoantropologico di eccezionale valore culturale, storico, sociale e nutrizionale".
L’Expo 2015 sarà dunque anche l’occasione per prendere i visitatori per mano e condurli alla scoperta in prima persona dei luoghi del gusto attraverso forme di turismo esperienziale: "Il turismo - aggiunge Lupi - è un motore di trasmissione non solo di tipo economico ma anche culturale e quando si parla di paesaggio, alimentazione, tradizione, ambiente, immagine, si parla di valori che si possono vendere anche all’esterno: non è un caso se l’unico trend che non subisce flessioni, anzi permette un incremento se pur piccolo, è il turismo enogastronomico".
Tra i sapori più rappresentativi da scoprire nei luoghi e nei paesaggi, spicca senza dubbio quello dell’olio: la produzione olivicola, che non è una coltivazione esclusivamente italiana ma senz’altro tipicamente mediterranea, a livello mondiale (fonte www.internationaloliveoil.org) oggi è di 3 milioni di tonnellate, prodotte per la maggior parte dall’area mediterranea, dove a fare la parte del leone è l’Unione Europea con i 2/3 del totale, seguita da Turchia, Tunisia, Siria e Marocco. In termini di consumo, la suddetta produzione mondiale è oggi così ripartita: 1,8 milioni nella sola Unione Europea con un livello di consumo stabile negli ultimi dieci anni, 0,6 milioni per l’area mediterranea allargata - che comprende anche Iran, Iraq e Giordania - dove il consumo è triplicato nell’ultimo ventennio e continua a mantenere un buon trend di crescita mentre i restanti 0,6 milioni vengono consumati nel resto del mondo.
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E’ un bellissimo baglio risalente fine ‘800, custode delle memorie nascoste dove si respira ancora un aria antica e profumi tipici della campagna e dell’estate siciliana che, con piacere, si inerpicano nel naso. Con un ampio porticato spiovente in legno, pavimentato in mattone rosso che si unisce a un prato verde all’inglese e piante secolari, l’originale architettura dell’età Signorile dei feudi, offre un atmosfera intensa e ricca di charme. Dietro, un folto palmeto con piante di varia grandezza, attraversato da un viale che porta alla cantina e ai laboratori che controllano la qualità delle uve.
Stiamo parlando dell’azienda Agricola Fondo Antico, ubicata in aperta campagna, tra Trapani e Marsala, dalla cui cantina escono 450.000 bottiglie di vino bianco e rosso di alta qualità, (75 ettari vitati ) vendute nel canale horeca e che i mercati nazionali ed esteri apprezzano sempre di più.
Il titolare Giuseppe Polizzotti
(foto) lo abbiamo incontrato a Milano, in occasione di una cena-degustazione del Grillo Parlante e Nero d’Avola, dove abbiamo potuto apprezzare la passione che lo ha condotto a dedicare gran parte delle sue energie all’azienda vinicola, affiancando la non facile attività di vignaiolo alla professione di farmacista.
Grillo Parlante è una splendida interpretazione dell’autoctono vitigno siciliano realizzata da Fondo Antico, che ha fatto della qualità la propria stella polare.
I vigneti - impiantati ad altitudini variabili tra i 150 e i 250 metri godono di differenti composizioni del suolo che si riflettono sulle caratteristiche dei vini, rendendoli unici - sono prevalentemente dedicati ai vitigni siciliani (Grecanico, Grillo, Inzolia e Nero d’Avola).
La vitivinicoltura - come l’agricoltura in genere - non è mai semplice: diviene particolarmente difficile quando non solo si ricerca la qualità come valore assoluto, ma si vuol anche mantenere il legame con la cultura di un territorio e la sua storia per farli ritrovare nel bicchiere.
Come accade con l’autoctono Grillo parlante,un vino dal bouquet di fiori che subito ci ha fatto immaginare il caldo solare della Sicilia, l’antico baglio circondato da piante e da affascinanti vigneti su dolci declivi.
Non si hanno notizie certe sull’origine del Grillo, ma è certo che nella Sicilia occidentale ha trovato l’habitat ideale divenendone vitigno simbolo, specialmente nel Trapanese dove nell’epoca di massima popolarità giunse a rappresentare circa il 60% dei terreni vitati. Espansione dovuta al suo utilizzo per la ricostruzione post-filossera. Il Grillocomunque era presente in zona fin da fine Ottocento: secondo alcune testimonianze risalenti al 1870 era utilizzato - grazie alle sue caratteristiche - per la produzione del Marsala.
Vitigno non facile (sia in fase di coltivazione, sia in cantina), nella seconda metà del Novecento è stato abbandonato a favore di altri più popolari e redditizi e solo con la rivalutazione degli antichi vitigni autoctoni - che preservano la riconoscibilità di un territorio - ha conosciuto un’inversione di tendenza.
Il Grilloproduce vini tendenzialmente alcolici e di facile ossidazione (da cui l’utilizzo per il Marsala), leggermente tannici e con una buona acidità che favorisce l’invecchiamento.
L’interpretazione in purezza della Fondo Antico- ottenuta in acciaio con pressatura soffice delle uve raccolte a mano e poste in cassette - affascina da subito per il bouquet che esalta le caratteristiche del vitigno sottolineandone le note di pesca bianca e floreali e conquista il palato per la grande freschezza, l’equilibrio, l’armonia e la gradevole sapidità. Un vino che invita a berne un secondo e un terzo bicchiere provocando solo rimpianti in chi non lo fa.
Premesso che può essere bevuto a ‘tutto pasto’, è particolarmente indicato per carni bianche e pesci, anche se logicamente è esaltato dalla cucina siciliana: Pituni alla messinese, Panelle, Pizza di patate e le splendide Polpette di sarde alla messinese - magnificamente preparate dalla signora Giulia (chef dell’omonimo ristorante milanese che ha ospitato la degustazione) si sono rivelati partner perfetti.
La struttura che caratterizza il Grillo Parlante (base della sua attitudine alla longevità) gli permette di essere abbinato con successo anche a piatti più ‘corposi’ come Involtini e Caponata di melanzane (eccezionale il piatto degustato in questa circostanza), Arancini in tutte le loro varianti e Timballo di anelletti al ragù.
Veramente notevole anche il Nero d’Avola- ottenuto dal vitigno siciliano forse più conosciuto - che si distingue nella vasta panoramica dei vini ricavati da queste uve per non ricercare ‘effetti speciali’ che molto spesso finiscono per penalizzarne gli originali e splendidi profumi e sentori.
Vitigno certamente antico, ma dalle origini incerte: se le prime notizie scritte risalgono alla fine del 1500 e si riferiscono all’area di Catania, occorre arrivare all’Ottocento perché il vitigno (allora noto come Calabrese, nome che non indicava la vicina Calabria, ma era la traduzione in italiano del termine siciliano ‘calavrisi’ in cui ‘cala’ significa uva e ‘vrisi’ di Avola) sia legato al paese di Avola nel Siracusano; solo successivamente il termine ‘Nero’ sarà associato ad Avola.
Fino a pochi anni fa le sue uve erano utilizzate soprattutto per il taglio e molti vini del Nord e della Francia dovevano loro la propria gloria.
Il Nero d’Avola del Fondo Anticoè vinificato in purezza e unicamente in acciaio. Di colore rosso ciliegia intenso, al naso è gradevole con un bouquet complesso di frutti di bosco, ciliegia e spezie e in bocca è avvolgente, armonico, fresco, gradevolmente fruttato e di facile bevibilità.
Si sposa ottimamente con fritture di pesce, arrosti, brasati, agnello e formaggi stagionati. Anche in questo caso la cucina siciliana - dalla più semplice come la carne panata (classica fettina di carne bianca o rossa impanata con pane grattugiato e arrostita alla griglia) a quella più articolata come i fagottini di manzo alla griglia e lo splendido pesce spada alla ghiotta con patatepreparato dalla signora Giulia - fornisce sensazioni di rara armonia e fa rivivere l’atmosfera di questa terra eccezionale.
Degna conclusione della cena-degustazione la cassata siciliana, dolce di rara bontà, che ha permesso di godere di un’altra chicca prodotta da Fondo Antico: il Boccadoro, una vendemmia tardiva ottenuta da Grillo e Zibibboin cui le due uve si armonizzano creando un vino da meditazione di rara freschezza caratterizzato dal ricordo delle zagare in fiore.
Oltre ai vini già citati, dalla cantina fondo Antico escono un interessantissimo Rosato ottenuto da Nero d’Avola (Aprile), due barricati in cui però la barrique non è invasiva (Coro prodotto con uve Grillo e Canto da uve Nero d’Avola), uno Syrah e un Nero d’Avola top di gamma (Memorie) che ricorda il vino di un tempo, tutti contraddistinti da grande qualità e ottimo rapporto qualità/prezzo.
Enzo Russo
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Marsala proclamata Città del Vino d’Europa 2013. La decisione è stata presa dall’Assemblea generale di Recevin, la Rete europea delle Città del Vino, riunitasi a Vilafranca del Penedès (Barcellona), in Spagna, al termine dell’esame delle domande di candidatura pervenute in base allo specifico concorso indetto ogni anno. Con Marsala, in lizza c’erano anche il Comune di Barbaresco, in rappresentanza del territorio delle Langhe, e Valdobbiadene, in rappresentanza del territorio di produzione del Prosecco Superiore Docg.
"Sono molto soddisfatta per questo risultato - ha affermato il sindaco della città siciliana, Giulia Maria Adamo - l’investitura di Marsala significa riconoscimento sia del suo storico legame con il vino, appena 2500 anni, che delle nostre produzioni, sempre più apprezzate nei mercati internazionali".
Indetto per la prima volta nel 2012, il concorso della Città Europea del Vino ruota tra i diversi paesi che formano la Rete di Recevin: nel 2012 è stata la città portoghese di Palmela ad ottenere il riconoscimento; nel 2013 sarà Marsala, nel 2014 sarà la volta di una città del vino spagnola e nel 2015 spazio alla Francia.
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Orgoglio italiano all’ombra del Big Ben. E’ stato infatti assegnato all’azienda vinicola Barone Pizzini ed al suo Franciacorta Rosè 2008 - nell’ambito dell’ultima edizione dell’autorevolissimo International Wine Challenge, che dal 1984 si tiene annualmente a Londra - il prestigioso IWC Organic Trophy, quale miglior vino biologico al mondo. Nell’occasione l’azienda si è aggiudicato anche l’Italian Sparkling Trophy, il riconoscimento che premia il top della bottiglia 'effervescente' italiana. Grandi soddisfazioni, dunque, per la maison franciacortina che assegna una attenzione religiosa, quasi un atto d’amore consacrato alla natura, alla qualità ed alla tecnologia. Non a caso nella motivazione della giuria del Premio, composta da enologi, sommelier, winemaker e giornalisti, si legge che "Barone Pizzini utilizza solo sostanze che si trovano in natura. Niente elaborazioni chimiche o manipolazioni genetiche, nessun fertilizzante, né pesticidi sintetizzati chimicamente". A ritirare i premi, un raggiante ed orgoglioso Silvano Brescianini, direttore dell’azienda che ha così commentato: "Lavoriamo da anni nel rispetto dei valori in cui crediamo, seguendo i dettami dell’agricoltura biologica e senza perdere mai di vista il nostro obiettivo: produrre vini di qualità superiore. Oggi l’impegno, la fatica e la passione che ci legano al nostro territorio sono ripagati da questo riconoscimento in un autorevolissimo concorso internazionale. Un’ immensa soddisfazione per noi e un ulteriore stimolo a proseguire su questa strada, ma un traguardo importante anche per tutta l’enologia italiana da agricoltura biologica, che da oggi è sul tetto del mondo".
La maison vocata al biologico, comincia il suo viaggio nel 1870 alla ricerca del
'residuo zero'. 140 anni di tradizione, esperienza e sapienza attraverso un percorso di ascolto e dialogo con la vigna, di rispetto della cantina come tempio sacro di alchimie anche emozionali e profonda devozione per il vino, espressione viva e autentica di naturalità.
Generazione dopo generazione, la storia imprenditoriale della 'Barone Pizzini' si tramanda con un lascito ed un monito: proteggere quel microcosmo straordinario che rende irripetibile ogni terroir. Perché è questo lo spirito positivamente 'maniacale': produrre un vino puro, privo di ogni residuo estraneo alla natura. Il viaggio tra le suggestive
strade e stradine della Franciacorta, ci porta fino a località San Carlo a Provaglio d’Iseo. E’ qui che la cantina, circondata dalle colline e contigua alla riserva naturale delle Torbiere del Sebino, si staglia sobria ed elegante coniugando la sua architettura ispirata (indovinate?) al rispetto dell’ambiente. Costruita nel 2006 nel segno di criteri di architettura eco - compatibile, risponde ai canoni ambientali e della qualità della produzione. La filosofia architettonica sia in termini funzionali che materiali, è funzionale infatti a garantire un basso impatto ambientale ed un contenuto consumo energetico. Pannelli fotovoltaici, sistema naturale di condizionamento, utilizzo di pietra e legno e fito - depurazione delle acque sono solo alcuni degli accorgimenti di architettura eco compatibile utilizzati. Una cantina che, come i vigneti che la circondano, si nutre di ciò che il cielo e la terra le danno, in uno straordinario sodalizio tra natura e tecnologia. "Una cantina è un poco come un albero - ha osservato Claudio Gasparotti - architetto e autore del progetto nella cantina Barone Pizzini - nel senso che ne vediamo solo una parte: il resto è interno alla terra, radicato. Le parti nascoste dell’albero gli danno alimento e lo spingono verso l’alto. Nella parte della cantina che sta dentro la terra, troviamo la ragione del suo mostrarsi fuori del suo essere edificio, architettura. Da questa sua postura nascosta, quasi pudica, derivano la sua energia, la sua freschezza e la sua vivacità, catturate alla terra e donate ad una bevanda della terra e dell’uomo: il vino". Atteggiamenti, materiali e tecnologie leggere impiegate per testimoniare le proprie idee e la coerenza del cammino che la Barone Pizzini sta percorrendo, legata alla propria terra e rispettosa del suo territorio." L’estensione totale delle vigne è di 47 ettari divisi in 25 particelle dislocate nei comuni di Provaglio d’Iseo, Corte Franca,Adro e Passirano.
L’altitudine media è di 200 metri sul livello del mare e l’età media degli impianti è attorno ai 15 anni, ad eccezione dei vigneti da cui provengono le uve destinate al Satèn ed al Bagnadore che hanno un’età di 20 anni. Le vigne si trovano nelle zone più vocate della Franciacorta per esposizione e composizione del terreno. Il suolo infatti è di origine complessa: in parte morenico, ma arricchito da deposizioni fluvioglaciali.
Ulteriore potenzialità del substrato favorevole alla produzione di vini di pregio è conferita dalla coltivazione bio che esalta la vitalità
degli strati esplorati dalle radici estendendo nel tempo, ed in profondità, una fertilità equilibrata ed attiva.
L’espressione del terroir si compie così in modo incontaminato ed irripetibile, attraverso un rispetto degli organismi insediati spontaneamente e l’elaborazione dei minerali forniti naturalmente dal flusso della vita.
Una garanzia di qualità e di salute che si protrae nel tempo e che si distingue dal metodo di coltivazione convenzionale, supportato dall’introduzione artificiosa di sostanze estranee alla natura.
Il metodo BIO, con l’adozione della sostanza organica a sostegno della fertilità e di elementi naturali come zolfo e rame per il contenimento dei parassiti, è l’approccio che 'Barone Pizzini' ha fatto proprio per mantenere la pianta in equilibrio in modo armonico e consentire l’espressione di un prodotto assai ben caratterizzato. Sensibilità che coinvolge tutta la filiera di produzione, gestita da operatori attenti alla conservazione delle energie, al contenimento delle emissioni dei gas - serra, alla salute del consumatore ed alla tutela del territorio. Presidente della Barone Pizzini è oggi Ugo Colombo, che negli anni ‘80 fece parte di quel gruppo imprenditori appassionati di vino che diede impulso al nuovo corso dell’azienda. Piermatteo Ghitti, figlio di Pierjacomo è l’amministratore delegato dell’azienda e al suo fianco, in veste di direttore generale,c’è Silvano Brescianini, altro testimone chiave della storia recente di Barone Pizzini. La Cantina è stata la prestigiosa cornice anche di un appuntamento lo scorso sabato 29 e domenica 30 settembre.
Degustazioni con i Franciacorta bio, abbinata sapientemente con la Sardina Essiccata, protagonista di un progetto di salvaguardia di 'Slow Food' e il Falutì, un formaggio tipico della Valle Camonica. Un trionfo della natura.
Sara Tufariello
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In collaborazione con Slow Food, Barone Pizzini ha proposto lo scorso 29 e 30 settembre, un percorso tra le tradizioni dei pescatori del Lago d’Iseo e la degustazione della Sardina Essicata abbinata al Franciacorta. Il sapere del vino ed il sapere della pesca si uniscono nell’impegno a valorizzare pratiche produttive sostenibili.
La visita in cantina è diventata occasione per conoscere le esperienze del territorio e per assaggiarne i frutti. Le sardina essiccata e messa sott’olio di Montisola è diventata, dunque un presidio di Slow Food. Se un tempo era considerata un cibo povero, invernale, per la gente del lago, oggi tutti i ristoranti del Sebino, propongo e reinterpretano questo prezioso e gustoso alimento. In abbinamento con una polenta alla brace sprigionano il loro profumo intenso, piccanti al palato e perfette in abbinamento a spumante extra-brut servito feddissimo.
Un’essiccazione della durata di un mese mediamente, da novembre a dicembre, è così poi che le sardine vengono infisse per la bocca e ben allineate e l’essiccazione è lenta, fatta poco dal sole e molto dalla brezza dl lago. Poi comincia la pigiatura sott’olio, in lattine etichettate da 3 o 5 litri. Grazie a Slow Food, che ha sapientemente rilanciato un’antica tradizione, questo almento potrà avere anche un buon riscontro sul mercato e sulla ristorazione. Perché anche le tradizioni e la cultura di un luogo va presidiata. (ST)
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La laguna di Caorle è un capolavoro d’acqua e di umanità: una sorta di paradiso poco conosciuto, al quale solo l’amicizia con i pescatori consente l’accesso. Almeno finora, perché le cose sono destinate a cambiare con la nuova legge regionale sull’ittiturismo e pescaturismo, che apre la porta a nuovi ospiti di questo ambiente straordinario, che non a caso fu uno dei luoghi più amati e felicemente vissuti da Ernest Hemingway. In 'Di là dal fiume e tra gli alberi' (1950), il grande scrittore americano, Premio Nobel per la Letteratura nel 1954, pennella questi paesaggi, ricchi per lui di giornate piacevoli e di ricordi, riproponendo ai lettori di tutto il mondo uno scorcio di assoluta bellezza. Ernest Hemingway aveva una vera passione per l’Italia e per il Veneto, dove tornava quando poteva, per cacciare nella laguna di Caorle. In Italia Heningway era arrivato per la prima volta per vedere e vivere la prima guerra mondiale, che gli era stata negata come combattente nell’esercito americano, per un difetto della vista. Aveva perciò ripiegato sul soccorso ai feriti svolto dalla ARC la Croce Rossa Americana. A lungo nelle retrovie, fece di tutto per poter operare in zona di combattimento fino a che venne accontentato: a fine giugno del 1918 raggiunse il Piave, dove sfortunatamente, poco più di una settimana dopo, a Noventa, rimase ferito. L’Italia gli rimase dentro e Caorle con la sua laguna era per lui un luogo prediletto, dove si recava quando poteva, ospite di Raimondo Nanuk Franchetti, nella Villa di famiglia in località San Gaetano. Molti ancora se lo ricordano, a Caorle, questo scrittore che amava la convivialità, la laguna, il mare, la buona cucina, la natura.
E proprio da qui, da questa laguna, comincia una nuova avventura del Veneto ospitale, quella rivolta a quanti vogliono dedicarsi alla pesca e all’ottima cucina di mare per il puro piacere di praticarla, magari nel contesto di una vacanza o di quelle ferie tanto sospirate, a fianco a fianco di chi con il mare ci vive e ci lavora da una vita e forse da generazioni. Pescaturismo e ittiturismo sono due proposte che vanno incontro a simili aspettativi. Il Veneto ne ha riconosciuto il ruolo e lo ha disciplinato per rendere ancora più ricca, variegata e completa la sua offerta di turismo per tutti.
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C’era in un tempo lontano una pianura padana fatta solo di campagne e risaie, della sua vita che scorreva seguendo i ritmi delle stagioni. E con la sua gente semplice, così distante e così diversa da quella delle città dove, in molti casi, non si sarebbe mai avventurata neppure una volta nel corso di un’esistenza intera. L’atmosfera è cambiata, ma alcune persone hanno conservato tradizioni ancestrali e nel passaggio generazionale le hanno declinate al presente con la passione degli avi e le conoscenze più attuali. E’ il caso della famiglia Rondolino che dal 1935 si dedica alla coltivazione del riso in una zona vocata a questo scopo sin dall’antichità. A Livorno Ferraris, nel vercellese, gestisce la tenuta La Colombara, un feudo del 1500 acquistato da un ramo dei Savoia e che ha conservato il fascino di tutti i luoghi con una lunga tradizione alle spalle. L’imponente struttura a pianta quadrata è circondata da risaie a perdita d’occhio, ovattate dalla foschia d’inverno e sfocate nel pieno sole dell’estate. Così come in quei campi sapientemente allagati sono ancora lo scorrere del tempo e le condizioni climatiche a determinare i ritmi per la semina e il raccolto, all’interno di quella che Piero Rondolino titolare dell’azienda ama chiamare 'cascina', è la tecnologia più avanzata a farla da padrone. Grazie alla combinazione dei fattori uomo - natura, all’entusiasmo e all’energia che la famiglia mette nel lavoro, il prodotto che lascia la tenuta è un’eccellenza alimentare che non teme confronti. Una sola varietà coltivata, la Carnaroli, trattata con procedimenti particolarmente attenti e assolutamente insospettabili come l’invecchiamento. Questa pratica applicata al riso grezzo conservato in silos al fresco, consente all’amido in presenza di ossigeno di perfezionare le sue caratteristiche. Minimo 12 mesi, ma ci sono raccolti conservati per 7, 8 e persino 9 anni prima delle successive lavorazioni.
Per la raffinazione viene utilizzata una tecnica inventata nel 1875 e ancora oggi considerata la migliore anche se, per ragioni legate a tempi e costi è stata abbandonata da tutti i produttori tranne che dai Rondolino. Alla fine il prezioso cereale lascia la cascina natale; battezzato 'Acquerello' si muove in eleganti lattine o pacchetti sottovuoto per conservare al meglio la sua qualità e veste un’etichetta che evoca il suo luogo d’origine.
Il viaggio sarà lungo per raggiungere gli oltre 30 Paesi al mondo che lo importano; dagli Stati Uniti all’Australia al Giappone i migliori chef dei più prestigiosi ristoranti lo considerano la materia prima che garantirà il risultato dei loro piatti. Ma l’acqua dei terreni argillosi che da centinaia d’anni accoglie la semina ad aprile per restituire i frutti a settembre ha anche altre storie da raccontare: quella del microcosmo che La Colombara, lontana dai centri abitati, rappresentava. Un piccolo mondo autonomo dove trovavano spazio una bottega da fabbro e una da falegname; il laboratorio di una sarta e un’osteria.
La scuola, la chiesa, le stalle per gli animali e le scuderie per i cavalli. E i dormitori delle mondine; figure emblematiche delle risaie che arrivavano qui per lavorare nei campi lasciando, anche molto lontano, le loro famiglie alle quali tornavano con un compenso importante per la povera economia domestica. A questa realtà tutta padana, alla sua conservazione e diffusione, dedica molti sforzi ed energie Piero Rondolino che è riuscito a ricreare gli ambienti con oggetti, attrezzi, mobili e suppellettili originali dell’epoca. Sarà la suggestione del luogo, l’autenticità dell’ambito ma a tratti, visitando La Colombara, si ha l’impressione che da un momento all’altro il silenzio della pianura sarà rotto dal chiacchiericcio delle donne scalze di ritorno dalle risaie al tramonto o dalle voci dei bambini che raggiungono i loro banchi in classe. La famiglia Rondolino è sempre felice di condividere le emozioni e la storia di questi luoghi accompagnando chiunque lo desideri in una visita guidata della tenuta.
Paola Drera
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Formalizzare all’Unesco la proposta perché la "cultura del Tartufo" sia inserita nel registro dei beni immateriali patrimonio dell’umanità. È il nuovo ambizioso obiettivo dell’Associazione Nazionale Città del Tartufo, che ha da poco celebrato il suo ventennale.Precursori di tendenze, prima che il marketing territoriale si imponesse come metodo e strumento di promozione e comunicazione per lo sviluppo di aree vaste attraverso la valorizzazione delle peculiarità ambientali, storiche, architettoniche, culturali ed enogastronomiche dei territori, le Città del Tartufo si erano già associate per raggiungere questo obiettivo, che si rinnova di anno in anno.
La tutela e la valorizzazione del tartufo e dei suoi territori, insomma, sono i cardini dell’attività messa in campo dall’Associazione Nazionale Città del Tartufo, che trovano oggi nuovo impulso e contenuto nell’intenzione di formalizzare la proposta all’Unesco.
"L’idea – continua il Presidente, in merito alla proposta rivolta all’Unesco - è quella di concentrare l’azione sul tartufo bianco, che ha tutta una sua particolarità nella storia del sistema di raccolta, non è supportata da moderne tecniche agricole, come avviene, invece, per il tartufo nero, ma è una grande sfida tra l’uomo, il cane e tutti gli altri cercatori. È un mondo che affascina moltissimo coloro che visitano i territori del tartufo ed è un forte valore aggiunto, da tutelare".
Proprio considerando il fatto che, se anche l’appellativo "pregiato" spetta al bianco d’Alba e al nero di Norcia, ci siano altri tartufi che meritano grande apprezzamento, le Città parlano "plurale e italiano" affrontando tematiche che vanno dalla tutela dell’ambiente tartufigeno alla difesa del prodotto nazionale fino alle sofisticazioni e frodi, compiendo passi non brevi, ma necessari.
E proprio per rendere questa ricchezza collettiva e l’ambiente tartufigeno una risorsa rinnovabile, le Città del Tartufo si rivolgono all’Unesco per il riconoscimento, ben consapevoli della complessità del percorso, ma anche supportati da una massa critica imponente che va dal mondo delle istituzioni che le Città rappresentano (50 associati distribuiti in 11 Regioni Italiane), a quello scientifico.
Infine, tra i nuovi impegni che interesseranno l’associazione, un ulteriore passo nell’ottica di promozione e valorizzazione del Tartufo in vista dell’Expo 2015.
Da San Giovanni d’Asso (Siena) ad Alba (Cuneo). Tutti insieme in nome di Sua Maestà il Tartufo per firmare il Protocollo d’Intesa tra tutte le realtà tartufigene italiane in vista della candidatura all’UNESCO come Patrimonio Immateriale dell’Umanità della Cultura della preziosa trifola. Il tema dell’ammissione della Cultura del Tartufo presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, sarà al centro di alcuni momenti di confronto e di discussione previsti nei due fine settimana del 10-11 e 17-18 novembre a San Giovanni d’Asso in occasione della 27/ma Mostra Mercato del Tartufo Bianco delle Crete Senesi. L’appuntamento con ‘’La cultura del Tartufo come bene immateriale dell’Unesco: il territorio dove nasce, le esperienze, le prospettive future per i territori rurali e la domanda di annessione’’ è per sabato 10 novembre alle 15.30 nella Sala del Camino del Castello di San Giovanni d’Asso, a cui sono invitati il Presidente dell’Associazione Nazionale Città del Tartufo, il Presidente dell’Associazione Nazionale Siti Unesco e i sindaci dei vari comuni interessati dall’iniziativa. Nella stessa giornata verrà anche presentato il nuovo sistema di tracciabilità del tartufo in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Ateneo Senese ed il nuovo sistema QR Quality, nato con l’obiettivo di proteggere i consumatori di Tuber magnatum Pico dal sempre più incombente pericolo derivante dalle contraffazioni.
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Primi passi, ieri a Caorle, per la promozione di due nuove attività, pescaturismo e ittiturismo, disciplinate con la Legge della Regione del Veneto dell’agosto scorso che aggiorna anche le norme sull’agriturismo. Contenuti e opportunità della legge sono state presentate dall’assessore alla pesca Franco Manzato, accompagnato dall’assessore comunale al turismo Francesco Giuseppe Gusso (non ha potuto intervenire il presidente della IV Commissione consiliare Davide Bendinelli), nel corso di una battuta di pesca turistica e del successivo coronamento in un tipico casone in compagnia di giornalisti e rappresentanze delle istituzioni coinvolti nel 'pianeta mare', voluto dalla Regione e organizzato dalla marineria caorlotta per 'testare' dal vivo queste nuove attività (nuove almeno per il Veneto), che abbinano una parte di quello che viene chiamato settore primario con l’economia turistica nella quale il Veneto è primo in Italia nonostante la crisi economica mondiale.
E’ stata una sorta di 'prova del 9' per il prossimo futuro della legge, discussa ed esaminata a stretto contatto con abitanti dei casoni e pescatori in un luogo che è tra i più belli e meno conosciuti del Veneto: quelle parti della laguna di Caorle dove non è facile arrivare e dove vigono anche vincoli molto stretti, che al momento ne limitano le potenzialità di approccio da parte dei turisti. Alla realizzazione di questa singolare esperienza ha collaborato l’insieme della marineria locale, con le barche, i pescatori e il pescato per poter gustare i sapori del mare, abbinati agli spumanti messi a disposizione per l’occasione da Iris Vigneti.
Proprio dai colloqui diretti con i pescatori professionali, titolati ora ad esercitare una attività collaterale che prevede la presenza di turisti sulle barche da pesca e la possibilità di dare loro ospitalità e ristoro, sono emersi utili suggerimenti per l’attivazione pratica delle nuove norme, che toccano un settore dove convergono competenze locali e nazionali che, è stato detto, non devono diventare un ostacolo ma semmai concorrere per sviluppare nel migliore dei modi le nuove opportunità di reddito collaterale che comportano. Su questo si è particolarmente soffermato Manzato, che ha ribadito l’esigenza di combattere la burocrazia in Italia a tutti i livelli, ma soprattutto di evitare che se ne crei dell’altra. "Pescaturismo e ittiturismo sono segmenti che si collegano direttamente a quanti oggi lavorano in un settore in crisi profonda, quello della pesca - ha ricordato Manzato - che possono dedicarsi ad una attività collaterale che rappresenterebbe non solo una fonte complementare di reddito ma anche un’occasione per alleggerire lo sforzo di pesca sul nostro mare". Ora si tratterà di operare tutti per darne rapida attuazione.
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Immaginate di avere a disposizione vongole dell’Alto Adriatico surgelate in guscio, pronte ad essere messe immediatamente in padella e con caratteristiche di sapore e persino profumo non distinguibili dal prodotto fresco. Sarebbe l’uovo di colombo per molti consumatori e anche per parecchi ristoranti, che potrebbero conservare un prodotto tipico e di assoluta qualità da proporre ogni volta che serve, senza essere vincolati ai tempi della pesca, non alternativo al fresco ma piuttosto complementare (basti pensare a quando, all’ultimo momento e a prodotto fresco terminato, arriva un gruppo di clienti che desidera vongole 'nostrane'). I normali consumatori di famiglia, dal canto loro, non sarebbero legati alla necessità di cucinare subito l’intera quantità di prodotto comprato, visto che le vongole fresche hanno una conservabilità assai limitata, e potrebbero, ad esempio, prepararsi senza problemi gli spaghetti con le vongole per poche persone ogni volta che ne avessero il desiderio. Potrebbe diventare un prodotto tipico anche facilmente esportabile per la ristorazione italiana all’estero. Ecco, oggi questo prodotto c’è: è realizzato per ora in modesta quantità con un sistema unico, messo a punto dalla Organizzazione di Produttori di Molluschi Bivalvi del Mare Veneto con il controllo dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie di Padova. Le vongole surgelate a guscio chiuso vengono proposte in sacchetti sigillati da chilo, con una scadenza di 12 mesi dal confezionamento. Il prodotto è stato distribuito e sperimentato nei mesi scorsi nella ristorazione, ieri è stato presentato, in una prova 'al buio', in occasione della prima esperienza di pesca turismo e ittiturismo, voluta dalla Regione del Veneto e materialmente organizzata dalla marineria caorlotta, per divulgare i contenuti della recente legge che disciplina le attività di pesca turismo e ittiturismo. Commensali di eccezione erano lo stesso assessore regionale alla pesca Franco Manzato e l’assessore comunale Francesco Giuseppe Gusso, oltre a giornalisti, tecnici ed esponenti di istituzioni impegnate in vario modo nella tutela e valorizzazione delle risorse del mare, dell’ambiente e del territorio. Nessuno dei commensali si è accorto di consumare un prodotto surgelato, del quale hanno apprezzato gusto, 'freschezza' e profumo. Tra un mese, le vongole surgelate del mare veneto cominceranno ad essere in vendita anche nella grande distribuzione.
Per prepararle, le vongole del mare veneto (Venus Gallina) vengono pescate, controllate, selezionate, de-sabbiate e accuratamente pulito, scottate in acqua bollente e congelate con sistema Individual-Quick-Freezing, cioè Surgelazione Rapida e Individuale, con il quale si ottengono porzioni non appiccicate le une alle altre e ciò permette di poter prelevare con facilità dalla confezione il numero necessario di pezzi aumentando la praticità e diminuendo gli sprechi. Il prodotto viene successivamente confezionato in buste e immagazzinato (e trasportato) a temperatura controllata di – 18 gradi, – 20 gradi. Il processo di congelazione, tra l’altro, abbatte la carica batterica del prodotto fresco, che già da fresco è ben al di sotto dei limiti di legge. Le vongole così surgelate si cucinano allo stesso modo di quelle fresche, mettendole direttamente in padella con battuto di cipolle, aglio per chi lo desidera, olio d’oliva, coperte con coperchio. Sono pronte quando le valve sono completamente aperte, in un tempo non dissimile e anzi un po’ inferiore a quello necessario per il fresco.
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Sarà Montalcino la nuova sede del Movimento Turismo Vino nazionale: da domani la città del Brunello ospiterà la segreteria di MTV nello storico Palazzo Comunale. L’associazione che riunisce circa mille fra le più prestigiose cantine d’Italia sceglie così uno dei più grandi territori del vino italiano che ha fatto da apripista per l’enoturismo in Italia. Un fenomeno, quello dell’enoturismo, che secondo il Censis è uno dei segmenti turistici a maggior tasso di crescita nel Paese.
"Montalcino è stata una delle prime realtà in Italia - sottolinea la presidente del Movimento Turismo Vino, Daniela Mastroberardino - a puntare sul connubio tra viaggi e vino per crescere, rendendo negli anni questa piccola area un brand territoriale conosciuto da milioni di enoappassionati.
Ciò dimostra che il sistema "enoturismò funziona e può fare da volano allo sviluppo economico del territorio, dalle grandi realtà a quelle più piccole. Ed è proprio alle singole cantine, che sono la ricchezza del Movimento, che daremo una particolare attenzione - ha concluso la presidente Mastroberardino - promuovendo un percorso di crescita dell’enoturismo come "stile di vità, attraverso eventi ed iniziative di forte carattere nazionale durante tutto l’anno, i nuovi media e gli strumenti offerti dal web 2.0".
"Il Movimento Turismo del Vino è nato, idealmente, qui nel 1993 e qui ritorna - afferma Silvio Franceschelli, sindaco di Montalcino - in un’ottica di sinergia virtuosa che costituirà sicuramente un vantaggio sia per Montalcino, sia per l’associazione che da sempre è impegnata nel promuovere la cultura del vino attraverso i luoghi di produzione".
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Nel corso della prima settimana di settembre ha avuto inizio la raccolta dell’uva nei vigneti della Cantina Tramin a Termeno (BZ), azienda tra le più premiate d’Italia e responsabile di alcune tra le migliori interpretazioni del vitigno aromatico Gewürztraminer.
Vini di grande densità, volume e con un’alta concentrazione di sostanze aromatiche e di precursori olfattivi: queste le caratteristiche che risultano dalle prime impressioni per questa vendemmia 2012 alla Cantina Tramin.
Nelle parole dell’enologo Willi Stürz, che da 15 anni segue la cantina ed è stato eletto miglior enologo d’Italia 2004, le anticipazioni sulla prossima annata regalano grandi speranze e interesse. Dopo le felici vendemmie di questi anni, come l’eccezionale 2009, il 2011 che ha portato rossi notevoli e un Gewürztraminer eccezionale, o i bianchi fortunatissimi degli ultimi tre anni, ora anche le anticipazioni per il 2012 alimentano le aspettative positive.
Il 3 settembre è stata la data di avvio per questa vendemmia. Il caldo che ha caratterizzato questo anno di produzione infatti promette delle rese abbattute di almeno il 10% , con punte fino al 20-40% per alcuni impianti. Circa 2 o 3 migliaia di tonnellate in meno rispetto all’anno scorso, che soprattutto nel Gewürztraminer e nei bianchi, consentirà di concentrare i precursori aromatici e le tonalità intense di questi vini.
Come conferma Willi Stürz, "in questo anno la resa per ettaro, che già teniamo bassa con la potatura e il diradamento, é stata bassissima, anche a causa della forte calura. È un dato che accomuna tutte le nostre varietà vinicole, compreso il Gewürztraminer. Questo forte abbattimento della produzione porterà, per contraltare, a un maggiore potenziale in qualità, corpo e densità nei vini. Dopo una partenza anticipata in primavera, lo sviluppo della vegetazione ha subito fortunatamente un rallentamento e un ritardo di circa 10 giorni e confermando il trend delle altre annate. Durante l’estate, è giunto anche da noi il grande caldo, che ha certamente segnato e contratto lo sviluppo dei vigneti, senza tuttavia portare in sofferenza e siccità. In zona alpina infatti, il caldo intenso è arrivato nella fase iniziale della maturazione, ed era accompagnato ad intervalli da piccole piogge. In questo senso, capiamo la fortuna dei nostri climi Dolomitici: il tenore tendenzialmente fresco della nostra terra é una grande forza e ci aiuta in annate torride come questa. La bella escursione termica tra il giorno e la notte, consente di fissare profumi e valorizzare gli aromi delle nostre uve".
Una produzione, quella della Cantina Tramin, che mette a frutto tutto l’impegno dedicato in questi anni ai bisogni specifici dei singoli vitigni, molto diversi per altitudine e caratteristiche. Gli impianti crescono di annata in annata rivelando una maggiore stabilità ed equilibrio, mentre l’inerbimento e il sovescio sono trattamenti impiegati per valorizzare la qualità di alcuni appezzamenti e seguire le esigenze di ogni vigneto. Anche in questo risiede la forza del modello produttivo della cantina, con più di 200 micro soci, per i quali il rapporto uomo-vigneto è in equilibrio misurato e sostenibile.
Tra le maggiori cantine cooperative dell’Alto Adige, Cantina Tramin ha costruito la propria immagine lavorando sulla qualità e sull’eccellenza dei vini bianchi aromatici, sintesi dell’eleganza e delle fragranze peculiari del territorio altoatesino.
Anche per la propria sede, la recente ristrutturazione ha regalato al territorio un esempio di architettura contemporanea di assoluto pregio e rilievo. La spettacolare costruzione in ferro verde che si staglia contro il profilo della valle dell’Adige in mezzo ai vigneti, è opera dell’architetto Werner Tscholl ed è presente in questi mesi nella mostra della Biennale di Architettura di Venezia, come esempio di architettura contemporanea in rapporto virtuoso con territorio e ambiente.
Cantina Tramin
Strada del Vino 144 Termeno (BZ)
Tel 0471 096633
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Si sono conclusi i giochi olimpici di Londra e con essi anche gli appuntamenti enogastronomici legati ai prodotti Dop e Igp italiani che dal 27 luglio al 12 agosto hanno allietato atleti, giornalisti e vip frequentatori del True Italian Restaurant a Casa Italia CONI. Il quartier generale degli azzurri era stato allestito al Queen Elizabeth II Conference Centre che dispone di una irresistibile vista sulla City e sui suoi monumenti simbolo, come il Big Ben, il Tower Bridge.
Sono stati oltre 12.000 gli ospiti che durante le Olimpiadi hanno potuto degustare e deliziarsi con le eccellenze agroalimentari italiane, offerte sia nell’Aperitivo Italiano sia nelle cene che a queste hanno fatto seguito. Una varietà di piatti, preparati dai migliori chef italiani con prodotti esclusivamente DOP e IGP, rappresentati a Londra dall’Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche AICIG, coinvolti nel progetto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
"Ancora una volta - ha affermato il Presidente dell’Aicig Giuseppe Liberatore - è proprio il caso di dirlo, abbiamo fatto squadra. Tutti insieme per presentare il meglio dell’agroalimentare italiano sul mercato londinese. Le sinergie instaurate sono dimostrazione del fatto che solo insieme è possibile raggiungere risultati migliori e più efficaci. L’attività di internazionalizzazione non deve infatti essere sottovalutata ma al contrario deve essere ben pianificata, strutturata e condotta".
I prodotti DOP e IGP italiani che hanno reso più piacevole la permanenza anche dei nostri 291 atleti, della stampa e dei vip nella capitale britannica per tutta la durata dei giochi sono: Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop, Aceto Balsamico di Modena IGP, Grana Padano Dop, La Bella della Daunia Dop, Montasio Dop, Mortadella Bologna Igp, Mozzarella di Bufala Campana Dop, Pane di Altamura Dop, Parmigiano Reggiano Dop, Pecorino Romano Dop, Pecorino Toscano Dop, Pomodoro di Pachino Igp, Prosciutto di Modena Dop, Prosciutto di Parma Dop, Prosciutto di San Daniele Dop, Prosciutto Toscano Dop, Quartirolo Lombardo Dop, Salame Brianza Dop, Salamini Italiani alla Cacciatora Dop, Speck Alto Adige Igp, Bresaola della Valtellina Igp, Salumi di Calabria Dop, Salume Piacentino Dop, Salame di Varzi Dop e gli oli Chianti Classico Dop, Garda Dop, Riviera Ligure Dop, Sabina Dop, Val Di Mazara Dop
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Oltre 120 mila pezzi di grana e parmigiano. E’ questo il bilancio finale dell’operazione "Grana della solidarietà" lanciata in Lombardia dalla Coldiretti regionale per aiutare i caseifici colpiti dal sisma che ha investito il Mantovano e l’Emilia Romagna.
I risultati sono stati presentati nell’ambito della prima assemblea di Agricolturamica, la cooperativa fondata da aziende agricole che, nell’ambito del progetto Filiera italiana della Coldiretti, porta i tesori agroalimentari lombardi nelle mense scolastiche, negli ospedali, nei "self service della salute" e nelle 70 Botteghe di Campagna Amica sul territorio nazionale, fra cui quella aperta quest’anno nella Cascina Cuccagna a Milano.
L’operazione "Grana della solidarietà" – spiega la Coldiretti Lombardia – è stata possibile grazie alla mobilitazione di tutte le Federazioni provinciali della Coldiretti e grazie al consenso dimostrato da migliaia di consumatori. La mappa presentata oggi indica infatti che a Bergamo sono stati distribuiti quasi 8 mila pezzi, a Brescia 15 mila, a Como e Lecco 5 mila, a Cremona 6 mila, a Mantova 5 mila, a Milano Lodi e Monza 50 mila, a Pavia 13 mila, a Sondrio 14 mila, a Varese 8 mila. Nei due mesi dalla prima scossa un italiano su quattro ha acquistato prodotti alimentari provenienti dalle zone terremotate dell’Emilia e della Lombardia dove a causa del terremoto sono stati stimati danni al settore agroalimentare per oltre 700 milioni di euro.
"La risposta della gente – spiega Ettore Prandini, Presidente della Coldiretti Lombardia – è una conferma dell’enorme valore, non solo economico, che viene attribuito ai tesori agroalimentari che sono le bandiere del nostro modo di essere e di lavorare. Sono i simboli di uno stile di vita e di una grande varietà e ricchezza territoriale". Infatti sulla base dell’ultima classifica sui prodotti tradizionali regionali salvati dall’estinzione stilata dalla Coldiretti, la Lombardia può vantare 242 "bandiere del gusto" che vanno dai "bastardei" al "violino di capra", dallo "stracchino bronzone" allo "scimudin" della Valtellina, dall’asparago di Cantello alla patata di Oreno, dai "casoncelli" alla "tortionata".
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Cesare Baldrighi (foto), cremonese, Presidente della Latteria PLAC di Persico Dosimo (CR) aderente a Confcooperative, e Presidente del Consorzio di tutela del Grana Padano DOP Presidente Baldrighi, a più di un mese dal terremoto che ha colpito l’Emilia e la provincia di Mantova, qual è il bilancio definitivo dei danni provocati per il comparto del Grana Padano?
Quante forme sono cadute e quante di queste sono state recuperate? Qual è l’ammontare, in valore, dei danni?
Il bilancio del sisma in 9 caseifici e 4 magazzini di stagionatura fa contare circa 300mila forme cadute per un danno complessivo, comprese le strutture danneggiate, di 70 milioni di euro. Ricordiamo che i caseifici colpiti, perché avevano il loro formaggio in uno dei 4 maggiori magazzini, sono 30. Diciamo che nei caseifici più attrezzati è stato possibile recuperare circa 150mila forme.
Quali sono stati gli interventi del Consorzio di tutela del Grana Padano a supporto e in aiuto dei caseifici colpiti?
Tutti i consorziati concorreranno direttamente ad aiutare i caseifici danneggiati non coperti dall’assicurazione, perciò ogni pezzo di Grana Padano acquistato sarà Grana Padano solidale indipendentemente dal caseificio che l’ha prodotto. Per stabilire la linea di condotta abbiamo indetto un’Assemblea Straordinaria, che si è riunita il 29 giugno e che ha approvato quasi all’unanimità questo provvedimento.
La società civile ha dimostrato una grande sensibilità nei confronti delle iniziative solidaristiche per la vendita del formaggio terremotato; da questo punto di vista qual è il consiglio che Lei si sente di dare ai consumatori?
Semplice: di consumare sempre più Grana Padano, per sostenere lo sforzo unitario di tutto il Consorzio, ma anche per aiutare le popolazioni colpite dal sisma. Fin dai primi giorni del post-terremoto abbiamo rivolto agli italiani l’invito di non cercare il Grana Padano rotto, che per tutelare la qualità e la sicurezza del consumatore è stato ritirato dal mercato, ma di acquistare Grana Padano DOP nei classici punti vendita, garanti che tutto il formaggio confezionato e messo in commercio da confezionatori autorizzati è il tradizionale Grana Padano DOP. Le azioni promozionali fatte con la grande distribuzione (Coop, Conad, LD, Pam, Bennet e altre catene si stanno aggregando) andrà devoluto alle popolazioni terremotate per il tramite dei sindaci: l’obiettivo era quello di raggiungere 1 milione di euro, ma già stiamo ottenendo molto di più. Per dare ampia diffusione a queste azioni solidali abbiamo previsto per i mesi di luglio e agosto una massiccia campagna media: con 7.552 spot TV, 2.992 spot radio e numerose uscite sulle principali testate a livello nazionale, vogliamo comunicare al grande pubblico che ‘ricominciare insieme è possibile’. Grana Padano DOP sia per supportare il sistema Grana Padano sia per operare un sostegno concreto alle popolazioni colpite dal sisma.
Lei è un cooperatore, e la solidarietà è uno dei principi che contraddistinguono i cooperatori nella società, in una dura prova come quella del terremoto, a Suo avviso i caseifici cooperativi hanno dimostrato di essere all’altezza?
Sicuramente si. Fra i 117 soci del Consorzio non danneggiati non c’è stata alcuna esitazione ad aiutare i 30 danneggiati dal sisma.
E oltre a questo, come già successo per l’Aquila, Haiti e il Giappone, il Consorzio ha saputo pensare a chi è stato ancora più sfortunato, cioè le popolazioni colpite, a tanta gente che forse non consuma neppure Grana Padano e probabilmente non lo consumerà neanche in futuro.
Giuseppe Alai (foto), reggiano, Presidente della Confcooperative di Reggio Emilia e Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano DOP Presidente, a più di un mese dal terremoto che ha colpito l’Emilia e la provincia di Mantova, qual è il bilancio definitivo dei danni provocati per il comparto del Parmigiano Reggiano? Quante forme sono cadute e quante di queste sono state recuperate? Qual è l’ammontare, in valore, dei danni?
I danni provocati dal sisma del 20 e 29 maggio scorsi
superano i 120 milioni di euro. Questo valore è comprensivo dei danni alle forme, ma anche ai magazzini e agli impianti e attrezzature. Le forme cadute sono oltre 600.000, di cui oltre
300.000 sono state danneggiate e rappresentano i 2/3 del danno totale a causa della grave perdita di valore. Il formaggio con meno di due mesi di stagionatura è, per legge, destinato alla fusione con una perdita di valore di circa 350 euro / forma, quello con stagionatura fra i 3 e i 12 mesi
(non ancora conforme alla Denominazione di origine protetta) è divenuto così formaggio generico da grattugia o da fusione, con un danno, per perdita di valore e di peso, di circa 150-200 euro / forma, e quello già stagionato e classificato come Dop ha subito un calo di valore di 50-100 euro / forma. Oltre al danno sul prodotto, sono state colpite anche le cosiddette 'scalere', ovvero le scaffalature su cui le forme di Parmigiano Reggiano vengono poste durante il periodo di stagionatura. Inoltre va considerato che questi danni ripercuotono i loro effetti su oltre 600 allevamenti produttori di latte e strutture agricole.
Quali sono stati gli interventi del Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano a supporto e in aiuto dei caseifici colpiti? Ritiene che le istituzioni abbiamo agito in maniera efficiente e coordinata o si può e si poteva fare di più?
Il Consorzio si è attivato su più fronti, calibrando l’intervento tra iniziative che riguardano l’emergenza e iniziative volte al futuro.
Nei giorni subito successivi al sisma è iniziata la ricerca dei posti forma, visto che con i crolli ne sono venuti a mancare circa 800.000, e degli spazi frigoriferi per collocare il prodotto prelevato dai magazzini crollati. Inoltre, immediatamente per far fronte all’emergenza e sostenere i soci colpiti, ci siamo relazionati con le istituzioni a tutti i livelli, ed abbiamo chiesto al ministro Catania ed al Governo una moratoria di 12 mesi sui prestiti a breve, l’individuazione urgente di canali di smaltimento del prodotto danneggiato, l’anticipazione dell’erogazione dei contributi della PAC e la sospensione dell’ultima tranche del super prelievo sulle quote latte. Guardando più al futuro, la nostra priorità è ripristinare tali strutture in modo da poter programmare il normale ciclo produttivo. Sempre per il problema del ripristino dei posti forma, abbiamo avviato un gruppo di lavoro tecnico, con l’Università di Parma – Facoltà di Ingegneria – per mettere a punto delle linee guida per la costruzione delle 'scalere' in sicurezza. Oltre alle operazioni di svuotamento dei magazzini e ripristino delle strutture, si sta affrontando il problema dei prestiti finanziari che erano garantiti a pegno delle forme che in questo momento hanno perso consistenza e valore. Il Consorzio al proposito ha già incontrato i dieci istituti di
credito interessati, i quali si sono dimostrati disponibili a poter attendere il tempo necessario che potrà servire per ripristinare o il valore delle scorte o le scorte a cui cercheremo di far seguire un recupero dei danni anche importante per il ripristino dell’attività normale. Inoltre, il Consorzio ha supportato, nella fase di conversione in legge del DL 'terremoto' del 6 giugno 2012, uno specifico emendamento che prevede il risarcimento dei danni arrecati dal sisma anche ai prodotti Dop posti nei magazzini e rispetto al Ministro Catania è stato richiesto un intervento urgente per destinare al parziale risarcimento dei danni parte dei fondi resi disponibili al Mipaaf con l’art. 59 comma 3 del recente DL 'sviluppo'.
Ad oggi alcuni fondi sono stati già stanziati nell’ambito dei Psr, ma nel complesso la risposta delle istituzioni è ancora parziale. Ci aspettiamo che la definizione delle norme avvenga in tempi rapidi in modo da assicurare la continuità delle imprese della filiera.
La società civile ha dimostrato una grande sensibilità nei confronti delle iniziative solidaristiche per la vendita del formaggio terremotato, nel Vostro caso con un grande supporto del Consorzio; da questo punto di vista qual è il consiglio che Lei si sente di dare ai consumatori che oggi come non mai vivono il protagonismo mediatico dei formaggi Grana? Oltre alla solidarietà, secondo Lei quali motivi hanno spinto la società civile a 'mobilitarsi' per l’acquisto del formaggio terremotato?
Innanzi tutto sottolineo la risposta formidabile che hanno dato alcuni milioni di famiglie italiane, attraverso l’acquisto diretto e migliaia di gruppi di acquisto nati spontaneamente, che hanno testimoniato la loro vicinanza alle imprese, al territorio e al prodotto acquistando in queste settimane il Parmigiano Reggiano. Di questo fenomeno hanno parlato innanzi tutto le redazioni di giornali e tv, che va letto come un’espressione non solo di affetto e solidarietà verso i produttori ma anche di come il Parmigiano Reggiano è nel cuore della gente ed è vissuto come un 'pezzo d’Italia'. Dal punto di vista organizzativo, il Consorzio ha attivato varie azioni per aiutare i caseifici colpiti sia diffondendo informazioni, sia coinvolgendo altri caseifici con la vendita di
Parmigiano Reggiano solidale, e questo canale ha riscosso un grande successo. Il sostegno è giunto anche da parte della GDO (Coop, Unes e Auchan) e di imprese come Mc Donald’s che, per ogni pezzo di formaggio venduto a prezzi correnti, hanno scelto di destinare 1€ al fondo di solidarietà istituito in favore dei caseifici interessati dal sisma.
La cooperazione è un pilastro della filiera del Parmigiano Reggiano, e solidarietà è uno dei principi che contraddistinguono la cooperazione nella società e nell’economia, in una dura prova come quella del terremoto, a Suo avviso i caseifici cooperativi hanno dimostrato di essere all’altezza di questi così importanti principi? Hanno dimostrato di rappresentare un modello socio-economico che anche e soprattutto nei periodi di crisi può fare la differenza?
Ritengo che nei momenti di difficoltà tutti debbano fare la loro parte, contribuendo ad azioni di solidarietà. E su questo punto va detto che il sistema cooperativo del nostro territorio, non solo quello legato al Parmigiano Reggiano, ha dato risposte importanti fin dalle prime ore successive agli eventi sismici. Infatti c’è stata immediatamente solidarietà tra caseifici in termini di messa in disponibilità di posti forma, di attrezzature e macchinari. Così come le strutture cooperative della filiera ortofrutticola ha messo a disposizione strutture e spazi per lo stoccaggio refrigerato del prodotto danneggiato.
Questo ovviamente non basta. Ora stiamo lavorando anche internamente alla compagine dei caseifici aderenti al Consorzio, per la definizione di contributo aggiuntivo per sostenere il collocamento nel mercato delle forme danneggiate e destinabili alla fusione. Guardare avanti ora è indispensabile. La produzione di Parmigiano Reggiano, nonostante la situazione di emergenza, non si è mai arrestata e stiamo lavorando senza tregua per tornare il prima possibile alla normalità.
(interviste di confcoop lombardia)
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